Festival Printemps des Arts, Monte-Carlo (10 marzo‑3 aprile 2022)

Concerto di venerdì 11 marzo 2022

Auditorium Ranieri III – ore 20

Guillaume de Machault
Ma fin est mon commencement

Ensemble Gilles Binchois

Peter Eötvös, Siren’s Song
Sergeji Prokov’ev, Concerti per pianoforte e orchestra nn.1 e 5
Béla Bartók, Il Mandarino meraviglioso, suite per orchestra

Orchestra Filarmonica di Strasburgo
Marko Letonja, direttore
Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte

 

Concerti di sabato 12 marzo 2022

Tunnel Riva – ore 15

Il sassofono francese
Sandro Compagnon, sassofono
Gaspard Dehaene, pianoforte

Museo Oceanografico – ore 20

Joseph Haydn, Sonate per pianoforte nn. 59 e 62
Claude Debussy, Ballade, Nocturne, Danse (Tarantelle styrienne), Estampes, L’Isle joyeuse

Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte

Concerti di domenica 13 marzo 2022

Opéra di Monte-Carlo, Salle Garnier, ore 15

Joseph Haydn, Sonate per pianoforte nn. 31 e 39
Claude Debussy, Hommage à Haydn, Preludi (secondo volume)

Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte

Auditorium Ranieri III

Anton Webern, Im Sommerwind, Passacaglia per orchestra
Béla Bartók, Concerto per pianoforte  orchestra n. 3
Henry Dutilleux, Sinfonia n. 1

Orchestra Filarmonica di Monte-Carlo
Kazuki Yamada, direttore
Dezsö Ranki pianoforte

 

 

Festival Printemps des Arts, Monte-Carlo (10 marzo‑3 aprile 2022), Week end dall' 11 al 13 marzo.

« La pandemia ci ha fatto perdere pubblico, come è successo ovunque. E ora stiamo cercando di recuperare » esclama il compositore francese Bruno Mantovani, da un anno nuovo direttore artistico. Si è rinnovato, nel Principato di Monaco, il festival Printemps des Arts, spalmato questa volta in quattro fine-settimana, tra marzo e aprile. È la prima edizione concepita da Mantovani, e giunge dopo le precedenti diciannove firmate da Marc Monnet, il quale ha saputo conferire alla manifestazione una precisa identità, indirizzandola soprattutto al versante musicale. Lamentando il calo di spettatori – tra chiusure generali e poi parziali, concerti gratis su internet, sale semivuote per timore di contagio, piattaforme tv come Netflix e simili – Bruno Mantovani ha stigmatizzato, da un lato, la minore disponibilità del pubblico ad ascolti impegnativi, e, come negativo pendant, la diffusa tendenza dei compositori giovani a proporre novità di breve durata, cinque minuti o poco più, per farsi più facilmente accettare. 

La risposta di Mantovani ? Rieducare e far riabituare gli ascoltatori a programmi di maggior spessore e durata, anche per garantire un futuro alla stessa attività compositiva. Ecco quindi che, sia nei concerti del week end inaugurale da noi seguìto, sia nei successivi, è apparsa evidente una decisa consistenza dei programmi, più lunghi e folti del solito. Un criterio che però desta perplessità, non soltanto perché non interviene sulle radici del problema, ma perché è impensabile incidere sui cambiamenti sociali prodotti dalla pandemia, inchiodando il pubblico alla poltrona. E infatti molti enti di spettacolo e compositori già stanno considerando, accanto ai programmi di repertorio, nuove produzioni che non superino un’ora e mezza, se possibile senza intervallo.

Il desolante periodo di sale chiuse e silenzio obbligato  – ha aggiunto il musicista francese –  lo ha spinto a cercare nel patrimonio del passato, nella storia della musica, una risposta alle angosciose domande indotte dalle insicurezze della situazione attuale. L’attenzione alla storia, l’intento di ricucire un legame fra le certezze trasmesse dalla tradizione e le odierne aspirazioni creative ha occupato il centro del suo interesse, ed è stato quindi il retroterra del progetto artistico di quest’edizione. Non a caso la serata inaugurale del Festival è stato riservata alla Messe de Nostre Dame di Guillaume de Machault, il gigante della musica francese nel secolo XIV. E significativamente Mantovani ha scelto, come motto del Festival inserito nel logo, il titolo del celebre rondeau, sempre di Machault, Ma fin est mon commencement (La mia fine è il mio inizio): la fine di una fase artistica, vedi gli effetti della pandemia, sovente è in sé un nuovo inizio creativo.

Jean-Efflam Bavouzet con l'Orchestra Filarmonica di Strasburgo

Ma un altro indirizzo centrale, nel programma di quest’anno, è stato, a campione qua e là, il ripercorrere in parte l’evoluzione stilistica di un autore tra diversi momenti del suo catalogo, per approfondirne la personalità. E poi, guardando agli interpreti in cartellone, un’ulteriore scelta è stata quella di impegnarne alcuni su repertori molteplici, come nel caso del pianista Jean-Efflam Bavouzet, o su programmi che alternassero titoli classici e contemporanei, come nel caso del francese Quartetto Voce. Un week end ha poi avuto come protagonista l’Armenia e la sua creatività musicale e artistica, intrecciando anche qui eredità storica e pagine contemporanee, con la presentazione, in prima assoluta, del balletto Sept, les anges de Sinjar. Un lavoro che ha impegnato la Compagnia Hallet Eghayan, su musica di Aram Hovhannisyan e Michel Petrossian, e coreografia di Michel Hallet Eghayan con l’Ensemble Orchestral Contemporain diretto da Léo Margue. E di un artista armeno, Sergej Parajanov (1924–1990), al quale è stata dedicata una mostra, è l’opera prescelta come logo del Festival. Nell’insieme, un cartellone con quattro importanti orchestre più un gruppo da camera, quattro prime assolute, vari direttori d’orchestra e solisti di fama.

 

Ensemble Gilles Binchois

Abbiamo seguito gli appuntamenti del week end di apertura, a parte la Messe de Nostre Dame. È stato sempre Machault a introdurre il concerto successivo. L’Ensemble Gilles Binchois, formazione vocale di finissimi conoscitori e cesellatori di musica antica, ha intonato il celebre rondeau Ma fin est mon commencement. Pochi minuti, ma di musica celestiale, a cappella. E la trasparenza, la purezza cristallina di questa pagina, nella mirabile esecuzione dell’ensemble ospite, è soltanto un aspetto di questo capolavoro, straordinariamente complesso nel suo impianto di canone retrogrado.

Marco Letonja a capo dell'Orchestra Filarmonica di Strasburgo

Poi, il direttore d’orchestra sloveno Marko Letonja è salito sul podio dell’Orchestra Filarmonica di Strasburgo, per il Sirens’ Song di Peter Eötvös. Pagina suggestiva del compositore-direttore ungherese, questa partitura è apparsa molto ben valorizzata nella sua fisionomia antropomorfa e nella prismatica tavolozza di colori, soluzioni, vedute. Al centro della serata, ben due concerti di Sergeji Prokov’ev per pianoforte e orchestra, il primo e l’ultimo, l’uno in re bemolle maggiore, e il quinto in sol maggiore. Solista, Jean-Efflam Bavouzet. Un’impresa che il pianista francese risolve con la sicurezza e lo spessore interpretativo dell’artista di alto livello. E, se il profilo giovanile del primo lavoro annuncia, sì, la visione percussiva dello strumento ma governando in un’architettura discorsiva le sonorità più aspre e i passaggi grotteschi, la scrittura del Concerto n.° 5  – asciutta, controllata nel suo motorismo ritmico dall’equilibrio tra solista e orchestra  – impone un impegno tecnico estremo, richiesto dai continui salti e spostamenti nell’uso del registro acuto. Con sbalorditiva sicurezza, Bavouzet risolve pienamente la sfida. A chiudere la serata, Il Mandarino meraviglioso di Béla Bartók, che ha procurato al direttore Letonja e all’Orchestra di Strasburgo le cordiali acclamazioni del pubblico.

Sandro Compagnon (Sassofono) e Gaspard Dehaene (pianoforte)

Panorama del tutto differente quello esibito dal concerto per saxofono e pianoforte, che nello spazio del Tunnel Riva ha portato sulla scena il duo formato da Sandro Compagnon e da Gaspard Dehaene. Una locandina di autori francesi, dal tardo Ottocento in avanti, ha offerto una carrellata di pezzi per saxofono contralto e pianoforte, fino alla Rapsodia  firmata da Debussy. Giungendo a Ravel, il programma ha poi proposto delle trascrizioni della Sonatine per pianoforte, e della Sonata per violino e pianoforte. Un programma curioso, reso singolare dalle qualità dei due interpreti, a proprio agio nel loro dialogo, raffinato e convincente sul piano del fraseggio, della qualità di voce, della gamma di colori. Soprattutto, nelle pagine da Ravel ha stupito la disinvoltura e la proprietà esecutiva con le quali il saxofonista, Sandro Compagnon, ha saputo impiegare la tecnica della respirazione continua, indispensabile per rendere quelle trascrizioni aderenti alla condotta della scrittura originaria.

Il pianista Jean-Efflam Bavouzet, non pago dei due concerti di Prokov’ev nella stessa serata, ha poi suggellato il programma del week end con recital diversi nelle due giornate successive. Di sicuro, un impegno da far tremare altri esecutori, mentre l’interprete francese li ha onorati con una resa e una personalità artistica sorprendenti. Entrambi i recital erano centrati sull’accostamento di sonate di Haydn e di pagine di Debussy, cavalli di battaglia dell’artista transalpino, interprete di incisioni integrali in materia. Nel primo concerto, dopo la Sonata n. 59 di Haydn era la volta di Ballade, Nocturne en ré bemol, Danse (Tarentelle styrienne). Dopo l’intervallo, l’haydniana Sonata n. 62 è stata seguita dai pezzi di Debussy, Estampes e L’Isle joyeuse. Impaginazione differente nel giorno successivo : prima parte tutta con le Sonate per pianoforte nn. 31 e 39 di Haydn ; seconda parte tutta dedicata a Debussy, con Hommage à Haydn e Preludi (secondo volume). Più convincente questa seconda disposizione, piuttosto che la precedente ad autori alternati. Impossibile, qui, dare conto nel dettaglio delle letture di Bavouzet, pienamente calate nei rispettivi mondi e autori attraversati. Nell’insieme, comunque, un cimento impressionante per l’agiatezza e il dominio esibiti da un interprete di grande personalità.

Dezső Ránki (pianoforte) Orchestra Filarmonica di Monte-Carlo, Kazuki Yamada (Dir.)

Di alto livello anche l’appuntamento conclusivo del primo week end, suggellato dall’esibizione della compagine di casa. L’Orchestra Filarmonica di Monte-Carlo, diretta da Kazuki Yamada, che ne è anche direttore artistico e musicale, ha presentato un programma di repertorio in gran parte, con Im Sommerwind e Passacaglia per orchestra di Anton Webern, e il Concerto per pianoforte e orchestra n.° 3 di Béla Bartók, solista Dezső Ránki. Il pianista ungherese, ben sorretto da orchestra e direttore, ha illuminato alla perfezione l’architettura e le coordinate di questa pagina, mettendone in evidenza le relazioni fra sobrietà di pensiero, calore di contenuti emotivi, limpidezza linguistica. Esemplare l’Adagio religioso, pacatamente distillato da Ránki nel suo profilo rarefatto e contemplativo. Yamada e la Filarmonica di Monte-Carlo, a chiusura della serata, hanno infine dispiegato una coinvolgente lettura della Sinfonia n.° 1 di Henry Dutilleux, valorizzando le suggestive qualità e la temperatura espressiva di questo magnifico lavoro.

 

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Francesco Arturo Saponaro
Francesco Arturo Saponaro ha esercitato a lungo l’attività di docente in Storia della musica, e di direttore in Conservatorio. Da sempre mantiene un’attenta presenza nel campo del giornalismo musicale. Scrive su Amadeus, su Classic Voice, sui giornali on line Wanderer Site e Succede Oggi. Ha scritto anche per altre testate : Il Giornale della Musica, Liberal, Reporter, Syrinx, I Fiati. Ha collaborato per molti anni con la RAI per le tre reti radiofoniche, conducendo innumerevoli programmi musicali, nonché in televisione per RaiUno e TG1 in rubriche musicali.
Crediti foto : © Alain Hanel
© Alice Blangero

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