Giuseppe Verdi ad Arrigo Boito :
Montecatini, 7 luglio 1889
[…] “Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme dei miei anni ? […] E se non reggessi alla fatica ? E se non arrivassi a finir la musica ? […]
Avete voi una buona ragione da opporre alle mie ? Lo desidero, ma non lo credo.
Pure pensiamoci (e badate di non far nulla che possa nuocere alla vostra carriera), e se voi ne trovaste una per una parte, ed io la maniera di levarmi dalle spalle una diecina d’anni, allora…Che gioja ! poter dire al pubblico :
SIAMO QUA ANCORA!!
A NOI!”
Detto, fatto. La sera del 9 febbraio 1893 al Teatro alla Scala si alza il sipario sull’estremo capolavoro lirico del grande vecchio della lirica italiana.
Nell’alternarsi di eccitazioni creative e momenti di sconforto, inframezzati da dichiarazioni tese a sviare l’interesse del pubblico, in meno di quattro anni Giuseppe Verdi consegna la sua commedia lirica alle scene.
Ed è la Strepponi, sua moglie, l’unica cui il Maestro non riesce a nascondere il proprio umore e pensiero, a metterci sulla strada giusta per capire l’opera rispondendo ad una richiesta di Giuseppe De Sanctis e descrivendo lo spirito dell’Autore alle prese con il proprio ingegno :
“…non potrei farvi il regalo (come voi dite) di alcun dettaglio sul Falstaff. Verdi per dar pascolo alla sua attività e per divertirsi cercava e vagheggiava un soggetto di opera buffa (non buffona) e la sua scelta cadde su Falstaff. […] Lo finirà, non lo finirà ? Lo darà, non lo darà ? È nelle possibilità dell’avvenire, ma nessuno potrebbe dirlo, neppure lui stesso, ecco tutto. Lo scopo era di occuparsi divertendosi, Verdi si occupa e si diverte. Del resto ad onta dei suoi 77 anni sta bene ed è più giovane e svelto di tanti giovani che sono vecchi a venti, venticinque anni ! […]”
Opera buffa e non buffona, dunque, Falstaff è il soggetto a lungo vagheggiato da Verdi per scrivere una commedia lirica dove il sorriso viaggia a braccetto con la pacatezza, la burla è imbrigliata dalla ragione. Con distacco senile l’occhio si posa affettuosamente sulla coppia dei giovani innamorati. Falstaff non è la rivincita sui difficili momenti di un ragazzino solitario a Milano, sui fischi che accolsero Un Giorno di Regno, ormai tutto è passato. Verdi si diverte e lo fa alla sua maniera, ride spontaneamente ma mai sguaiatamente, trattando le emozioni con quella misura che il suo amore per la campagna gli ha insegnato.
E la musica fluisce con ispirazione instancabile e in apparenza spontanea, la sapienza dell’orchestrazione è degna dei grandi sinfonisti europei, un concatenamento di cellule melodiche disegna di volta in volta le atmosfere trascritte da Boito che si tratti di una lite tra ubriachi, del cicaleccio delle comari, della meditazione sulla vecchiaia del vecchio John, della mascherata…Alla fine Tutto nel mondo è burla ! Verdi reinventa ancora una volta il proprio stile e getta semi per il futuro che a stento germoglieranno nella giovane scuola.
Andata in scena per la prima volta a Cagliari nel 2008, e ripresa nello stesso teatro lo scorso anno, la produzione di Falstaff affidata alla regia di Daniele Abbado è uno spettacolo garbato e godibile, che nelle parole del regista punta su leggerezza, buon umore e un pizzico di sensualità femminile.
Senza clamorosi alti né bassi, la narrazione si sviluppa per tutta l’opera su di una pedana circolare inclinata, da cui in chiusura di spettacolo scendono i protagonisti a sottolineare la morale della fuga che accompagna il sipario.
Tutta rivestita con tavole di legno, nella piattaforma circolare si alternano una serie di botole grandi e piccole da cui escono i personaggi, mentre pochi elementi scenici calati dall’alto concorrono a ricreare le diverse ambientazioni. L’aspetto dell’insieme è minimale ma elegante, anche grazie alle luci calde e rassicuranti di Luigi Saccomandi, cui i costumi curati da Carla Teti (senza tempo ma comunque post anni ’50) non infondono particolare varietà differenziandosi spesso per pochi curati dettagli.
Sir John Falstaff troneggia principesco sul letto che campeggia nel centro della scena nel primo atto e se ne alzerà solo a fatica quasi a calarsi tra il popolo come un Re Sole, mentre nella seconda parte le lenzuola stese ad asciugare creano l’occasione per i siparietti degli uomini intenti a ordire le loro ridicole trame, delle comari a beffarsi del pancione e dei due amorosi.
In un ideale parallelo tra canaglie improvvisate il pensiero non riesce a non andare indietro ad una storica gang altrettanto farsesca, con una curiosa analogia. Tra altre lenzuola appese ad asciugare nacque la commedia all’italiana con la regia di Mario Monicelli…
Nei restanti atti restando inalterata l’idea di base dello spettacolo, si vedranno ancora materializzarsi sul piano inclinato l’Osteria della Giarrettiera, l’interno della casa di Ford, un piazzale davanti all’Osteria ed il parco di Windsor sempre con pochi elementi scarni e geometrici.
Se questa commedia verdiana ben si presta ad essere resa con leggerezza, anzi la pretende, è pur vero che l’impostazione registica in taluni momenti ha dato vita ad una certa sensazione di monotonia, pur volendo riconoscere l’efficacia visiva di momenti come il finale secondo e il finale terzo.
Con l’avanzare della vicenda Falstaff acquisisce anche solo fuggevolmente, infatti, consapevolezza della propria condizione. Trascurare il disincanto che matura battuta dopo battuta, tanto nel personaggio quanto nella musica, finisce per togliere profondità alla vicenda e per renderla monocroma. Così la fuga finale che dovrebbe farci meditare serenamente sulla nostra condizione centra il bersaglio solo parzialmente, per assenza di contrasto con le scene precedenti.
Chiamato a sostituire l’atteso Daniel Harding, che non ha potuto dirigere per un incidente che gli ha procurato la rottura del polso, Donato Renzetti conferma la solidità del mestiere con una direzione briosa, che poco lascia all’abbandono sensuale in perfetta sintonia con l’approccio registico.
Le raffinatezze della strumentazione verdiana emergono con sufficiente chiarezza, seppure spesso rigidamente, e l’orchestra conferma la buona salute delle sezioni degli archi e dei fiati.
I tanti incisi strumentali si susseguono con brillantezza senza che una vera ricerca timbrica e dinamica sottolinei i diversi stati d’animo, minando in taluni momenti la sostanza della commedia (è soprattutto la prima scena del secondo atto a soffrirne, anche in conseguenza di alcuni problemi nel rapporto tra buca e palcoscenico) ma restituendo, in ogni caso, una pregevole lettura dell’opera.
Protagonista di rilievo internazionale, il baritono Carlos Álvarez interpreta il ruolo di Falstaff con voce sicura e senza eccessi. Preciso nel rispetto dei segni musicali, Álvarez interpreta un Falstaff misurato, per nulla ridicolo o esibizionistico, senza essere distaccato. Buona la dizione e sicura l’emissione nell’intera estensione vocale.
A far da valido antagonista, del Ford del finlandese Tommi Hakala, vincitore del BBC Singer of the World Competition di Cardiff nel 2003, occorre ricordare la bella presenza scenica sostenuta da una voce chiara ed agile, tecnicamente corretta nell’intero registro. Buone le prove di Andrea Giovannini, Patrizio Saudelli e Deyan Vatchkov convincenti scenicamente e musicalmente, diversamente dal Fenton di Francesco Marsiglia a disagio negli estremi (pochi) acuti del proprio ruolo emessi con voce ingolata.
Complessivamente convincente il quartetto femminile, dove l’Alice di Erika Grimaldi si impone per il bel colore vocale, l’emissione sicura e la spigliata e sensuale recitazione. Accanto a lei, la Nannetta di Valentina Farcaș è incantevole nella fresca, immacolata linea vocale e Meg di lusso, come da attese, si conferma Monica Bacelli.
Note meno liete dalla Quickly di Sonia Prina : se l’immedesimazione scenica nel ruolo è già di livello, la resa musicale è per contro ancora incompleta per via del disagio nei passaggi gravi e per una linea musicale in diversi momenti periclitante (segnatamente il duetto con Falstaff del secondo atto).
Buona, come sempre, la prova del coro diretto da Claudio Fenoglio.
Al termine della prima rappresentazione del 15 novembre, applausi convinti del pubblico per tutti gli interpreti, in particolare per il direttore Donato Renzetti e per il baritono Carlos Álvarez.