63° Concorso pianistico Ferruccio Busoni

Primo premio : Jae Hong Park (Corea del Sud)
Secondo premio : Do-Hyun Kim (Corea del Sud)
Terzo premio : Lukas Sternath (Austria)

XVIII Konkurs Chopinowski – Warszawa

Primo premio : Bruce (Xiaoyu) Liu (Canada)
Secondo premio : Alexander Gadjiev (Italia/Slovenia)
Terzo premio ex-aequo : Kyohei Sorita (Giappone)
Terzo premio ex-aequo : Martín García García (Spagna)
Quarto premio ex-aequo : Aimi Kobayashi (Giappone)
Quarto premio ex-aequo : Jakub Kuszlik (Polonia)
Quinto premio : Leonora Armellini (Italia)
Sesto premio : J J Jun Li Bui (Canada)

 

Concorso pianistico Ferruccio Busoni dal 24 agosto al 3 settembre 2021/ Concorso pianistico Chopin dal 2 al 21 ottobre 2021

Si sono appena conclusi il Concorso Busoni di Bolzano e il Concorso Chopin di Varsavia, due delle più importanti competizioni pianistiche al mondo. Il risultato è scandaloso : i commissari si sono accaniti contro i veri talenti presenti nei due concorsi, eliminandoli, a favore di candidati privi di interesse. Ci si consola solo perché allo Chopin si è vista sorgere una stella : la russo-armena Eva Gevorgyan, clamorosamente esclusa dai premiati. 

Mala tempora currunt per il talento pianistico, e tempi anche peggiori per il genio : è questo che viene da commentare di fronte ai risultati dei due dei più importanti concorsi pianistici al mondo, il Busoni di Bolzano e lo Chopin di Varsavia, conclusi entrambi da pochi giorni. La pandemia ha fatto sì che quest'anno le due competizioni pianistiche cadessero a pochi giorni una dall'altra : quale occasione migliore, si sarebbe potuto pensare, per misurare il polso al circuito pianistico mondiale, cogliere l'alba di un nuovo talento, assistere all'eventuale profilarsi di giovani pianisti capaci di raccogliere l'eredità dei giganti sulla via del tramonto come Martha Argerich, Grigorij Sokolov, Maurizio Pollini, o Alfred Brendel in pensione da qualche anno ?

La prima cosa da osservare è che la frattura tra i giovani pianisti attuali e i mostri sacri del passato – perché i quattro che abbiamo citato paiono sopravvissuti a sé stessi e a un'altra epoca del pianoforte e dell'arte – è enorme : con la notevole eccezione di Eva Gevorgyan, di cui parleremo più avanti, il fenomeno più appariscente è infatti la differenza abissale di “personalità” tra i pianisti attuali, per lo meno quelli che vengono premiati nei concorsi, e i grandi della storia dell'interpretazione pianistica. Questa tendenza è all'opera da qualche decennio : da quando, si potrebbe dire, si sono affermati a livello mondiale pianisti opachi che hanno steso sull'interpretazione un velo di mediocrità, di malinteso culto dell'immagine, di una certa superficialità affiancata, però, a strategie di marketing già molto affinate. Inaugurata questa tendenza, era ovvio che gli aspetti di “vendibilità” sul circuito concertistico e di appetibilità per il mercato discografico cominciassero a fare aggio sempre di più sullo spessore interpretativo, e che gradualmente ma inesorabilmente prevalessero aspetti estranei alla musica : oggi trionfano la “pianista che si esibisce a piedi scalzi”, il “rifugiato politico”, la “pianista-che-suona-in-minigonna” (con tanto di telecamera puntata dall'alto sulle belle gambe), o quella che scambia il palcoscenico con una sfilata di haute couture e infatti suona come se sfilare e suonare fossero due operazioni della stessa natura, e altri personaggi che andrebbero benissimo sul circuito mediatico qualunque fosse la loro occupazione. L'immagine, come in qualunque campo, ha imposto la sua legge e la musica le si è consegnata. Quando si vende l'anima al diavolo, però, bisognerebbe sempre ricordarsi che dopo ventiquattro anni quello viene puntualmente a prendersela : la graduale prevalenza nei circuiti pianistici di criteri di giudizio e di promozione sbagliati, antimusicali e anticulturali, ha prodotto l'affermazione sorprendente nelle ultime edizioni dei grandi concorsi pianistici di candidati privi di qualunque interesse. Un nome su tutti : Chloe Jiyeong Mun, incredibilmente vincitrice al Busoni nel 2015.

Quest'anno, come dicevamo, hanno quasi coinciso il Concorso Busoni (biennale) e quello Chopin (quinquennale). A Bolzano il vincitore veniva scelto fra una terna selezionata per la prova finale del concerto con orchestra. I tre concorrenti qualificati per la finale erano Jae Hong Park (Corea), Do-Hyun Kim (Corea) e Lukas Sternath (Austria). Sternath è un pianista di vent'anni, quindi giovane anche se non giovanissimo, che prima della prova finale ha dichiarato simpaticamente di avere l'intenzione di proseguire gli studi con Igor Levit. Già questo dettaglio parla da solo, perché Levit è uno dei pianisti più colti e consapevoli in circolazione ed è raro che un pianista già di alto livello voglia approfondire ancora lo studio. Di suo, Sternath ha gusto e talento : al Busoni ha lasciato percepire tutta la sua cultura musicale e la tradizione interpretativa alle sue spalle, inserendo le sue scelte esecutive in una logica generale in cui si supera il passato, come dice Hegel, “conservandolo”. Sui tre finalisti, nemmeno a dirlo, Sternath è arrivato terzo. Vincitore assoluto è stato Jae Hong Park, un pianista di cui – duole osservarlo – non ci si ricorderà più quando verrà sostituito alla prossima tornata da un altro pianista ugualmente piatto e senza personalità. Park ha portato nella finale con orchestra il Concerto n. 3 op. 30 di Rachmaninov, offrendone una lettura di impressionante precisione tecnica e di altrettanto impressionante fraintendimento artistico. Per il Busoni, dunque, un altro verdetto sbagliato e un'altra occasione mancata : forse dovremmo cominciare a preoccuparcene.

Ma, si dirà, i giudizi contestabili e l'attribuzione del primo premio al candidato meno meritevole ci sono sempre stati. È vero, però una volta le commissioni non erano così modeste e clamorosamente inattendibili come le due viste al Busoni e allo Chopin e, di fronte a una decisione inaccettabile degli altri commissari, c'erano in passato in giuria personalità di livello mondiale come Martha Argerich, che al Concorso Chopin del 1980 abbandonò la commissione perché non aveva fatto vincere il suo candidato favorito, Ivo Pogorelich. Se il pianista in questione valesse la rottura o meno, poco importa : è invece essenziale che evidentemente per la Argerich far vincere quello che a suo parere era il candidato migliore contasse più di rimanere nel giro delle commissioni internazionali e continuare ad appartenere a quella dubbia élite che stabilisce il talento pianistico del momento. Non tutti hanno la tempra e l'integrità della Argerich : Louis Lortie, presidente di commissione al Busoni, appariva contrariato dal verdetto finale favorevole a Jae Hong Park – non si è alzato per applaudire alla fine -, ma non si è dissociato pubblicamente. Detto questo, a confronto con quello che è successo al Concorso Chopin, la svista al Busoni appare veniale. A Bolzano i candidati erano infatti chi più apprezzabile, chi meno, ma tutti fondamentalmente sullo stesso piano : non c'era una fuoriclasse, superiore di netto a tutti gli altri e in grado di reggere il confronto non si dica con le pallide stelle del circuito attuale – i centometristi e i maratoneti della tastiera -, ma con le fulgide personalità della storia dell'interpretazione pianistica, gli dei del bianco e nero. Invece, proprio questo è la diciassettenne russa-armena Eva Gevorgyan, clamorosamente esclusa dai premi allo Chopin : una stella di prima grandezza, l'erede dei grandi pianisti del passato e dei pochissimi che oggi reggono il confronto con quelli.

Anche al Concorso Chopin, corre l'obbligo di notarlo, il livello generale è stato alto : se con questo intendiamo tecnica infallibile, brillantezza e freschezza atletica, e il pronto, entusiastico accesso a quello che potremmo definire la “lettera” del testo, restituita da tutti nell'ambito di una apprezzabile correttezza. La convinzione, però, che esista solo la “lettera” del testo e non lo “spirito”, più difficile da determinare ma fondamentale, l'ignoranza e l'indifferenza rispetto ai delicatissimi meccanismi del senso musicale – articolato in una pluralità di livelli, ciascuno dei quali ha una logica propria e infiniti rapporti con altri fenomeni della musica e della cultura -, è parsa dominare la concezione musicale della maggior parte dei concorrenti. Non quella di Eva Gevorgyan : per trovare un diciassettenne del livello di Eva bisogna andare indietro con la memoria alla miracolosa giovinezza di Friedrich Gulda, che ancora adolescente mostrava nel repertorio del classicismo viennese una maturità stupefacente e una capacità di connettersi con gli strati profondi del senso musicale che credevamo irripetibile. Il miracolo, invece, si è ripetuto. Ascoltare la Gevorgyan regala una gioia antica perché fa l'effetto dell'arrivo della cavalleria quando per l'eroe tutto sembra perduto : Eva è un regalo che ci viene fatto per ricordarci di cosa è capace la musica, per ammonirci e rassicurarci che non è tutto perduto, che l'espressione musicale è ancora possibile nella sua massima pienezza e « sgorga dal cuore per andare ai cuori », che parla alla nostra interiorità attraverso i suoni perché le sue strutture formali – se studiate, capite, assimilate, restituite con questa incredibile intensità – hanno il potere di alludere ai misteri ultimi dell'anima e del mondo. Bisognerebbe ricordarlo alla scuola asiatica, oggi sugli scudi ovunque : erano tanti gli insegnanti asiatici in giuria allo Chopin, e non è un buon segno. Non lo è, perché questi insegnanti (oggi anche giurati nei massimi concorsi) hanno una concezione del pianismo e della musica esasperatamente tecnicistica dalla quale, per motivi culturali, vengono tagliate via armoniche fondamentali presenti nei capolavori della storia della musica occidentale. Bisognerebbe ribadire a questi docenti che una selezione spietata dei talenti e l'imposizione di ritmi di studio forsennati possono non essere sufficienti o perfino dannosi, perché la musica non ha la stessa natura dei tuffi o del pattinaggio sul ghiaccio ; che non basta, e non serve nemmeno, allenarsi venti ore al giorno per raggiungere una padronanza spettacolare dell'aspetto meccanico e tecnico dell'esecuzione, come molti candidati sembravano dimostrare : l'obiettivo – dobbiamo cominciare a ricordarlo ! – non è quello.

Scendendo un po' più nel dettaglio delle prove, si sono ascoltati nel Concorso di Varsavia Studi eseguiti a una velocità ai limiti delle possibilità umane di controllare il movimento, ma la maggior parte dei candidati ha a tal punto tematizzato negli Studi di Chopin solo l'aspetto della velocità che durante l'esecuzione si è avuta l'impressione di tanti apprendisti stregoni inseguiti da un metronomo impazzito come le scope della ballata di Goethe. Il risultato sonoro è stato di tanti tripli salti carpiati alla tastiera quanti erano gli Studi, eseguiti – questo è l'aspetto più grave – con la fiducia di ottenere un punteggio maggiore quanto più il movimento era veloce e impeccabile la sua esecuzione. L'idea che per Chopin la velocità non sia un fattore puramente meccanico, che gli Studi non siano una sorta di Formula Uno per corridori della tastiera, e soprattutto che attraverso la velocità Chopin voglia comunicare tensione, rabbia, disperazione o al contrario rivalsa, desiderio di superamento, sfida, eroismo, non li toccava : c'è stato solo un trionfo di abilità digitale e di coordinamento motorio, nella più completa indifferenza rispetto a ciò che i movimenti digitali sono deputati a comunicare. Il problema nonsono la velocità in sé, né lo smalto tecnico, né il virtuosismo : Eva Gevorgyan ha un arsenale virtuosistico superiore a quello di tutti gli altri concorrenti, che le permette negli Studi di Chopin velocità anche più ardite (anche nella Campanella di Liszt, attualmente in rete : stupefacente, la più bella mai ascoltata!). Il dato notevole è però ciò che la velocità, per Eva, porta con sé. Facciamo un esempio particolarmente impressionante : lo Studio op. 10 n.4, eseguito sia dalla Gevorgyan che dal vincitore Bruce Liu. La velocità di Liu è incredibile, al limite della frenesia, così come il grado di controllo del suono ; ma il suo Studio fa questo effetto, appunto, “frenetico”, perché c'è solo quello : mancano totalmente la drammaticità e la costruzione degli archi di tensione formale, l'aspetto architettonico della musica. Paradossalmente, nell'esecuzione di Bruce Liu lo Studio risulta addirittura allegro di un'allegria un po' balorda, perché l'effetto innescato da quella cascata di note frenetiche e senza direzione è quello di un individuo scosso da un irrefrenabile accesso di risa. Lo stesso Studio eseguito da Eva è ancora più veloce, ma qui l'azzardo sulla velocità sortisce un vertice di espressione drammatica, brucia come una giovinezza tradita, sferza come un grido di incitazione alla battaglia, innesca una sequenza senza fine di immagini e di riferimenti alla storia della musica, alla storia dell'interpretazione pianistica, a quella stagione di irripetibili speranze e illusioni perdute che fu il Romanticismo. Se non si coglie il carattere contenuto in quella sorta di drammaticissimo “moto perpetuo” che è lo Studio op. 10 n. 4, e lo si esegue come una sorta di rap, si fraintende lo spirito più profondo di questa pagina : come diceva Rachmaninov, « la musica non fa ridere ».

La stessa cosa vale per i Concerti. Sia Eva Gevorgyan che Bruce Liu hanno eseguito il Concerto op. 11 in mi minore. Liu era quasi imbarazzante già nelle progressioni del primo movimento, dove ha smontato con meticoloso accanimento la tensione che Chopin affida alle ripetizioni. Che ribadendo quattro volte la stessa frase su quattro gradi diversi della scala il compositore intenda realizzare un effetto di climax o, al contrario, di anticlimax deve essere un concetto totalmente sconosciuto a Liu : per lui una frase ripetuta quattro volte significa quattro volte la stessa cosa – forse Chopin era a corto di idee. Ma il peggio si è ascoltato nel secondo tema del primo movimento, una delle pagine a maggior tasso di dolore mai composte, quasi il sancta sanctorum per anime sofferenti e madide di filtri idealistici : Liu ha suonato questo secondo tema con una tale superficialità di sentimento, che si è sfiorato in più momenti il più puro “piano bar”, la possibile colonna sonora per la réclame dei Baci Perugina. Lo stesso Concerto eseguito dalla Gevorgyan – vale la pena di ascoltarlo, è in rete come tutto il Concorso –, è un monumento di sapienza interpretativa, di cultura musicale e non solo musicale, di capacità di controllo e di temperamento. Eva suona come se si strappasse ogni singola nota dal cuore, con ardore intensissimo, perché ogni nota è stata scritta proprio così : con la consapevolezza del delitto di prendere la parola di fronte al dolore, e del diritto dell'arte di farlo comunque.

Eva Gevorgyan

È impossibile rendere conto anche solo sommariamente di tutte le prove e dei vari brani eseguiti dalla Gevorgyan : la “Snow Queen” della musica, come è stata soprannominata in rete. Diciamo solo che una Fantasia op. 49 con questo grado di padronanza della forma non la ricordavamo, che gli Studi sono stati esaltanti, la Sonata in si bemolle minore op. 35 di un'intensità travolgente e il Concerto finale, come dicevamo, una prova di incredibile precocità, maturità, perfezione stilistica, profondità di sentimento. Eva Gevorgyan non è stata fra i premiati, cioè non è entrata fra i primi sei. In finale sono arrivati in dodici, ed è già grave che non vi sia entrato un pianista di classe come Alberto Ferro, che in una classifica rispettosa dei valori in campo doveva arrivare secondo dietro la Gevorgyan : è allarmante che un interprete colto, composto, che ricorda vagamente Pollini senza i suoi furori ideologici, non venga capito e si veda scavalcato da candidati che non hanno un barlume della sua solidità interpretativa. Buona la prova di una veterana come Leonora Armellini, quinta ;

Alexander Gadjiev

Kyohei Sorita

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

secondo l'italo-sloveno Gadjiev, modesto e sopravvalutato, ex-aequo con l'irrilevante giapponese Kyohei Sorita.

Martin Garcia Garcia

Dietro ancora, terzo, lo spagnolo Martin Garcia Garcia, talentoso ma convinto delle vaghe parentele tra un adagio di Chopin e la Zarzuela, e ancora altri premiati di imbarazzante modestia. Lo scandalo della mancata vittoria di Eva Gevorgyan, quindi, c'è tutto. Dispiace che sulla classifica finale dello Chopin 2021 ci sia anche la firma di due grandi pianisti come Olejnicizak e Harasiewicz, che avrebbero avuto tutto il peso “politico” per opporsi e hanno scelto invece di avallare un verdetto assurdo.

Un prezioso contributo alla decapitazione del talento l'avrà dato di certo un altro dei giurati in commissione a Varsavia : lo studioso inglese John Rink, esperto di manoscritti chopiniani e docente a Cambridge. Duole osservare che se c'è qualcuno che non capisce niente di esecuzione è proprio Rink. Lo si evince senza ombra di dubbio dal libro da lui curato e dedicato all'interpretazione musicale (L'esecuzione musicale. Guida, analisi, prospettive, Rugginenti 2008),  dove il senso della musica è baldanzosamente tradotto in grafici, specchietti, tabelle e sinusoidi, e rivendicato come una variabile misurabile : invitare nella commissione di un concorso così importante come lo Chopin uno studioso chiaramente a digiuno di cultura musicale e di storia dell'interpretazione pianistica, oltre che di una elementare capacità di capire le composizioni eseguite – in un recente convegno sull'interpretazione ha prodotto come esempio di performance di alto livello un'esecuzione chopiniana di imbarazzante modestia –, significa assicurarsi di promuovere la mediocrità e l'estraneità culturale a spese del talento e del genio.

Almeno, però, Rink avrà fatto strame del merito in modo, diciamo così, disinteressato. Altrettanto non si può dire di diversi membri della giuria. Otto premiati sono sembrati tanti dal primo momento, ma rispondono a una ferrea logica di spartizione, perché quattro dei concorrenti premiati sono allievi di membri influenti della giuria : Kyohei Sorita (secondo ex-aequo con Gadjiev) di Pëtr Paleczny, Jakub Kuszlik della presidente Katarzyna Popowa-Zydroń e altri due di Dang Thai Son : Jun Li Bui (sesto) e – sorpresa ! – il vincitore Bruce Liu. Questo dettaglio getta ulteriore discredito su uno dei concorsi più importanti e di maggior tradizione al mondo.

Come si dice in polacco, Chapeau !

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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.
Crediti foto : © Musical America (Martin Garcia Garcia)
© Sito Concorso Busoni (Vincitori Busoni)
© Medici TV (Eva Gevorgyan)
© DR (Alexander Gadjiev, Bruce Liu)
© Youtube (Kyohei Sorita)

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