Il coro degli ebrei “Va pensiero…” del Nabucco fu fin dall'inizio oggetto di una lettura tra le righe da parte del pubblico dell'epoca : gli ebrei in realtà erano quegli italiani ancora oppressi dall'occupante austriaco e il coro divenne un grido di battaglia e poi (e ancora oggi) un inno non ufficiale dell'Italia moderna. Se tutti sono d'accordo con questa rilettura, è perché tutti sono d'accordo che Nabucco racconta qualcosa che va ben oltre la vicenda dell’opera.
Perché in queste condizioni attaccare una rilettura moderna che non dice altro che il significato reale dell’opera nel corso dei secoli ? Questa è la domanda che si pone davanti alla la tempestosa accoglienza ricevuta durante la prima rappresentazione, in totale contraddizione con la lettura dell'opera fin dalla sua creazione.
Non appena si alza il sipario (i corridoi di una moderna nave da guerra, o almeno quelli del 2046, dopo un'apocalisse testimoniata da immagini video – la Siria devastata di oggi), le prime grida nel pubblico scoppiano in modo così coordinato da non poter essere spontanee. Una spettatrice non lontana da me sta mandando messaggi ai suoi colleghi collocati in punti strategici del teatro. Sembra che tutto sia stato calcolato in anticipo per distruggere la rappresentazione. Ma tutto si calma abbastanza in fretta, perché il successo musicale impone il silenzio e la sala comincia a stancarsi, ma le grida riprendono durante una pausa teatralizzata. Ai saluti, Stefano Ricci e Gianni Forte sono ovviamente fischiati, ma come ogni altro regista un po’ disturbante, senza far tacere gli applausi, ben più numerosi.
Al di là di questi giochi circensi, familiari al teatro lirico da molti anni, si vede però che questi "difensori" dell'opera non si sono agitati così per I due Foscari, produzione molto più piatta, e in tutte le altre rappresentazioni. Il pubblico di Parma, considerato nervoso e difficile (come dice la sua leggenda), sembrava così indifferente da applaudire a malapena i direttori, intervenendo a volte al momento sbagliato, e non essendo certo una forza di supporto per gli artisti. Quindi si sono svegliati in questo modo nel momento sbagliato, protestando contro una produzione piuttosto degna di interesse.
Ricci/Forte, performing arts ensemble è una compagnia che ha fatto del teatro un mezzo per porre visioni del nostro mondo, guardandone i problemi, i difetti onde stimolare la riflessione dello spettatore. Seguendo gli insegnamenti di Brecht, si tratta di fare del teatro uno strumento di analisi del mondo, per fare dello spettatore un essere consapevole e informato. Gianni Forte spiega perfettamente il loro approccio nell'intervista che ci ha rilasciato lo scorso maggio, che il lettore può consultare cliccando sul link sottostante "100% Furioso".
È ovvio che attraverso la trama, ma anche attraverso la storia della ricezione dell'opera in Italia, Nabucco non poteva sfuggire al bisturi dell'analisi chirurgica di Ricci/Forte. E questa volta, questa regia rispetta i prerequisiti di un Festival che deve presentare visioni diverse, alternative di opere molto popolari nei cartelloni dei teatri.
La prima osservazione è la trasposizione del problema degli ebrei a quello dei popoli vittime di oppressione, e in particolare dei migranti o rifugiati di tutte le epoche in un'Italia dove la questione della migrazione è una questione politica, su cui alcuni giocano senza riguardo per il lato semplicemente umano della facenda. L'ambientazione, una nave militare, è una sorta di nuova via dell'Arca di Noè, per una comunità di oppressori ritornati ad antichi riti delle origini ; è un ambiente volutamente metallico e agghiacciante,costantemente attraversato da guardie. È un esperienza di confinamento doppio : una nave è uno spazio chiuso, le vittime sono doppiamente intrappolate sia dallo spazio chiuso, sia da coloro che le hanno accolte in modo così ostile, perché non possono più vivere sulla terraferma devastata da guerre apocalittiche…
A questi profughi viene chiesto fin dall'inizio di sbarazzarsi dei salvagenti arancioni, l'unico punto di colore vivo in questo mondo cupo (e unico modo per fuggire) e poi di essere identificati da Zaccaria, vestito da sacerdote, cattolico, una sorta di referente e intermediario tra oppressori e oppressi. Siamo molto vicini ad un universo di Lager (tra l’altro in legame con la storia degli Ebrei) dove ognuno diventa un numero, abbandonando i suoi documenti d'identità
Ricci/Forte ha immediatamente sollevato la questione dell'oppressione, in linea con il libretto.
Ma Nabucco pone anche la questione degli oppressori e delle loro ambizioni interne. Fenena è la figlia di Nabucco, non riconosciuta e lasciata in mezzo agli oppressi, accuratamente emarginata da un'Abigaille che segue da vicino il presunto padre Nabucco e si fa fotografare tra i rifugiati per curare la sua comunicazione. E Nabucco, il cui ritratto si affaccia su uno schermo video, appare in abiti autocratici, come questi dittatori dell'Asia centrale, ai quali il cantante di origine mongola Amartuvshin Enkhbat ci fa credere in modo molto realistico.
Se Nabucco è la storia dell'oppressione, è anche quella di un colpo di stato, dove Abigaille prende il potere in un momento in cui Nabucco pensa di essere diventato Dio. Anche in questo caso, la messa in scena rispetta perfettamente i dati del libretto, provocando anche agitazione del pubblico in un momento in cui Abigaille, sempre preoccupata dalla sua immagine, distribuisce regali di Natale ai piedi di un albero, avendo sostituito il ritratto del padre con il suo, un padre umiliato, distrutto, che porta via il suo regalo come lo farebbe un vecchio in una Casa di riposo, completamente decaduto.
Allo stesso tempo, le scene cambiano allargandosi su un orizzonte fatto di opere d'arte, resti di una civiltà scomparsa, resti di una cultura abbandonata, che ha perso senso. Inoltre, ci chiediamo se queste opere siano quelle che Abigaille ruba per uso personale, o se vi siano conservate, una sorta di resti inutili in un mondo disumanizzato e aculturato : anche qui c'è il colore di un monito rivolto direttamente allo status della cultura nel mondo di oggi, oggetto di turismo più che di pensiero, e soprattutto alla cultura italiana, al modo in cui la cultura viene trattata in questo paese con un patrimonio di incomparabile ricchezza : non è casuale la presenza della statua del Mosè di Michelangelo impacchettata, ovviamente scelta per il suo rapporto con il soggetto e il popolo ebraico, ma anche opera uno degli artisti italiani più famosi ed emblematici della storia dell’arte e della cultura italiana.
Non è casuale neanche quando il coro inizia il "Va pensiero", tra le statue e le casse di opere d'arte in una magnifica immagine con luce morse e nostalgiche di Alessandro Carletti, conferendogli anche un valore emblematico, che sembrerebbe dire in modo straziante : "Italia cosa stai facendo con la tua cultura ? e quindi con la tua identità". È uno dei dati centrali di questo lavoro : dimostrare che il mondo disumanizzato presentato trova indici seminati nel mondo di oggi, e soprattutto nella Penisola, perché Nabucco ha un valore emblematico per questo paese e può quindi anche raccontare questa storia particolare. Dietro gli occhi, Stefano Ricci e Gianni Forte portano un discorso forte e anche commovente su quest'Italia che si perde : notiamo che durante la preparazione dello spettacolo, il governo italiano era di estrema destra. Queste immagini fanno nascere un evidente disagio, perché oltre all'Italia, c'è anche il resto del mondo che non va meglio, anzi. Se "La nave va", va molto male.
E' quindi una visione altamente politica quella che questa lettura propone, cercando di rispettare sia il libretto e il suo sviluppo, di rispettarne lo spirito, ma anche di dire cosa esso significa tra le righe : Verdi, così legato all'identità dell'Italia, è stato allo stesso tempo artista europeo, aperto e profondamente umanista e quindi il messaggio va oltre i confini del tempo, della tradizione e del paese in cui è nato.
Infine, vanno segnalati due punti :
- Ricci e Forte non si fermano alle parti musicali, ma offrono anche uno spettacolo continuo e teso sfruttando le pause che arricchiscono con significative pantomime : la prima pausa (con pubblico già agitato) mostra i soldati che distruggono con il frantumatore i libri che hanno preso dai rifugiati (il pericolo dei libri, ma anche del Libro, cioè il Messaggio, il Verbo : a molte dittature non piace molto il libro, ma neanche il discorso religioso – a cominciare dai nazisti) . Ecco perché Zaccaria lo fa vedere come segno di resistenza.
Durante una seconda pausa, in una coreografia molto ben fatta e commovente, si vede l'annegamento e la morte dei profughi, fatta da una semplice corda blu trafilata che rappresenta il mare e i corpi che vi si uniscono, vi si attaccano e vi annegano dentro. Una visione che ovviamente ci ricorda ciò che sta accadendo nel Mediterraneo orientale e che richiederebbe silenzio, ma che è stata rovinata dalle reazioni di alcuni con dei "basta", "sveglia", "musica" (e altre grida più aggressive) che mostrano una totale mancanza di senso comune dell’opportunità. Effetto distrutto.
- D'altra parte, il finale fa vedere una Abigaille che muore interrompendo la gioia generale, chiedendo perdono e si vede il suo “doppio” impiccato : pensiamo alle immagini della morte di Saddam Hussein a cui gli autori forse si riferiscono. Ma questa immagine terribile ci dice la violenza continua di tutti i poteri. Nabucco può avere riconquistato il suo potere in nome del suo nuovo Dio di cui ha sposato la fede e la legge, e così sposare il senso dell’umanità portato da Zaccaria, ma in realtà non c'è tempo per la clemenza, non c'è tempo per la riconciliazione ne per il perdono, un valore cristiano centrale che cede davanti alla permanenza della violenza stessa. Questo fine non è ottimistico.
Da questo lavoro molto rigoroso, sia per le scenografie realistiche e astratte di Nicolas Bovey, sia per le magnifiche luci di Alessandro Carletti, sia per il meticoloso lavoro di Stefano Ricci e Gianni Forte, dobbiamo ricordare non solo la serietà dell’impresa ma anche il felice auspicio che l'opera lirica in Italia possa uscire da visioni troppo spesso tradizionali e mummificate. Alcuni tendono a sottolineare che l'opera tedesca è più adatta dell'opera italiana per le "letture" più esigenti. Ricci e Forte ci dimostrano il contrario : quando una lettura è intelligente e significativa, illumina un'opera, qualunque essa sia, e la lirica non è necessariamente condannata ad allestimenti illustrativi realizzati per belle foto, con bellissimi costumi in belle scene. Far piacere facendo pensare dovrebbe essere oggi la legge del teatro.
Ma, come sempre, una grande regia trova il suo significato e supporto anche nell’esecuzione musicale esemplare, altrimenti rimane vuota. Una delle cause del fallimento delle urla degli spettatori agitati è proprio il successo musicale della compagnia, con uno spettacolo spesso interrotto da ovazioni a scena aperta, o addirittura il bis del "Va pensiero…". E infatti prima di tutto, dobbiamo rendere giustizia al magnifico coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiano, chiarezza di dizione, fraseggio, potenza ma anche sfumature e colore. Un momento eccezionale.
Dobbiamo anche rendere giustizia al giovane direttore Francesco Ivan Ciampa, che fin dall'inizio non si lascia turbare dall'agitazione del pubblico, neanche dalle aggressioni ("Maestro come puoi permettere tutto questo?"). C’è invece consapevolezza della forte coesione del team artistico : senza dubbio sono tutti felici di contribuire, nel complesso, a qualcosa che finalmente esce dall’abitudine. La sua direzione non è mai chiassosa, sempre tesa, con una vera pulsazione e un'orchestra senza scorie. C'è nella sua direzione energia, forza, ma anche dinamica e lirismo, senza mai essere fiacco, senza mai rilasciare l’attenzione alla linea globale. Ciampa fa parte di questa generazione di direttori italiani che stanno raggiungendo un livello di eccellenza invidiabile : quale altro paese può vantare un così gran numero di giovani direttori interessanti che i teatri esteri chiamano sempre più numerosi. Nonostante le difficoltà della vita artistica italiana, i conservatori continuano a formare e produrre artisti davvero degni di interesse. Lo stesso vale per le orchestre, spesso di una qualità che va ben oltre la loro reputazione.
E poi c'è una compagnia di canto senza l'ombra di una debolezza, a cominciare dai ruoli secondari ben interpretati, dalla giovane e potente Anna di Elisabetta Zizzo, a Gianluca Breda (Gran prete di Belo con voce profonda) e all’Abdallo efficace di Manuel Pierattelli.
L’Ismaele di Ivan Magrì, con il suo timbro chiaro e la voce ben proiettata, forse meno lirica, ma più impegnata, è molto espressivo in una parte spesso sacrificata.
Annalisa Stroppa è una Fenena lirica, con una voce molto presente, un timbro caldo e di alta qualità : sa imporsi nei concertati mostrando anche una raffinatezza esemplare nelle parti solistiche. Ecco un'artista che si sta gradualmente affermando come uno dei mezzosoprani più interessanti della scena attuale.
Michele Pertusi raccoglie un meritato trionfo : ha tutto, l'autorità innegabile, il senso del testo, detto con estrema attenzione, curando l'espressione in tutte le sue inflessioni, con un'esemplare sensibilità al colore. È un canto completamente padroneggiato in tutte le sue componenti, che sa anche esprimere una profonda umanità. Tutto nella sua tecnica di ferro ci ricorda che fu un raffinatissimo belcantista e un grande rossiniano. Davvero favoloso.
Saioa Hernández è un'Abigaille eccezionale. Ha ovviamente le necessarie note acute, ma anche agilità vocale, omogeneità dal basso all'alto (soprattutto nelle scalette iniziali) ma anche sobrietà, un certo lirismo che la rende, soprattutto nella scena finale, particolarmente commovente. E’ completamente padrone della parte, nella sua freddezza e anche nelle sue debolezze. Un mostro, ma umano. E il suo canto fa anche vedere tutti gli aspetti del personaggio. Un’Abigaille che sa anche cantare con sfumature : è abbastanza raro da essere sottolineato. Non ce ne sono molti sul mercato.
Infine, Amartuvshin Enkhbat, che ha una voce naturale eccezionale per linea, tenuta del soffio, profondità e potenza. L’artista è maturato molto : ora ha un fraseggio italiano impeccabile, una dizione esemplare e una vera espressività, che un tempo gli mancava. Il risultato è un Nabucco eccezionale sotto ogni aspetto, con un'autorità impeccabile, ma anche nei momenti più contenuti una presenza reale, soprattutto nella sua scena con Abigaille (parte III): i "deh perdona…ad un padre che delira" sono davvero strazianti. Splendido.
Ecco una produzione che dovrebbe aprire la strada a un Festival Verdi la cui identità non sembra ancora consolidata. Il successo della produzione, nonostante le grida di disapprovazione, è un'importante garanzia per il futuro. Un Festival Verdi è inutile se ci viene presentato solo ciò che vediamo ovunque. Anche se protesta il pubblico locale, che è immerso in Verdi e ne è stato a lungo il grande difensore, al punto da essere considerato una "leggenda teatrale". La strada della singolarità deve essere seguita per segnare il suo carattere festivaliero e la sua originalità. Ma questa direzione è garantita, come lo abbiamo visto, solo se la musica è ineccepibile, perché allora l'intera impresa ha senso. Ricci/Forte da un lato, Ciampa e l'intero cast dall'altro ci hanno dimostrato quale potere visionario può raggiungere Verdi quando il senso dell'opera ci è così svelato.