« Una contessa con il naso da uomo » : così Robert Schumann, cioè il più acuto, chiaroveggente e generoso critico musicale della storia, definisce scherzosamente nel 1841 Sigismond Thalberg, colto al culmine del successo che lo rivela come uno dei massimi pianisti-compositori della scena internazionale – e la concorrenza a quest'altezza è agguerrita ! Nato a Ginevra nel 1812 ma formatosi musicalmente a Vienna e poi a Londra (con Moscheles) e a Parigi (con Kalkbrenner) – che è quanto dire i numi tutelari del virtuosismo Biedermeier –, Thalberg cavalca vittoriosamente un momento nodale della storia della musica e del pianoforte. La sua è l'epoca di una formidabile accelerazione dell'evoluzione per la quale nel giro di qualche anno nel panorama musicale cambia tutto : dalla costituzione tecnica del pianoforte alle modalità sociologiche di ascolto, dalla composizione del repertorio strumentale e operistico – integrato prepotentemente dal melodramma romantico italiano e poi dalle sue rifrazioni pianistiche –, allo stesso spazio antropologico riservato alla musica, che diventa nel giro di pochi anni, si potrebbe sostenere, un fenomeno di massa. Il pianoforte si afferma nella prima metà dell'Ottocento come la voce capace di interpretare meglio di qualunque altra i sogni e le inquietudini di una società che sta tumultuosamente cambiando assetto, scossa dal travaglio della prima modernizzazione ma ancora capace di pensare il mondo in termini di valori saldi e universali, e di concepire l'arte come il sismografo insostituibile del suo fermento spirituale.
Proprio la sua versatilità, il carattere di sensorio capace di captare e tradurre artisticamente le convulsioni del cambiamento, rendono lo strumento nato dalle mani di Bartolomeo Cristofori all'alba del secolo precedente il centro simbolico e l'attrazione principale dei salotti dell'aristocrazia europea, che costituiscono ancora la ribalta concertistica in grado di consacrare una carriera. In uno dei più splendidi fra questi salotti Cristina di Belgiojoso, fatalissima contessa italiana simpatizzante dei movimenti risorgimentali, organizza nel 1837 a Parigi una spettacolare tenzone fra i due massimi cavalieri europei della tastiera : Thalberg appunto, reduce da una serie di esibizioni che aveva fatto sensazione, e Liszt che torna apposta dalla Svizzera dov'era riparato per tenere protetta la sua relazione con la contessa parigina Marie D'Agoult. Il verdetto, così pare, premia i due campioni del bianco e nero con un ex-aequo, ma il solo fatto di appaiare la reputazione dell'inarrivabile autore degli Studi trascendentali – che di suo sta per intraprendere quella trionfale serie di tourné che Heine battezzerà “Lisztomania” –, rende l'idea di quanto alta brillasse già alla fine degli anni Trenta la stella di Thalberg.
All'epoca il pianoforte ha da poco aggiunto, con l'invenzione nel '21 del doppio scappamento, un tassello essenziale alla sua trasformazione in una « macchina illusionistica che ha il fresco sussurro della brezza marina e la potenza terrificante della folgore montana, e che ha la gamma dei colori dell'arcobaleno » (Piero Rattalino), e Thalberg mette a frutto in modo esemplare le innovazioni. Utilizzando spesso la scrittura su tre pentagrammi, adottata anche da Liszt, il compositore austriaco introduce un modo completamente nuovo di mettere in risalto e allo stesso tempo sfaccettare i portati semantici della melodia : mentre le voci esterne la sostengono con il basso e la fioriscono di arpeggi e figurazioni ornamentali, la melodia viene assegnata al registro centrale del pianoforte e realizzata dalle due mani alternatamente. Sarà per questa innovazione nella scrittura, che è ovviamente dettata da nuove esigenze espressive, che Donizetti noterà ammirato come il suono di Thalberg avesse la “potenza di un'orchestra”.
Nella poetica del virtuoso austriaco non c'è il desiderio di stupire con l'azzardo acrobatico e meno che mai di imprimere al virtuosismo pianistico la torsione demoniaca che sarà l'ossessione del suo rivale Liszt, mai pago di occuparsi dei diavoli suoi e di quelli altrui : Thalberg, più vicino in questo senso a Chopin, sviluppa invece una tecnica specifica per trasporre sulla tastiera l'arte del canto per come il melodramma italiano la stava facendo conoscere al pubblico europeo. Scrive infatti un'Arte del canto applicata al pianoforte, che consta di ventiquattro trascrizioni di vari autori e di canti popolari, dove la tecnica pianistica viene piegata a rendere le più minute sfumature della voce, il grafico delle palpitazioni sentimentali, il continuo trascolorare affettivo dei personaggi operistici. Il cantabile di Thalberg, modellato sull'ideale delle grandi voci primo-ottocentesche e nutrito da una superiore conoscenza delle possibilità tecniche del pianoforte, ha una qualità unica che stupisce i critici contemporanei : « Rubinstein e Thalberg potevano letteralmente “cantare” sul pianoforte. C'era una “liquidità” nel loro tocco che nessun altro pianista a me noto possedeva, e che potrei paragonare alla “luce liquida” di un pianeta » (Francesco Berger).
Il canto, l'opera, e anche la capacità di riassumere il diagramma di forze di una trama operistica con il solo pianoforte costituiranno costantemente la predilezione del compositore, contribuendo in maniera determinante al suo successo. Il pubblico che frequentava i teatri aveva infatti piacere di riascoltare eseguite al pianoforte le opere che più aveva amato, e così la “fantasia drammatica” diventa un genere frequentatissimo, meglio ancora se un compositore come Thalberg dimostra di possedere una dote specifica nella trasposizione dello specifico vocale in termini tastieristici. Il vantaggio di proporre brani la cui fonte è già nota al pubblico è duplice : la proposta di melodie note cattura subito l'attenzione del pubblico, mentre l'ornamentazione e la trasformazione di quelle stesse melodie rappresentano un accattivante elemento di novità. In questo senso, nota Rattalino, la parafrasi operistica costituisce un'“interpretazione” creativa del testo che parafrasa : « La fantasia drammatica, basata sull'idioma melodrammatico a tutti noto, rappresentò dunque […] il tramite tra il concerto con orchestra, già calcolato dagli autori per l'esecuzione pubblica, e la trasformazione sociologica della sonata, pensata dagli autori per l'esecuzione privata o semiprivata. Trasformazione che comportò una metamorfosi : l'esecuzione divenne interpretazione ». La fantasia drammatica, in questo senso, costituisce anche un contributo determinante nella storia della musica nel senso che spinge sulla distinzione, allora appena agli albori, tra interprete e compositore : « a nessuno sarebbe venuto in mente di non distinguere, nella lodatissima, osannata Fantasia sul Mosè, l'opera creativa di Thalberg dall'opera creativa di Rossini ». Non è un caso che proprio la parafrasi operistica costituirà la principale attrazione di una creazione completamente nuova che si sta profilando sulla scena del concertismo europeo : il Recital, cioè il tipo moderno del concerto centrato su un solo strumento. Liszt, cui si devono alcune fondamentali invenzioni della storia della musica ottocentesca, lo battezza in una lettera famosa “soliloquio musicale”.
Proprio la fantasia drammatica costituisce il centro del repertorio di Thalberg. Meno audace di Liszt, capace di afferrare la fabula di un'opera stravolgendone completamente l'impianto drammatico e l'asse etico (basti pensare alle Réminescences de Don Juan, concluse con l'apoteosi di un vittorioso Don Giovanni che sovrasta, da vero oltre-uomo, l'inane minaccia del Commendatore), e più fedele alla logica drammaturgica originaria, Thalberg scrive parafrasi da Bellini (Norma, I Capuleti e i Montecchi, La Sonnambula), Donizetti (La fille du régiment, Don Pasquale, Lucia di Lammermoor), Rossini (Semiramide, La donna del lago, Il barbiere di Siviglia), Verdi (La Traviata, Il Trovatore, Rigoletto, Ballo in maschera). Tutte le parafrasi operistiche, più Les soirées de Pausillippe, il Concerto per pf. in Fa minore (un lavoro giovanile, con l'orchestra in un ruolo di semplice supporto allo strumento solista, ben diretto da Andrew Mogrelia e accompagnato dall'apprezzabile Razumovsky Symphony Orchestra) e altri brani ancora sono contenuti in un cofanetto di sei CD uscito per la Naxos e firmato dal pianista Francesco Nicolosi. Le registrazioni coprono un arco di tempo che va dal 1990 al 1995, ed escono quest'anno in edizione comprensiva in occasione del centocinquantenario della morte del compositore austriaco. Questa imponente impresa editoriale costituisce un importante conseguimento della carriera di Nicolosi, che presiede il centro studi dedicato a Thalberg e il Sigismond Thalberg International Piano Competition. Nicolosi, la cui formazione si è svolta a Napoli con Vincenzo Vitale, ha sempre dimostrato un legame ideale con il compositore austriaco che, ritirandosi a fine carriera a vivere proprio a Napoli e dedicandosi qui all'insegnamento, contribuisce a creare la splendida scuola pianistica napoletana. Dunque una scelta d'elezione, quella di questo cofanetto, per un pianista come Nicolosi che percorre queste pagine evidentemente congeniali con magistrale controllo delle nervature architettoniche, misura e gusto negli effetti, esaltante slancio melodico e una qualità di suono di rara bellezza. Ineccepibile l'intuizione interpretativa al fondo di questa monografica : la parafrasi thalberghiana è ancora interna al gusto Biedermeier, si pone cioè ancora come musica reservata, un'arte rivolta ai palati raffinati dell'alta società europea abituata a consumare cultura da tempo immemorabile e capace di cogliere le sfumature di senso più sottili. Nicolosi esegue questi brani, di grande e sobria eleganza, come se si rivolgesse agli uomini e alle donne di quella società tramontata da gran tempo, che tuttavia con la forza dei suoi codici e delle sue predilezioni culturali è stata capace di preformare la musica imponendole il suo sistema di valori e l'impronta elitaria del suo gusto. Il pianista napoletano dimostra rispetto agli assunti estetici di questa musica una sintonia e una comprensione che non si potrebbero immaginare più profonde. La compostezza dello stile esecutivo, la naturalezza con cui restituisce la grazia aristocratica di questi brani, la comprensione per un'arte tanto carica di memorie quanto leggera nel tratto stilistico, permettono a Nicolosi di lasciare vibrare il dettato di tutte le allusioni alla grande letteratura romantica : dietro le opere che qui vengono amorevolmente smembrate, interpretate, ricomposte e infine smaltate in una sorta di squisita miniatura, fanno capolino gli eroi e le eroine della grande letteratura romantica – Hugo, Schiller, Byron, Dumas –, che si sono sciolti dall'originario contesto letterario ma sono poi rimasti impigliati in una linea melodica, in un passo di arpeggi, in una sequenza di accordi di questa geniale operazione di archeologia letteraria. Ascoltando con attenzione questo repertorio, specialmente se reso come in questa esecuzione con un'evidente consapevolezza culturale e conseguente capacità d'immaginazione, ci si tuffa in un passato che in realtà non ha mai smesso di abitarci : la musica assoluta di Thalberg risale attraverso la drammaturgia dell'opera romantica al suo fomite letterario, fornendo agli eroi e alle eroine dei romanzi ottocenteschi il palcoscenico per un'ultima apparizione.