Da quando si è trasferita all’Elbphilharmonie – il nuovo auditorium che domina il quartiere del porto e sta diventando il simbolo di Amburgo, un po’ come è avvenuto a Sidney e ad Oslo con i rispettivi teatri d’opera – l’orchestra della radio della Germania del nord ha cambiato il suo nome da NDR Sinfonieorchester a NDR Elbphilharmonie Orchester e simultaneamente ha deciso di compiere un salto di qualità e di darsi nuovi e più ambiziosi obiettivi Era già una buona orchestra – cioè una solida orchestra tedesca di primo livello, ma non di livello superlativo come i Berliner Philharmoniker e la Staatskapelle di Dresda – ed è ulteriormente migliorata rispetto all’ultima volta che l’avevamo ascoltata, un anno e mezzo fa. Ma forse non basta ancora e si vuole qualcosa di più. Fatto sta che si è deciso di sostituire il direttore musicale Thomas Hengelbrock con una rapidità da lui poco apprezzata, tanto da fargli decidere di anticipare la scadenza del proprio mandato. Ma per questa stagione è ancora lui il direttore musicale e nei giorni scorsi ha diretto un concerto interamente basato su capolavori del grande repertorio sinfonico austro-tedesco. Un programma da far tremare i polsi, che solo un grande direttore può permettersi di affrontare e da cui Hengelbrock è uscito a testa alta.
Ha iniziato con quello che si può considerare l’atto finale della storia della sinfonia, l’unico movimento della progettata Sinfonia n. 10 portato a termine da Gustav Mahler. Questo enorme Adagio.Andante, che da solo dura quasi come l’intera Quinta di Beethoven, ha molti punti di contatto con i due altri enormi movimenti lenti che aprono e chiudono la precedente sinfonia di Mahler e come quelli può essere definito un “addio alla vita”: è una definizione che appartiene al gusto del decadentismo ma che in questo caso ha basi reali, poiché Mahler sapeva perfettamente che il suo cuore non avrebbe continuato a battere a lungo, come i medici gli avevano chiaramente detto, senza lasciargli speranze.
Hengelbrock interpreta questo movimento senza l’estenuazione di altri direttori, a cominciare dalla frase iniziale di sedici battute in pianissimo, che è quasi un recitativo ma da cui egli spreme tutta la cantabilità, chiedendo un suono morbido e vellutato all’ottima sezione delle viole. Questo movimento ha un andamento libero e asimmetrico, basato sulla continua variazione di due temi, di cui il secondo può essere a sua volta considerato una variazione del primo. Gli schemi formali tradizionali si dissolvono, ma Hengelbrock argina questo libero “flusso di coscienza”, sottolineando le clymax in fortissimo che ne interrompono a più riprese il tono ingannevolmente estatico, sereno e dolce, nel cui fondo si avverte però una totale assenza di speranza. L’ultima di queste clymax è un’improvvisa serie di accordi terribilmente dissonanti, che ancora oggi suonano molto audaci e che allora dovevano apparire un attacco di follia : raramente li abbiamo sentiti così stridenti, laceranti, apocalittici. Dopo, nulla può essere più come prima, i frammenti dei temi ritornano come disseccati e tutto lentamente si disgrega. Bellissima interpretazione, drammatica e intensa, con sonorità più robuste del consueto, senza concedere troppo alla consunzione dell’estrema meditazione e alla spossatezza dell’ultimo respiro.
Nei Kindertotenlieder Hengelbrock segue con sollecita attenzione ma con discrezione Matthias Goerne, che di questi cinque Lieder su versi di Rückert dà un’interpretazione molto raccolta e intima, cantando quasi sempre pianissimo, come se non fosse sotto i riflettori in una sala da più di duemila posti ma in una stanza raccolta e in penombra, con un pianoforte accanto a sé. Questa mezzavoce è poco più di un soffio ma giunge perfettamente all’ascoltatore : Goerne è miracoloso, ma anche l’acustica della sala lo aiuta. Si mantiene sempre sul pianissimo, tranne nei pochi momenti in cui Mahler indica esplicitamente forte, evitando così che i versi del poeta romantico assumano una sia pur minima sfumatura sentimentale o melodrammatica e dando loro il tono di intensa e tragica meditazione che Mahler voleva.
Terzo brano in programma era l’Eroica di Beethoven. Gli inizi di Hengelbrock come barocchista si avvertono nei tempi veloci, nel fraseggio nervoso e nel suono asciutto, che sottolineano come lo stile esecutivo dell’epoca fosse messo a dura prova dalle richieste di Beethoven, che andavano al di là di tutto quello che si era scritto per l’orchestra fino ad allora. L’Allegro con brio iniziale è preso a un tempo molto rapido e sembra veramente di vedere “il lampo de’ manipoli/ e l’onda dei cavalli” evocati da Alessandro Manzoni nella sua ode dedicata a Napoleone, se è consentito fare ancora riferimento alla dedica – poi cancellata – dell’Eroica a Bonaparte, la cui importanza è stata probabilmente sopravvalutata. Questa concitazione si addice a un uomo di guerra, ma non rende pienamente giustizia al “grand’uomo” cui si riferisce la dedica definitiva di questa Sinfonia, che non è un vincitore sui campi di battaglia, ma un eroe prometeico, che sacrifica sé stesso per il bene dell’umanità.
Coerentemente con quest’impostazione iniziale, Hengelbrock fa della Marcia funebre una vera marcia militare per le esequie di un generale morto in guerra, rigida, senza spazio per sentimenti di dolore e di compassione. La parte centrale in maggiore è solenne e fredda come un monumento in marmo e bronzo eretto ad un condottiero. Non c’è spazio per il lamento dell’intera umanità né l’idealizzazione dell’eroe che si è sacrificato per difendere i nobili ideali – libertà, uguaglianza, fraternità – che stanno aprendo all’uomo una nuova epoca. Lo Scherzo, preso anch’esso ad un tempo piuttosto rapido, è collegato senza interruzione al finale, il cui tema viene presentato da Hengelbrock in modo scherzoso, perfino sbarazzino, ma nel corso delle variazioni viene portato fino a momenti drammatici, che raggiungono poderosi fortissimo, attenuando così lo iato tra la prima parte dell’Eroica, molto innovativa, e la seconda, più tradizionale.
Gli applausi sono molto calorosi, ma non possono essere definiti entusiastici. È piuttosto sorprendente che si siano tentativi di applauso dopo il terzo dei cinque Lieder di Mahler e dopo il primo movimento di Beethoven, da parte di spettatori non abituati a frequentare i concerti. Evidentemente l’apertura della Elbphilharomie sta richiamando un pubblico nuovo : buon segno.