La regista Elena Barbalich presenta due mondi inconciliabili utilizzando gli elementi mobili pensati da Tommaso Lagattolla, pareti metalliche angolari che compongono e scompongono ambienti dal forte segno contemporaneo, dove sono in evidenza i motivi “feticcio” che identificano i due mondi inconciliabili : nel prima parte del primo atto nudi femminili, la donna oggetto che il Duca cerca in continuazione senza mai saziarsi ; nella seconda parte del primo atto rami di alberi, un ambiente incontaminato che Rigoletto vuole proteggere.
Pochi gli elementi scenici, funzionali al racconto : sedie e tavoli, una scala a pioli. Una parte importante nell'economia dello spettacolo è rappresentata dalle luci di Fiammetta Baldiserri che ricreano le giuste atmosfere interne.
I costumi, sempre di Lagattolla, sono di foggia vagamente cinquecentesca ma contaminati con inserti che rimandano all'Ottocento e all'oggi, in modo da unire idealmente il secolo in cui l'opera è ambientata e il secolo in cui è stata scritta con l'epoca attuale.
Il poco spazio del palco non consente un grande movimento scenico, soprattutto a coristi e comparse : anche per questo non è parso determinante il contributo di Danilo Rubeca nelle coreografie.
La regista dimostra di saper raccontare la storia in modo credibile e chiaro per lo spettatore, anche se alcune idee non sono parse particolarmente pregnanti, come il far apparire in scena nell'ordine la Contessa di Ceprano, Gilda e Maddalena immobili come manichini fino al momento in cui Rigoletto o il Duca le toccano, forse per renderle donne-oggetto, manichini inanimati esposti in quella Wundercammer su cui si basa la regista. Meno comprensibile il fatto che Rigoletto in alcune occasioni si tolga la gobba come fosse un giubbetto : abbiamo pensato all'elemento di abbigliamento che esagera un difetto fisico per coincidere con il ruolo sociale assegnato dagli altri.
Il direttore Pietro Rizzo riesce a gestire bene i tempi e i suoni, amalgamando buca e palco senza che i cantanti siano soverchiati dall'orchestra, rischio sempre possibile in teatri piccoli e sonori come il Pergolesi. L'Orchestra sinfonica Rossini si è apprezzata per la freschezza e la dinamicità pur se non precisissima negli attacchi e negli appiombi e il suono talvolta risulti aspro.
Angelo Veccia è un Rigoletto aitante e di bell'aspetto, credibile sia nel ruolo pubblico del buffone che in quello privato del padre ; la voce è calda e duttile e particolarmente curata nella scansione del verso. Lucrezia Drei è una giovane e fresca Gilda, perfettamente a suo agio nelle colorature che affronta con voce sicura e salda. Matteo Falcier tratteggia un Duca di Mantova non stereotipato, anzi riesce a mostrarne un lato maggiormente umano ; la voce non teme le salite all'acuto e lo squillo è limpido. In evidenza lo Sparafucile di Enrico Iori, sia per presenza scenica che per vocalità : il basso tratteggia un personaggio curato e indagato ben oltre la routine, bene amalgamato con la Maddalena di Katarina Giotas. Adeguati i ruoli di contorno : Teresa Stagno è Giovanna e la Contessa di Ceprano, Daniele Adriani è Matteo Borsa, Giacomo Medici è Marullo. Poco tonante il Monterone di Matteo Mollica. A completare il cast Carlo Feola (Conte di Ceprano), Georgia Annie Conzato (Paggio) e Niccolò Pelusi (Usciere). Il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno è stato ben preparato da Giovanni Farina.
La stagione lirica 2017–18 del Teatro Pergolesi si era aperta, fuori abbonamento, nel mese di dicembre con Caffè Bach, definita nel programma di sala “CircOpera da camera”, una novità assoluta sia nel genere che nel titolo che ha richiamato un pubblico giovane e curioso, un lavoro di Roberto Costantini ispirato alla Cantata del caffè di Bach ma che si è declinato soprattutto nelle arti circensi.