Giuseppe Verdi (1813–1901)
La Traviata (1853)
Opera in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave da La Dame aux Camélias di Alexandre Dumas figlio
Prima assoluta alla Fenice di Venezia il 6 marzo 1853

Direttore : Daniele Gatti
Regia, scene et realizzazione filmica : Mario Martone
Maestro del Coro : Roberto Gabbiani
Coreografia : Michela Lucenti
Costumi : Anna Biagiotti
Fotografia : Pasquale Mari

Violetta Valéry : Lisette Oropesa
Flora : Anastasia Boldyreva
Annina : Angela Schisano*
Alfredo Germont : Saimir Pirgu
Giorgio Germont : Roberto Frontali
Gastone : Rodrigo Ortiz*
Barone Douphol : Roberto Accurso
Marchese d'Obigny : Arturo Espinosa*
Dottor Grenvil : Andrii Ganchuk**
Un Commissionario : Francesco Luccioni
Domestico di Flora : Leo Paul Chiarot
Giuseppe :  Michael Alfonsi

*Dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
** Diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Performers Balletto Civile

Filmato negli spazi del Teatro Costanzi, trasmesso il 9 aprile 2021 e in replay su Raiplay

Dopo il successo del Barbiere di Siviglia lo scorso dicembre (Premio Abbiati 2020), l'Opera di Roma propone un nuovo pilastro del repertorio La Traviata, film-opera di Mario Martone girato tra le mura del Teatro Costanzi, questa volta utilizzando tutti gli spazi del teatro, e anche di pîù. Non si tratta quindi di una produzione teatrale, ma di un vero e proprio film realizzato appositamente per il periodo di lockdown. Daniele Gatti e un solido cast dominato da Lisette Oropesa compongono la parte musicale dell'opera, che diventa nelle loro mani un oggetto "inclassificabile" : la produzione  fa rivivere la tradizione del film-opera che si pensava fosse scomparsa, e  cerca una forma che sia in sintonia con il luogo delle riprese e il periodo in cui viviamo.

 Festa da Violetta, atto I

Replay su Raiplay.it

Non è una Traviata parigina, ma profondamente romana quella che ci offre l'Opera di Roma, perché Mario Martone ha deciso di fare di questo film un oggetto tipicamente romano, portando la sua telecamera in giro per gli spazi pubblici del teatro, palcoscenico, sala, corridoi, camerini, sale adiacenti, scale, e anche all'esterno, nelle terme di Caracalla e nella zona del Circo Massimo, e persino nelle strade vicine al teatro dell'opera. Chi conosce il Teatro Costanzi ha potuto divertirsi riconoscendo questo o quell'angolo dei foyer, cosicché si inscriva in modo subliminale che l'idea di fare del teatro nel suo insieme uno spazio di recitazione, lo spazio del dramma, ma anche lo spazio delle esigenze vitali, è chiaramente un’idea di Roma, del suo Teatro, del suo team artistico.

Nei corridoi del Costanzi, la festa del primo atto

Mario Martone, nell'ambientare il dramma in questo spazio così particolare e familiare a molti spettatori, gioca ovviamente sulla questione del luogo teatrale, soprattutto nel primo atto dove la festa a casa di Violetta è facilmente ambientata nei vasti saloni del Costanzi, da teatro d'opera a teatro sociale. Ma gioca anche su “natura” e “artificio” in particolare nel secondo atto dove il rifugio degli amanti in mezzo alla natura non ha nulla di "naturale"; è un insieme di alberi finti, vecchie scene dipinte che crollano con il sogno di Violetta. Martone gioca su tutte le possibilità del teatro, sottolineando anche la sua singolarità e il suo carattere insostituibile. Un teatro è un luogo di rappresentazione sulla scena e in sala, un luogo di riti sociali, ma anche di altri riti che sono quelli dello spettacolo, dove ogni set è significativo.

 Atto I

Da qui l'uso del lampadario, emblematico di ogni teatro d'opera, che a secondo dei momenti scende dal soffitto, po ci risale : un oggetto invasivo che ci ricorda le parole di Baudelaire (("Le mie opinioni sul teatro. Ciò che ho sempre trovato più bello in un teatro, nella mia infanzia, e ancora adesso, è il lampadario, – un bellissimo oggetto luminoso, cristallino, complicato, circolare e simmetrico. […] In fondo, il lampadario mi è sempre sembrato l'attore principale, visto attraverso l'estremità grande o piccola del cannocchiale".  Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo)) di cui in Francia non si festeggia i 200 anni. Perché nella nostra società di nuovo moralismo sa ancora di sovversione. Eppure il suo mondo ci avvicina molto a quello della Traviata !

 Opera, lampadario, letto

Come in Barbiere, la buca si trova tra il palcoscenico e la sala libera dalle poltrone, il che rende lo spazio di recitazione gigantesco e fa dell'orchestra un personaggio letteralmente al centro del dramma, ma questa volta Martone gira anche all’esterno, usando procedure tipicamente filmiche (camera in soggettiva, dissolvenze incrociate, controfade) e ha reso il suo approccio molto più elaborato (troppo?) che in Barbiere.

Se il primo atto si svolge negli spazi pubblici del teatro, è una festa elegante che contrasta con la festa da Flora, più volgare. Ma già il letto appare dove durante l'È strano su cui vengono gettati i cappotti chissà da dove, perché gettare il cappotto sul letto è il gesto dell'uomo che entra nella stanza della prostituta e così viene evocato l'accumulo di clienti…
Il secondo atto si svolge per lo più sul palcoscenico, anche se inizialmente Alfredo sta dipingendo nell'angolo di un camerino (nella regia di Tcherniakov alla Scala pelava le verdure), indicando l'ozio e la disattenzione del personaggio e quindi la sua leggerezza giovanile perché dimostra che non è consapevole di essere mantenuto da Violetta.

La scena tra Germont e Violetta è senza dubbio la più “teatrale” della produzione, con il letto centrale (dove Violetta sta già crollando – come in previsione della sua morte – avvolgendosi nella tonaca di Germont come un terribile sudario) circondato da una cornice verde (volutamente finta), Germont porta giù ogni albero uno per uno dalle grucce e così il set è a terra, simbolo dei sogni infranti  nel momento in cui Violetta accetta il sacrificio, come il ritorno alla realtà la fine di un sogno che sta crollando. Così tutto il resto del quadro si svolge in mezzo alle scene crollate a terra. Le scene Violetta-Alfredo e Germont-Alfredo si svolgono quindi in mezzo alle rovine visibili del sogno, il che capovolge l'opera.

Quindi il momento più commovente è il meno cinematografico, ma il più teatrale. In un teatro, è proprio la teatralità che fa senso. Ed è il messaggio di Martone di far recitare Traviata nel teatro, la sua "vera casa”, di cui vediamo saloni, ridotti, scale, lampadario che va su e giù, ma anche fili elettrici e fugaci scene di backstage.

Festa da Flora, più volgare di quella da Violetta

È chiaro che Violetta-Traviata « strega » l'opera-luogo come personaggio et quasi come fantasma in questa produzione, perché Traviata è anche opera talmente emblematica del genere operistico da essere quasi intoccabile. Un oggetto sotto vetrina che non si dovrebbe toccare mai.

 Alfredo (Saimir Pirgu), Violetta (Lisette Oropesa) Germont (Roberto Frontali)

Nel terzo atto, è un po' il contrario : il letto è da solo sul palcoscenico e Martone usa sia dispositivi cinematografici che teatrali per trasmettere l'idea della fine e dell'addio al passato (da un lato gioca con il sipario del palcoscenico sottolineando l'idea della solitudine, e dall'altro l'Addio del passato è illustrato da visioni di Violetta nel tempo del suo splendore e nel tempo dell'amore, da immagini del passato sovrapposte al presente), e poi l'ingresso di Alfredo è visto come una sorta di remake della scena del balcone di Romeo e Giulietta, con Violetta, devastata dalla malattia, che guarda Alfredo dalla ringhiera di un palco. Altri effetti di luce (la scena è molto buia) o di immagini sfocate in una specie di nebbia, come se Violetta se ne andasse o che tutto questo si svolgesse in un sogno o in un delirio – accentuati poi dal passaggio del carnevale, sottolineano l'idea di addio a una vita che continua per gli altri.  È infatti un'ambiguità lasciata da Martone a chiedersi se Violetta non stia sognando questo ritorno, dato che le ultime immagini la mostrano morire sola in teatro, crollando sulla fossa vuota. Un luogo di musica senza musica, come quello che stiamo vivendo oggi.

Nel complesso, l'impressione è duplice : da un lato, lo sforzo di proporre qualcosa di diverso da una semplice ripresa teatrale è da lodare, e l'Opera di Roma mostra il suo dinamismo in termini di innovazione e di ricerca di proposte diverse ; dall'altro, le idee di regia sono spesso interessanti, mai gratuite, soprattutto nello scambio tra teatro e cinema, nell'esibizione della forte "identità" romana poiché è il Teatro Costanzi che viene valorizzato, con alcuni rapidi paesaggi esterni (Caracalla), al di là del rapporto con il contesto "parigino" del libretto.
Tuttavia, da un punto di vista strettamente visivo e teatrale, anche se ci sono molti dettagli interessanti e nuovi (visione di una Annina meno remissiva, lavoro molto realistico su Germont), il lavoro sulla recitazione è condizionato dalle innovazioni sul canto, sul modo di cantare questa o quella frase e dagli effetti del contesto ; si potrebbe preferire Il Barbiere di Siviglia, meno curato forse, ma più vivace, più fresco, meglio "recitato". Il lato più “pulito”, più "curato" e più "pensato" di questa Traviata può essere in qualche modo dannoso per la ricezione del prodotto e, per dirla tutta, per l'emozione immediata. Tuttavia, le reazioni molto violenti di una parte del pubblico di fronte alla regia (e anche alla direzione musicale) non sono affatto giustificate : il libretto non è mai tradito e l'emozione non è mai distrutta ma più sottilmente infusa.
Queste reazioni dimostrano che La Traviata è ancora un titolo "sensibile" in Italia e che ci sono virulenti nostalgici di Cavani e Zeffirelli. Ma a meno che non si scelga di interpretare solo Cavani (a Milano) e Zeffirelli (a Firenze… E a Parigi negli anni '80, a Verona, o anche al cinema) ad vitam aeternam, bisogna essere un po' più disponibile ; ci si chiede cosa vogliano i guardiani del tempio, strenui difensori di verità "eterne" che esistono solo nella loro mente un po' fossilizzata, ma non nel teatro, che non è altro che un gioco infinito di verità e apparenza, e dove non esiste nessuna verità eterna.

L'origine del progetto sta nella buona intesa tra Daniele Gatti e Mario Martone, e in buca, Daniele Gatti dà una lettura del capolavoro abbastanza inaspettata sotto molti punti di vista (scelta degli strumenti per la banda iniziale, balli alla festa di Flora, ecc. ) ma soprattutto dalla scelta di tempi più veloci, come se fosse una corsa contro la fine ineluttabile, in coerenza con la partitura, senza mai premere sui facili effetti che tutti aspettano per piangere al momento giusto (è molto chiaro nel modo di proporre l'amami Alfredo per esempio).
Si nota per esempio l'insistenza dei ritmi di valzer, che è la danza del milieu delle cortigiane a Parigi, e non la danza imperiale viennese : il valzer diventa un simbolo della vita di una cortigiana : come stupirsi allora che Dite alla giovine abbia un tempo lento di valzer, poiché Violetta si rende conto che deve inevitabilmente tornare alla sua vita di prima… Così la direzione musicale ha scatenato anche le ire delle vestali di Verdi. Ma quale Verdi, visto che le indicazioni agogiche sono molto chiare nella partitura e Verdi è molto preciso fino all'ultimo dettaglio ? Come per la messa in scena, ci sono spettatori che hanno aspettative fissate una volta per tutte, e se ciò che sentono o vedono non corrisponde, gridano al tradimento. Suonare La Traviata "come previsto" è abbastanza facile, bisogna solo cercare di ricreare le emozioni dove la tradizione le ha installate : un'eterna ripartenza e quindi un impantanamento.
Continuo a tornare all'assurda accoglienza della Traviata di Tcherniakov alla Scala (con Gatti nella buca), che ha portato il sovrintendente Pereira a riproporre la vecchia produzione di Cavani. Si preferisce rispettare la rabbia del pubblico fossile piuttosto che l'opera o il compositore.

La visione di Martone, nel complesso piuttosto saggia (anche se approfondita), si concede qualche visione più aperta che le vestali non sopportano (il letto… anche se è lo strumento di lavoro di Violetta) e Gatti cerca di dare all'opera un altro colore, più grezzo, meno romantico, più crudo, e qui viene anche crocifisso.
È stato lo stesso per Rigoletto, che ha diretto sia all'Opera di Roma che al Circo Massimo, e si è spiegato a proposito. Per un compositore come Verdi, una colonna portante di tutti i teatri d’opera, si instaura inevitabilmente una doxa, un modo di sentire l'opera che si crede canonico e che è solo il risultato di vari strati installati dalla tradizione, ma non necessariamente dal compositore stesso, la cui partitura non mente.
Gatti legge e rilegge le partiture, e ha spiegato bene come, nelle sue riletture di Verdi, abbia scoperto indicazioni agogiche diverse, dettagli eloquenti, accenti che rompono con il consueto. Ci offre una lettura che prescinde dalla ruggine, che respira, che vive e che quasi ti mette a disagio, tanto che ti stupisci per le scelte fatte, e tanto che passi dal dramma romantico alla tragedia senza veli, con la sua crudeltà diretta. Il risultato è un Verdi formidabilmente moderno, in sintonia con la storia che racconta, una storia sociale e cruda che diventa quasi corsa frenetica per la vita, il cui ritmo va quasi oltre la regia di Martone, che forse corre dietro alle scelte musicali.

La cosa essenziale è che Gatti rende ancora più chiare le raffinatezze della partitura, le scelte quasi shakespeariane di Verdi, e porta Verdi fuori dall’Ottocento romantico alle soglie del Novecento senza abbellimenti, con una ruvidezza che scuote, che dividerà (oh tanto) in modo benefico : discutere di Verdi e in particolare di Traviata è un'indicazione innegabile della vivacità dell'opera e del genere lirico. Un Verdi non all'indietro, ma in avanti. Un Verdi senza zucchero che mostra la crudezza della storia spesso soffocata nelle sete e stucchi del Secondo Impero. È forse un grande passo nell'interpretazione verdiana che è stato fatto, su un'opera del grande repertorio, e non sul Verdi più maturo di Don Carlos, Otello o Falstaff, su cui il pubblico permette (perché?) più "passi laterali" nella lettura musicale o scenica. Osando toccare la trilogia popolare (e abbiamo anche amato il suo Trovatore a Salisburgo e aspettiamo con la stessa curiosità quello che proporrà quest'estate al Circo Massimo), Gatti installa una visione del nostro tempo che fa di Traviata un dramma sociale, in coerenza con le visioni dei romanzi dell'epoca e in particolare di Dumas-figlio : in questa lettura, Violetta non è una Mimì, è una prostituta di lusso abbandonata fin dall'inizio alla sua solitudine e fragilità, il cui statuto sociale dipende dal suo letto : da qui la centralità del letto nell'opera di Martone, che ha ulcerato alcuni spettatori.
Le forze romane, sia l'orchestra che il coro (guidato dall'eccellente Roberto Gabbiani), rispondono magnificamente alle richieste del direttore, e dimostrano il loro impegno nel progetto. Musicalmente, è una grande performance, molto profonda, che richiederebbe un’analisi dettagliata partitura in mano.

Per quanto riguarda la compagnia di canto, le cose sono meno contrastate, anche se anche i cantanti sono costretti ad abbandonare le loro abitudini incrostate. L'insieme è davvero di bel livello. Annina non è sempre citata, ma qui la performance della giovane Angela Schisano è degna di nota perché invece di essere la serva sottomessa, mostra l'autorità di una "governante", soprattutto di fronte ad Alfredo quando gli apre gli occhi nel secondo atto informandolo che Violetta venderà i suoi beni per continuare a mantenere la coppia.  Nell'opera di Tcherniakov, Annina era anche una figura (Mara Zampieri), una sorta di Violetta anziana che "proteggeva" in un certo senso l'eroina. Gli altri ruoli di supporto sono ben tenuti.

Saimir Pirgu (Alfredo)

L'Alfredo di Saimir Pirgu è senza dubbio il più imbarazzato. Il suo canto è ben definito e controllato, con effetti spesso belli, ma da un lato la voce non è sempre all'altezza, gli acuti a volte difficili, il ritmo meno adatto, come se avesse qualche problema ad entrare nella logica musicale. È diligente, segue le indicazioni con l'esattezza dello studente serio ma rimane un po' esterno, come se si forzasse ; a dir poco, il personaggio manca di incarnazione e di naturalezza. È un po’ indietro nel trio di protagonisti.

Roberto Frontali è al contrario esemplare : dopo il suo straordinario Rigoletto su questo stesso palcoscenico e con lo stesso direttore, offre il Germont un po’ diverso che esige la musica di Gatti e la regia di Martone. Prima di tutto, perché privilegia il fraseggio e la parola rispetto alla voce : il suo ingresso dell’atto secondo, al limite dello stile parlato, con un tono aggressivo e insistente è impressionante. Poi sa cosa significa colorare, usando le ombre e le luci del suo timbro con un senso musicale compiuto per fare della sua performance un’incarnazione. Più sorprendentemente, riesce a incarnare un Germont privo di umanità, che distrugge consapevolmente la fragile felicità di questa donna che sta per morire, tranne alla fine quando il suo pentimento è accolto con distanza da Alfredo. In questo senso, è uno dei più veri, oserei dire autentici Germont sulla scena dell'opera oggi. Veramente grandioso.

 Lisette Oropesa (Violetta) durante le prov

 E Lisette Oropesa ?
Seguiamo questa splendida cantante da molto tempo e ancora una volta ci affascina la sua facilità tecnica, con una voce brillante di insolente freschezza senza alcun difetto. Avevamo già ammirato la sua Violetta (molto più tradizionale) a Verona. In questa produzione e con questa regia adatta il suo modo di cantare alla visione del personaggio e alle esigenze musicali. Il suo canto illumina tutta la performance : il primo atto è sconvolgente e senza fiato, il secondo disperato, anche musicalmente, poiché Gatti rifiuta di indulgere al lirismo troppo dimostrativo ma piuttosto al "precipitato" (in senso chimico) del dramma : la Oropesa è sopraffatta, quasi impedita a cantare "come al solito" ed è anche straziante. “I più disperati sono i canti più belli” ((Musset, Notte di maggio)) …

Il suo terzo atto è assolutamente esemplare nel ruolo della giovane donna massacrata dalla vita, la voce ha una freschezza tragica, e allo stesso tempo quasi inutile – da questa voce cristallina verranno solo morte e disperazione.  Sa anche piegarsi a un nuovo approccio, meno dimostrativo e più "vissuto", più realistico del solito. Prestazione esemplare.

A due giorni di distanza e in un altro streaming venuto da Liegi, Patrizia Ciofi ha mostrato la tragica figura della donna devastata con un'esperienza diversa e una voce meno fresca, ma totalmente incarnata e sconvolgente, in una visione pero più tradizionale. Lo streaming offre così la possibilità di mettere faccia a faccia due spettacoli eccezionali, ognuno agli antipodi dell'altro, dove la scelta è difficile.

Lasciatevi sorprendere da questa Traviata che destabilizza, forse una pietra miliare nell'interpretazione dell'opera. È un nuovo Verdi, di grande modernità nella profondità psicologica con cui tratta i personaggi, lontano dal solito teatro "borghese" e molto lontano dalla superficie delle cose.

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