Venezia
Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale
Teatro Piccolo Arsenale
26 settembre 2020

Luigi Nono
sofferte onde serene… per pianoforte e nastro magnetico (1976)
Post-prae-ludium n. 1 per Donau per tuba ed elettronica (1987)
La Lontananza Nostalgica Utopica Futura per violino e 8 nastri magnetici (1988–1989)

Tuba : Arcangelo Fiorello
Violino : Francesco d’Orazio
Pianoforte : Francesco Prode
Elettronica : Alvise Vidolin

Venezia, Biennale, Teatro Piccolo Arsenale, sabato 26 settembre 2020.

Il Festival internazionale di musica contemporanea della Biennale di Venezia ha dedicato un concerto a Luigi Nono, morto trent’anni fa e da allora, sbrigata rapidamente la formalità degli omaggi funebri, quasi totalmente assente nei programmi di teatri, orchestre e istituzioni concertistiche italiani, tranne fugaci apparizioni nei festival di musica contemporanea di qualche composizione preferibilmente breve e per piccolo organico. D’altronde Nono era raramente eseguito in Italia anche in vita, a causa della prevenzione del pubblico e delle istituzioni nei confronti tanto dell’avanguardia musicale nel suo complesso quanto delle idee politiche di Nono. 

 

Credo che bisogna sfatare la favola del predominio della cultura di sinistra in Italia nei decenni successivi alla guerra, che, almeno nel campo della musica, è una falsità creata e propagata da chi invece si era comodamente sistemato nelle istituzioni musicali italiane con la protezione dei partiti di governo. Ci volle tutta l’autorità di Abbado per riuscire a far rappresentato Nono alla Scala o più esattamente al Teatro Lirico, ma ancora oggi Nono non è stato mai rappresentato all’Opera di Roma, al San Carlo di Napoli e negli altri maggiori teatri italiani, con rare eccezioni, come la Fenice della sua Venezia. La verità è che le sue idee politiche di sinistra hanno sempre nuociuto a Nono, sia in vita che in morte. Non è questo il luogo per approfondire temi che non rientrano nello spazio e negli scopi di una recensione, ma prima di passare oltre mi preme sottolineare che Nono si è sempre apertamente dichiarato comunista ma non ha mai scritto una sola nota a favore del comunismo istituzionalizzato, si trattasse del regime sovietico o del partito comunista italiano, e che le sue tematiche erano semmai il razzismo, la violenza fascista, lo sfruttamento della classe lavoratrice, la lotta per la libertà e l'indipendenza dei paesi in via di sviluppo, sempre schierandosi a fianco degli oppressi e degli sconfitti, senza mai cadere in toni apologetici o trionfalistici.

Quanto alle sue tre composizioni eseguite in questo concerto della Biennale, composte tra il 1976 e il 1989, esse non hanno nulla a che vedere con tali temi politici, che compaiono solamente in una parte della sua musica, quella che va dal 1960 alla metà degli anni Settanta, mentre il decennio precedente è sotto il segno dello sperimentalismo di marca darmstadtiana e la musica degli ultimi quindici anni della sua non lunga vita è dedicata all’esplorazione della natura più segreta del suono e sostituisce tematiche più personali e intime agli argomenti politici. La costante della musica di on è il suo impegno, non però nell’accezione politica, ma nel senso che considerò sempre la musica una ricerca e mai un intratteniment0.

…sofferte onde serene… per pianoforte e nastro magnetico, che apriva il concerto veneziano, risale al 1976 e si colloca proprio all’inizio dell’ultimo periodo dell’arte di Nono. Come disse l’autore stesso, questo brano fu composto quando « un duro vento di morte spazzò “l’infinito sorriso delle onde” nella famiglia mia e in quella dei Pollini ». A questo riferimento autobiografico, il compositore aggiunse una nota quasi impressionistica : « Alla mia casa, alla Giudecca in Venezia, giungono continuamente suoni di campane varie, variamente ribattute, variamente significanti, di giorno e di notte, attraverso la nebbia e con il sole. Sono segnali di vita sulla laguna, sul mare ». Terzo elemento è la ricerca sul suono, con l’ausilio dell’elettronica : «…La stupefatta coscienza mia per il suo [di Pollini] pianismo… Registrazioni di Pollini, fatte in studio, soprattutto attacchi di suoni, la sua percussione estremamente articolata sui tasti, vari campi intervallari, sono stati ulteriormente composti su nastro…Ne risultano due piani acustici, che spesso ‘con-fondono’, annullando spesso l’estraneità meccanica del nastro. Tra essi due sono stati studiati rapporti di formazione del suono. Compreso l’uso delle vibrazioni dei colpi di pedale, forse particolari risonanze “nel profondo interiore”. Non ‘episodi’ che si esauriscono nella successione, ma ‘memorie’ e ‘presenze’ che si sovrappongono, in quanto memorie, in quanto presenze che si con-fondono, esse sì, con le “onde serene”».

Si tratta di una delle opere più note di Nono, grazie anche a Pollini, che l’ha eseguita moltissime volte, tanto che si potrebbe dire che ne abbia avuto l’esclusiva per un lungo periodo. Poi anche altri pianisti l’hanno eseguita, in genere prendendo come riferimento l’interpretazione di Pollini, giustamente. Ora Francesco Prode ne ha proposto una sua interpretazione, che si distacca da quella di Pollini, che era calibratissima, essenziale e apparentemente fredda ma in realtà capace di suscitare nell’ascoltatore quelle « particolari risonanze “nel profondo interiore”» di cui parlava Nono. L’interpretazione di Prode potrebbe essere definita impressionista – egli stesso ha usato quest’aggettivo – sia per come riproduce il suono delle campane profonde o acute, lontane o vicine, che risuonavano sulle acque della laguna, sia per come imita il leggero ma sempre diverso ondeggiare delle acque. È un’interpretazione interessante, che porta alla luce qualcosa che veramente esiste in questa musica, ma alla lunga dare troppo rilievo a quest’unico e marginale aspetto appare riduttivo.

Arcangelo Fiorello

Il concerto proseguiva con un brano molto meno noto, Post-prae-ludium n. 1 per Donau per tuba ed elettronica. È stato eseguito dal giovane e bravissimo Arcangelo Fiorello, che suona nella banda dell’Esercito italiano, ma che potrebbe far impallidire qualsiasi altro suonatore di tuba, anche quelli delle orchestre più titolate. Questo pezzo fu scritto nel 1987 per Giancarlo Schiaffini, che, al pari di Pollini, aveva suscitato l’interesse di Nono per il suo virtuosismo, inteso però non come esibizione di bravura ma come padronanza assoluta dello strumento e capacità di trarne sonorità inaudite. Questo però non bastava al desiderio del compositore di esplorare sempre nuovi mondi sonori, quindi Nono vi aggiunse l’elaborazione elettronica dal vivo. Come egli stesso disse, dall’effetto congiunto di notazione data, nuova tecnica esecutiva e live-electronics nasce un’interpretazione vivente. La notazione – prosegue Nono – è pensata come traccia per l’esecutore, perché l’interprete deve ascoltare tutti i processi di elaborazione ed espansione del suono per reagire a essi e prendervi parte, con la libertà, a partire da queste indicazioni, di plasmare eventi sonori casuali sempre nuovi.

Dunque il senso di questo brano è l’esplorazione delle possibilità sonore di uno strumento e ciò può ricordare le Sequenze di Luciano Berio, che però mettono in rilievo la personalità dell’esecutore ed esibiscono in modo volutamente sfrontato il suo virtuosismo, mentre a questi aspetti Nono non era assolutamente interessato, perché li considerava componenti borghesi dell’ascolto. Anche il suo è comunque un pezzo molto difficile per l’esecutore e i risultati sono impensabili, perfino miracolosi, per chi – come la grande maggioranza degli ascoltatori – conosca la tuba solo per i suoi brevi e pesanti interventi in orchestra. La tuba di Post-prae-ludium ha invece una gamma di sonorità amplissima, dal borbottio all’urlo di una stessa lancinante nota tenuta all’infinito, mentre i live-electronics rimandano, ora deformati ora depurati degli armonici, i suoni dello strumento, con l’effetto di un’eco lontana che risuona in un paesaggio glaciale come in Antartide o da distanze siderali come nel cosmo : non so se Nono sarebbe stato d’accordo con queste impressioni soggettive e se le avrebbe gradite, ma negli ultimi anni la sua musica non si ritraeva da queste suggestioni, anzi ne offriva egli stesso all’ascoltatore con i titoli di alcuni suoi lavori, come  … sofferte onde serene… e come La Lontananza Nostalgica Utopica Futura per violino, 8 nastri magnetici e live-electronics, che chiudeva il concerto a lui dedicato dalla Biennale.

Questo brano fu scritto nel 1988/1989 ed è una delle ultime composizioni di Nono, seguita solamente da “Hay que caminar” sognando, con cui condivide la tematica del “camminar”: il suo sottotitolo è infatti Madrigale per più 'caminantes’ con Gidon Kremer, il grande violinista estone che ne fu il dedicatario e il primo interprete. Questo tema del “camminare” ritorna in vari lavori dell’ultimo Nono e trova la sua espressione più chiara nel titolo di un suo pezzo del 1987, No hay caminos, hay que caminar : non c’è un cammino che conduce a mete note e prefissate, ma bisogna comunque sempre camminare, andare, mai fermarsi.

Questo lavoro molto ampio (circa 45 minuti) inizia con alcuni gesti esecutivi propri della tecnica del violino e con alcuni frammenti di poche note piuttosto generici, che si possono ritrovare più o meno uguali in innumerevoli lavori per questo strumento. Ma tutto – anche per l’intervento dell’elettronica – viene variato incessantemente per quanto riguarda sia la dinamica, spesso portata al limite della percettibilità, e l’agogica che l’altezza (un’indicazione dell’autore prescrive “sempre mobile per microintervalli di 1/16 mai statici”). L’elemento caratterizzante di questo pezzo è però che il violinista deve seguire un percorso che lo porta a ognuno dei sei leggii sistemati irregolarmente in vari punti della sala, mentre altri due o tre leggii non vengono usati e servono a rendere il percorso ancora più imprevedibile, offrendo la possibilità di vari cammini dall’uno all’altro, mai diretti, perché il cammino del violinista non appaia preordinato ma incerto e titubante, fino all’uscita dalla sala su un lungo flautato che lentamente si spegne nel silenzio.

Francesco D'Orazio

La sostanza musicale di questo brano è ridotta al minimo, per dirla in modo brutale, e una dimensione di ascolto musicale in senso tradizionale è estremamente problematica, come ha scritto Paolo Pinamonti, e in realtà il pubblico è chiamato non ad ascoltare un brano musicale ma ad essere testimone del dispiegarsi di un evento sonoro. Inizialmente si cerca di trovare il senso di questa musica ma non c’è un significato che l’ascoltatore possa trovare a questa musica sulla base delle sue conoscenze ed esperienze musicali. Il titolo stesso è di ben scarso aiuto in tal senso, perché Nono non a caso ha allineato quattro dei termini del vocabolario italiano dal significato più vago. L’ascoltatore inevitabilmente si pone delle domande, cerca una risposta senza poterla trovare e resta inevitabilmente turbato o anche irritato. Ma gradualmente giunge a capire (se abbiamo ben capito) che il modo di ascoltare questa musica sia proprio chiedersi incessantemente e cercare una risposta, che non c’è : ma bisogna comunque cercarla, così come non c’è un cammino ma bisogna camminare. In questa ricerca sta il significato del pezzo. Alcuni, come il sottoscritto, l’hanno trovato affascinante, ma qualche ascoltatore non disposto a rinunciare al modo consueto di accostarsi alla musica ha lasciato la sala durante l’esecuzione. La maggioranza è restata ma alla fine gli applausi sono stati tiepidi e forse indirizzati più all’interprete, il bravo Francesco D’Orazio, che al compositore.
Non si può concludere questa recensione senza citare il fondamentale lavoro ai live-electronics di Alvise Vidolin, già fedele collaboratore di Nono nel suo ultimo periodo.

Luigi Nono (1924–1990)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Mauro Mariani
Mauro Mariani ha scritto per periodici musicali italiani, spagnoli, francesi e tedeschi. Collabora con testi e conferenze con importanti teatri e orchestre, come Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Maggio Musicale Fiorentino, Fenice di Venezia, Real di Madrid. Nel 1984 ha pubblicato un volume su Verdi. Fino al 2016 ha insegnato Storia della Musica, Estetica Musicale e Storia e Metodi della Critica Musicale presso il Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma.
Crediti foto : © Wikipedia (Nono)
© Andrea Avezzù (Foto del concerto)

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