Programma

Sir John Eliot Gardiner, direttore
Antoine Tamestit, viola

Hector Berlioz – Le carnaval romain, ouverture op. 9
Antonín DvořákSinfonia n. 7 in re minore op. 70
Hector Berlioz - Harold en Italie, sinfonia per viola e orchestra op. 16

Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

 

 

Roma, Auditorium Parco della Musica, giovedì 14 marzo 2019

Straordinario debutto (a settantasei anni!) di John Eliot Gardiner alla direzione dell’Orchestra di Santa Cecilia. Il direttore inglese ha esibito tutta la sua intelligenza interpretativa, proponendo due pagine di Hector Berlioz, per il centocinquantenario della morte, e una sinfonia di Dvořák. Nella seconda parte del concerto, il violista francese Antoine Tamestit che, insieme a Gardiner, ha offerto una superba lettura di Harold en Italie.

Sir John Eliot Gardiner sul podio di Santa Cecilia

Non si crederebbe, ma è stato il debutto di John Eliot Gardiner sul podio dell’orchestra di Santa Cecilia. Presente da decenni ai vertici della musica internazionale, consacrato da innumerevoli premi, riconoscimenti, onorificenze, documentato da una quantità di incisioni discografiche, Sir Gardiner ha atteso di compiere quasi settantasei anni di età per esibirsi davanti al pubblico romano. Può anche darsi, azzardiamo un’ipotesi, che tale assenza fin qui sia stata dovuta al fatto che Gardiner è stato sempre intimamente legato ai complessi, orchestra e coro, da lui stesso creati nella sua lunga carriera. E che fosse difficile per Santa Cecilia  – che orchestra e coro ce li ha eccome –  ospitare Gardiner con i suoi gruppi. Un legame che, per una ragione o per l’altra, soltanto ora potrebbe aver permesso che il direttore britannico salisse sul podio della più importante orchestra sinfonica italiana. In ogni caso, questo debutto è riuscito trionfalmente, e la cordialità dell’accoglienza romana testimonia della lunga dimestichezza, sia pure soltanto per ascolto discografico, che gli appassionati hanno con la figura di questo straordinario artista.

Gardiner ha collegato questo suo esordio ceciliano alle celebrazioni per il 150esimo anniversario della morte di Hector Berlioz (1803–1869). E, a dispetto della consolidata immagine che lo ha presentato per lo più come specialista di letteratura barocca e di organici contenuti, ha scelto tre titoli di pieno Ottocento, e pienamente romantici, che furono concepiti per orchestra nutrita e dai colori accesi. Gardiner ha dunque aperto il programma con Il carnevale romano, ouverture op. 9 ; una pagina apparsa nel 1844 e ricavata dall’opera Benvenuto Cellini, capolavoro dello stesso Berlioz. Tra l’altro, non è infondato leggere in questo titolo, oltre all’attenzione verso un autore prediletto, un segno di cortesia nei confronti della città che lo ha finalmente avuto come ospite. L’ouverture Il carnevale romano è un pezzo rapsodico, articolato in più episodi tra loro concatenati. Un pezzo che, a differenza dell’opera teatrale che, vivo l’autore, ebbe sorte difficile, incontrò subito ampia popolarità sotto la bacchetta del compositore stesso.

Sontuosa, nella sua elegante sobrietà, la lettura di Gardiner. Il quale ha sì messo in primo piano le idiomatiche finezze dell’esemplare orchestrazione di Berlioz, ma senza strafare e senza cedimenti alla frequente confusione di colori di altre esecuzioni. Probabile che l’antica frequentazione della musica sei-settecentesca, con la profonda maturazione di sensibilità e gusto lì acquisita, permetta a Gardiner di ricavare dall’orchestra colori vivi e intensi, illuminando i diversi timbri strumentali nella giusta misura, senza lasciarsi travolgere dal vortice sonoro. Valga a confermarlo l’insolito profilo conferito al celebre assolo iniziale del corno inglese, dal quale è fiorita una melodia morbida e aristocratica, ma al tempo stesso decisa, e consapevole della propria radice etnica. Un’ottica interpretativa rimarcata più avanti nei timbri del saltarello, con la netta identità emersa da triangolo, piatti, e soprattutto tamburello. Un Carnevale romano senza facili clangori, dunque, ma anzi disegnato con lucido, elegante dominio della partitura.

È poi seguita la Sinfonia n.° 7 in re minore, op. 70, di Antonín Dvořák. Qui Gardiner ha mutato approccio, tenendo conto del fatto che, nell’arco creativo del compositore ceco, questa pagina risente della convinta adesione al sinfonismo tardo-ottocentesco, e al modello brahmsiano. La partitura è articolata in un flusso di sonorità turgide e avvolgenti, lontane da echi popolari altre volte riconoscibili in Dvořák. La bacchetta di Gardiner ha valorizzato ogni dettaglio, sfumatura, nuance, in una cornice di premurosa sensibilità che ha assecondato la naturalezza di una corrente melodica sempre calda e intensa. Un’esecuzione suggestiva, attenta tra l’altro agli opportuni dosaggi nei dialoghi tra archi e legni, per dare risalto all’attraente tavolozza dell’autore.

Antoine Tamestit (viola) e Sir John Eliot Gardiner

Nel seguito del concerto, di nuovo Hector Berlioz, con Harold en Italie, sinfonia in quattro parti con viola solista op. 16. Anche nella resa di questo lavoro, Gardiner manifesta la sua particolare attenzione verso il mondo e il linguaggio del grande compositore francese. Per sottolineare la natura di musica a programma, di musica descrittiva che contrassegna la partitura, il direttore britannico affianca all’esecuzione musicale un’interpretazione semiscenica, d’intesa con Antoine Tamestit, viola solista che è al centro del fantasioso racconto illustrato dalla creazione di Berlioz. Sicché Tamestit attende che l’orchestra termini la lunga introduzione, prima di apparire al proscenio, accanto all’arpa, con la quale intesse un duetto intorno al tema che poi riemergerà più volte nel corso del pezzo.

Antoine Tamestit (viola) e Sir John Eliot Gardiner

Un’idea scenica semplice, ma efficace e ripetuta, con Tamestit che via via si sposta sul palco, anche alle spalle dell’orchestra, procurando effetti sia teatrali sia di resa acustica. L’idea funziona, anche perché Gardiner sa far parlare magnificamente la musica, estraendone e illustrandone tutta la drammaturgia, e quindi la teatralità. Tanto che nel finale, all’Allegro frenetico dell’orgia dei briganti, fa persino alzare in piedi l’orchestra, violoncelli esclusi, per rendere anche visivamente l’eccitazione dell’episodio. E gli interventi di Antoine Tamestit mettono in luce le qualità straordinarie di questo violista, dotato di una cavata tanto imperiosa da potersi collocare anche in fondo al palco. Ma soprattutto il calore poetico della sua interpretazione, e l’eleganza del fraseggio, hanno conferito a questo Harold en Italie una dimensione di rara espressività. E John Eliot Gardiner ha saputo favorire la bravura del solista, controllando il volume dell’orchestra. Più che meritate le lunghe ovazioni del pubblico.

Avatar photo
Francesco Arturo Saponaro
Francesco Arturo Saponaro ha esercitato a lungo l’attività di docente in Storia della musica, e di direttore in Conservatorio. Da sempre mantiene un’attenta presenza nel campo del giornalismo musicale. Scrive su Amadeus, su Classic Voice, sui giornali on line Wanderer Site e Succede Oggi. Ha scritto anche per altre testate : Il Giornale della Musica, Liberal, Reporter, Syrinx, I Fiati. Ha collaborato per molti anni con la RAI per le tre reti radiofoniche, conducendo innumerevoli programmi musicali, nonché in televisione per RaiUno e TG1 in rubriche musicali.

Autres articles

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici