GIUSEPPE VERDI
UN GIORNO DI REGNO

Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani (con revisioni di anonimo)
dalla farsa Le faux Stanislas di Alexandre-Vincent Pineux-Duva

Edizione critica a cura di Francesco Izzo
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano

 

Personaggi Interpreti
Il cavalier Belfiore ALESSIO VERNA
Il barone di Kelbar  LEVENT BAKIRCI
La marchesa del Poggio PERRINE MADOEUF
Giulietta di Kelbar  TSISANA GIORGADZE
Edoardo di Sanval  CARLOS CARDOSO
Il signor La Rocca  MATTEO LOI
Delmonte RINO MATAFÙ
Il Conte di Ivrea ANDREA SCHIFAUDO

 

 

 

 

 

 

 

Maestro concertatore e direttore
FRANCESCO PASQUALETTI

Regia, Scene, Costumi, Luci
MASSIMO GASPARON
da un progetto originale di PIER LUIGI PIZZI per il Teatro Regio di Parma, 1997

Movimenti coreografici
GINO POTENTE

Maestro del coro
ANDREA FAIDUTTI

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNAAllestimento del Teatro Regio di Parma per il Teatro Giuseppe Verdi di Busseto
In coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna
In collaborazione con Concorso Internazionale Voci Verdiane Città di Busseto

Teatro Verdi di Busseto, 6 ottobre 2018

Rari gli spettatori della lirica che possono vantarsi di aver visto Un giorno di regno, seconda opera di Giuseppe Verdi, dopo il successo di Oberto Conte di San Bonifacio. Si tratta pero dell’unica commedia (o melodramma giocoso) composta prima del Falstaff. Senza dubbio l’insuccesso alla Scala giustifica la diffidenza del giovane Verdi (27 anni) verso il genere comico.

Malgrado tutta la letteratura critica attorno all’opera scritta al momento di lutti di famiglia, l’opera rimane poco conosciuta e poco rappresentata, se non a Parma parecchie volte dal 2000, nella produzione di Pier Luigi Pizzi diventata poi un classico.
E’ un adattamento della produzione parmigiana per il palcoscenico del piccolo Teatro Verdi di Busseto (300 posti) a cura di Massimo Gasparon, il più stretto collaboratore di Pizzi, che viene presentato. E le due compagnie di canto che si alternano sono quasi tutti vincitori del
Concorso internazionale Voci verdiane « Città di Busseto ». Aria gioiosa e fresca in terra verdiana.

 

Prosciutti e forme di Parmigiano, siamo in Emilia !

Ogni anno, il Festival Verdi propone una produzione a Busseto, nel piccolo Teatro Verdi nel cuore della Rocca Pallavicino, un gioiello di 300 posti. Tocca quest’anno a Un Giorno di regno e l’anno prossimo toccherà ad Aida, che fu opera inaugurale del teatro restaurato nel duemila con le forze della Scala sotto la direzione di Riccardo Muti e la regia di Franco Zeffirelli. Vicina a Roncole che vide nascere Giuseppe Verdi e a due passi da Sant’Agata dove abitò dal 1851 alla sua morte nel 1901, Busseto è tutta dedicata a Verdi, e vedere uno spettacolo da queste parti è un’esperienza emozionante.
Un Giorno di regno trae ispirazione dalla pièce del francese Alexandre Duval Le faux Stanislas (1809), a sua volta ispirata da un episodio autentico della vita del Re di Polonia Stanislas Leszczynski (padre di Maria Leszczynska, regina di Francia, moglie di Luigi XV), durante la complessa guerra di successione della Polonia. Stanislas, che era già stato Re di Polonia tra il 1704 e il 1709, torna sul trono nel 1733 per tre anni, dopo di che tornò in Francia come Duca di Lorena e vi morì nel 1766.
Per salire sul trono, arrivò in Polonia segretamente, mentre il suo sosia s’imbarcava da Brest (Bretagne) con ostentazione. Un giorno di regno, ambientato nella Bretagne, racconta una avventura del sosia, chiamato nell’opera Belfiore.

Alessio Averna (Belfiore)

Belfiore soggiorna al castello di Kelbar dove sono in preparazione doppie nozze : Giulietta figlia del barone di Kelbar, sta per sposare il tesoriere degli Stati di Bretagna, La Rocca, matrimonio politico evidente, mentre è in realtà innamorata di Edoardo, nipote di La Rocca mentre la marchesa del Poggio deve sposare il Conte di Ivrea, pur avendo avuto con Belfiore, che ama ancora, una tenera relazione. Belfiore, falso re, finto Stanislao, sistema Giulietta con il suo moroso, riesce a rivelare la sua identità e sposare la marchesa. Tutto bene quel che finisce bene. L’opera durò alla Scala nel 1840 la sola serata della Prima assoluta e ritornò sulle scene come “Il finto Stanislao”, il titolo originale Un giorno di regno ricordando in modo troppo crudele la vita breve dell’opera alla Scala.

Senza annunciare in modo troppo palese il genio verdiano, la musica è ben lontana dall’essere trascurabile, ma rimane molto eterogenea, molto (troppo?) vicina sotto tanti aspetti a Rossini, il maestrissimo che restava il più rappresentato in Europa, tanto nella forma quanto nei ritmi, in particolare nei concertati. A volte, comunque, il colore dell’opera diventa più malinconico (ad esempio la cavatina di Giulietta Non san quant'io nel petto) e si riferisce chiaramente a Bellini, nelle parti più intime, ma anche in certi pezzi d’insieme (si riconoscono I Puritani ad esempio). Del futuro Verdi si riconoscono energia vitale e grande forza, ma il tutto è un po’ offuscato dagli echi di Rossini e Bellini, come diviso tra due riferimenti troppo chiaramente citati. Rimangono la melodia, i concertati, il ritmo che rendono la musica molto tonificante al punto che molti spettatori canticchiavano uscendo dal teatro.


Questa forza, questa gioia vengono dimostrate dal giovane cast con impegno e energia.
Per l’elevato numero di recite tra il 28 settembre e il 21 ottobre, due compagnie di canto si alternano : quella che abbiamo vista è molto omogenea, in un’opera dove si distinguono a malapena le prime parti : ciascuno ha almeno un’aria tra Kelbar, Belfiore, la marchesa del Poggio, Giulietta ed Edoardo. Tra l’altro, in uno spazio teatrale così piccolo, le voci finiscono per suonare sono molto vicine allo spettatore e la proiezione corretta non avendo bisogno  di forzare il volume – sarebbe interessante ascoltarle in uno spazio più grande per farsene un’idea esatta.
Si nota però la bella voce di baritono di Alessio Verna (Belfiore), che con fraseggio impeccabile, stile ed eleganza rende il personaggio del finto re, la sua umanità e gentilezza, nonché la sua simpatica astuzia per poter sposare la donna che ama. E’ il cantante più rossiniano per il colore della voce.

Levent Bakirci (Kelbar) e Matteo Loi (La Rocca) nella scena iniziale dell'atto primo

Molto rossiniana anche la scena che apre l’opera, quella della colazione tra La Rocca e Kelbar, cantato dal baritono turco Levent Barkici, scenicamente molto spigliato nel ruolo, con bel suono, sveltezza della dizione, ma che manca un po’ di proiezione, ed è soprattutto un baritono piuttosto che il basso buffo richiesto. L’altro basso buffo, La Rocca, è cantato da Matteo Loi, baritono come il compare…Ovviamente, le voci più chiare non rendono forse il colore richiesto, ma sono tutti e due bravi nell’interpretare le loro parti.
Il giovane Carlos Cardoso è Edoardo, il moroso di Giulietta. Da notare il bel controllo sulla voce, il timbro piacevole, non è il tenore di grazia richiesto ma piuttosto un lirico. I mezzi ci sono, anche se dovrebbe migliorare la tecnica, evitando di gonfiare il registro centrale e curando meglio i passaggi all’acuto.

Perrine Madœuf (La marchesa del Poggio)

Dal lato femminile, la marchesa del Poggio è affidata al giovane soprano francese Perrine Madœuf. Scenicamente convincente con un piacevole numero di spogliarello, le manca pero’ ancora un po’ di fluidità : se gli acuti sono ben impostati, il registro centrale e il grave non sono così sicuri. E’un soprano lirico, mentre la parte richiede quasi un mezzo soprano (Cossotto nell’incisione di Gardelli…): il colore è meno scuro del previsto.

Tsisina Giorgadze (Giulietta)

Pienamente convincente invece la Giulietta di Tsisana Giorgadze, voce chiara, solare, fresca, impegnata, che canta in modo dolce, con molta tenerezza. Una voce di sicuro ricca di avvenire.
Rino Matafù (Delmonte) e Andrea Schifaudo (Il conte di Ivrea) sono dignitosi nelle loro parti episodiche.
Le forze del Teatro Comunale di Bologna, coproduttore, si dimostrano all’altezza sia per quanto riguarda il coro sia per quel che concerne l’orchestra, guidata da  Francesco Pasqualetti, che sostiene l’insieme con verve, ritmo, sveltezza, senza mai una caduta di tensione, mantenendo il ritmo buffo dell’insieme con una bella precisione nella lettura della partitura, in uno spazio ridotto che non perdona alcun errore. I concertati, in particolare, sono risultati particolarmente curati. Veramente una bellissima prestazione per il giovane direttore toscano.

L’insieme è particolarmente preciso e curato grazie all’allestimento colorato e simpatico di Massimo Gasparon, che ha adattato allo spazio la produzione di Pier Luigi Pizzi prevista per il Teatro Regio di Parma agli inizi del 2000. Adattamento che consiste nella riduzione delle scene alle dimensioni modeste del palcoscenico, ma conservando gli elementi più simbolici, scale, arcate che modificano le scene con sveltezza oppure come prosciutti e forme di parmigiano (apertura dell’atto secondo) che radicano la trama in terra emiliana. Ombre e luci sono scolpiti dalle luci efficienti e producono effetti eleganti. L’insieme s’inserisce nello spazio senza che mai si produca un’impressione di trabocco. Al contrario : questo lavoro rimane sempre vivo, pieno d’aria e di respiro : lo spirito di Pizzi è chiaramente presente, anche se manca forse qualche volta la precisione del gioco millimetrico e coreografato del Maestro.
Una cosa è certa : allestimento e direttore sono il punto di forza della produzione, e creano una vera gioia nello spettatore, che il fascino del luogo e l’accoglienza calorosa amplificano. Cosicché ci viene una grande voglia di rivedere e risentire Un giorno di regno.

 

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