Giuseppe Verdi (1813–1901)
Don Carlo
Opera in quattro atti
(Versione di Milano)

Direzione musicale : Michele Mariotti
Regia : Henning Brockhaus
Scene : Nicola Rubertelli
Costumi : Giancarlo Colis
Coreografia : Valentina Escobar
Collaboratore alle luci : Daniele Naldi

Don Carlo : Roberto Aronica
Rodrigo di Posa : Luca Salsi
Filippo II : Dmitrij Beloselskij
Il Grande Inquisitore : Luiz-Ottavio Faria
Elisabetta di Valois : Maria José Siri
La principessa Eboli : Veronica Simeoni
Un frate : Luca Tittoto
Tebaldo : Nina Solodovnikova
Voce del cielo : Erika Tanaka
Il conte di Lerma : Massimiliano Brusco
Un araldo : Rosolino Claudio Cardile
Deputati fiamminghi : Federico Benetti, Alex Martini, Luca Gallo, Paolo Marchini, Abraham Garcìa Gonzales, Carlo Malinverno

Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del coro : Andrea Faidutti

Teatro Comunale di Bologna, domenica 10 giugno

Era una ventina d’anni che il Don Carlo mancava dal palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna. E questo nuovo allestimento ha visto anche il debutto di Michele Mariotti nel capolavoro verdiano, qui presentato nell’edizione in quattro atti, in lingua italiana, edizione che proprio a Bologna vide la luce nel 1884. Molto apprezzabile sul piano musicale, lo spettacolo ha invece destato serie perplessità nella regia di Henning Brockhaus, coadiuvato da Nicola Rubertelli per le scene e da Giancarlo Colis per i costumi.

Atto I

D’impronta fortemente razionalista, la scenografia era impostata su un esplicito dualismo : il fondo presentava via via motivi ispirati alla pittura informale, mentre in primo piano, ai lati e a incorniciare lo sfondo, superfici rilucenti e geometriche richiamavano suggestioni di tendenza astratta. Dualismo che presumibilmente potrebbe richiamare, se ho ben inteso, l’asse portante dell’opera : lo scontro tra ragion di stato e peso del potere negli elementi astratti, quasi granitici, e tra passioni, inquietudini, sentimenti nei disegni informali. Un impianto scenico scaturito da un’idea rispettabile, anche se non accattivante nella sua cupezza.

Quanto alla regia invece, nella sostanziale modestia del progetto ciò che non convince è la serie di trovate gratuite. La più ridicola e invadente è la silente onnipresenza del Grande Inquisitore, appollaiato come mummia su un ridondante trono semovente, modello Wojtyla, con tanto di gradini che il cieco novantenne addirittura scende e risale, senza difficoltà, nel duetto con il Re. Fiacca e dimessa, in precedenza, la scena dell’auto da fè  – anche se qui potrebbero aver pesato esigenze di risparmio, come peraltro nella scelta della versione in quattro atti  – con i condannati al rogo conciati in stile sadomaso. Volgare poi l’invenzione in apertura dell’atto III, con Eboli che sorge silenziosa dal fianco di Filippo, adagiato sul talamo regale, che altro non è che un materassino da spiaggia adagiato al suolo ! Prima della grande aria, inoltre, il Re si copre incomprensibilmente la testa con un asciugamano… E che dire, più avanti, della vestizione a monaca della stessa Eboli, altra trovata inutile ? Tutto questo in un progetto complessivamente elementare di movimento degli interpreti.

Ben diversa la qualità della resa musicale. La concertazione di Michele Mariotti presenta i frutti di un lavoro attento a illuminare una partitura difficile, e densa come poche. L’equilibrio dei piani sonori percorre adeguatamente i flussi drammaturgici, calibrando con morbidezza gli intrecci orchestrali. La direzione scorre con sicurezza, guidando il suono dell’orchestra del Comunale a una resa ben articolata ; dinamiche, colori, accenti obbediscono a un tracciato interpretativo consapevole, ma non sempre sensibile ad alcune sfumature. Il lavoro sulle voci avrebbe richiesto una più matura profondità. L’esuberanza del tenore Roberto Aronica, don Carlo, esigeva dal podio un controllo più accurato di slanci sovente eccessivi. Così come, nella grande aria di Filippo II, non emerge l’indispensabile senso di remota, distaccata amarezza che rende monumentale quella pagina. Mariotti è sì una bacchetta di sicure qualità tecniche e culturali, che sta acquistando via via esperienza e maturità, ma non gli giova l’onda lunga mediatico-istituzionale che da tempo palesemente lo sospinge.

Maria José Siri (Elisabetta), Veronica Simeoni (Eboli)

La compagnia di canto è di livello medio-alto. Svettano il baritono Luca Salsi, Rodrigo, e Veronica Simeoni, Eboli. Salsi dà al suo Marchese di Posa una nobiltà di inflessioni e una politezza vocale che non si potrebbero desiderare migliori. Rotondità timbrica e omogeneità di registri sorreggono costantemente un’impeccabile linea stilistica. Veronica Simeoni è perfetta nei bei colori, morbidi e palpitanti, nella sensualità ben tarata e nella disinvoltura con cui risolve tanto le colorature del velo quanto la fluida omogeneità  dei passaggi lirici in ogni tessitura. Buona la prova di Maria José Siri, un’Elisabetta di segno caldo, pastoso, vibrante di emozioni seppur da affinare nel controllo dei coloriti.

Roberto Aronica (Don Carlo)

Come s’è accennato, Don Carlo è contrassegnato dalla vocalità generosa, sì, di Roberto Aronica, ma che lascia perplessi quanto al governo di mezzi ai quali occorrerebbe una più meditata linea di gusto. Veniamo ai due bassi. Dmitrij Beloselskij era un Filippo II degno ma non memorabile, con buon peso vocale che però, in “Ella giammai m’amò”, non si distacca da una certa uniformità espressiva, e soprattutto manca di quel senso di disillusione desolata e irrimediabile che innerva la grande pagina. Luiz-Ottavio Faria era il Grande Inquisitore, con un rilievo vocale sufficiente ma non notevole, e soprattutto danneggiato dall’insulsa collocazione attribuitagli dalla regia. Lodevole e sempre a punto la prova del coro, preparato da Andrea Faidutti.

Dmitrij Belosselskij (Filippo II), Luiz-Ottavio Faria (Grande inquisitore)

Nei panni del Frate/Carlo V, molto positiva la resa di Luca Tittoto, per l’autorevolezza vocale e la giusta attenzione al fraseggio. E si sono disimpegnate a dovere Nina Solodovnikova, Tebaldo, ed Erika Tanaka, irreprensibile nel contributo non lieve della Voce dal cielo. Massimiliano Brusco e Rosolino Claudio Cardile hanno coscienziosamente impersonato il Conte di Lerma e l’Araldo. Citiamo anche i sei Deputati fiamminghi  – Federico Benetti, Alex Martini, Luca Gallo, Paolo Marchini, Abraham Garcìa Gonzales, Carlo Malinverno – per l’accuratezza con la quale Mariotti ha scandito l’intensità del loro momento, avvolgendolo di sinuoso calore sonoro. Caldi applausi per tutti, segnatamente per Mariotti.

MariaJosé Siri (Elisabetta)

 

 

 

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Francesco Arturo Saponaro
Francesco Arturo Saponaro ha esercitato a lungo l’attività di docente in Storia della musica, e di direttore in Conservatorio. Da sempre mantiene un’attenta presenza nel campo del giornalismo musicale. Scrive su Amadeus, su Classic Voice, sui giornali on line Wanderer Site e Succede Oggi. Ha scritto anche per altre testate : Il Giornale della Musica, Liberal, Reporter, Syrinx, I Fiati. Ha collaborato per molti anni con la RAI per le tre reti radiofoniche, conducendo innumerevoli programmi musicali, nonché in televisione per RaiUno e TG1 in rubriche musicali.

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