
Questo antico ed eterno mito è una storia di ragazze e di ragazzi. Li incontriamo sul treno 1607 della linea Tracia-Mantova-Cremona. I Pastori e la Musica sono venditori ambulanti. I vagoni sferragliano. Ai finestrini scorrono le immagini delle campagne lombarde (i video di Andrea Argentieri). L’Orfeo del tenore Antonio Sapio canta “Vi ricorda o boschi ombrosi” abbigliato da rockstar, con occhiali scuri, brandendo l’asta di un microfono, oppure si filma con lo smartphone durante “Rosa del ciel”. Ma la Messaggiera, cieca, gli occhi glauchi spaventosamente persi nel vuoto, porta la tragica notizia della morte di Euridice. Si fa quasi notte. Di qui il pianto, i visi arrossati di ninfe e pastori, le breaking-news del tg locale che irrompono sugli schermi (« È morta una giovane soprano…la linea alla nostra inviata »). Ai finestrini scorre l’immagine di un tunnel, è la discesa nell’Ade. Orfeo incontra un burbero Caronte, pizzica un basso elettrico portato a tracolla mentre intona “Possente spirto…”. Si alza la parete di fondo e appare la sala del Ponchielli con le luci abbassate…
La sensazione, netta, è che di rado il divino Monteverdi sia parso così contemporaneo, così “quotidiano”, come in questo Orfeo nel metrò alla cui prova generale abbiamo assistito martedì pomeriggio al “Ponchielli” di Cremona, antipasto di apertura di festival che ha già tutta esaurita la “prima” di giovedì 2 maggio e ancora pochi biglietti per le recite di venerdì e sabato (www.monteverdifestivalcremona.it). Una quotidiantà senza forzature, peraltro. Tutto sembra naturale. Tutto sembra vero. Cosa c’è di più vero della disperazione di un gruppo di giovani che perde un’amica ?

Gli spettatori, poco più di cento, non siedono in platea o nei palchi, ma direttamente in palcoscenico, passeggeri immaginari all’interno di un vagone “graffitato” e dotato di corrimano e schermi video. Nel corridoio, proprio davanti a loro, si muovono e cantano gli interpreti, tutti giovani, ma professionisti fatti e finiti. Brivido del contatto e immediatezza comunicativa. Ma, anche estrema cura nella recitazione, totale immedesimazione. È il frutto, ci dice la sovrintendente Angela Cauzzi, di estenuanti, ripetute prove, svoltesi peraltro in massima parte a Milano. E a fine spettacolo, per questo Orfeo dei giovani, tra il pubblico ci sono spettatori commossi. Letteralmente commossi. Lo stesso regista appare provato, e felice, come sollevato, con gli occhi visibilmente lucidi : « Spesso, durante le prove, arrivavamo ad abbracciarci, a piangere ». È lui, Luigi De Angelis, nato in Belgio da padre italiano, studi a Bologna e una compagnia, la “Fanny e Alexander”, fondata a Ravenna, l’ideatore di questa produzione super originale, « iper-contemporanea », realizzata con Hernan Schvartzman alla testa dell’ensemble antichistico della Scuola Civica di Milano. Il lavoro in origine proviene da Anversa, anno 2017, è vero, ma qui a Cremona è tutto nuovo. Lo dice al Wanderersite lo stesso De Angelis : « Qui è tutto più approfondito, più completo. Ad Anversa l’Orfeo era in una dimensione da saggio di fine corso, qui abbiamo invece tutti professionisti, anche se giovani. E poi l’idea di Buzzati è realizzata solo qui ».

Il Poema a fumetti (capolavoro di culto per De Angelis, che ne tiene una copia in camerino, come un amuleto) altro non è che il mito di Orfeo ambientato nella Milano dei nostri giorni, e illustrato dallo stesso Dino Buzzati : Orfi, popstar, idolo delle ragazze al Polypus, figlio minore dei conti decaduti Baltazano, perde la sua Eura e la insegue negli inferi : la loro bocca si apre nell’immaginaria via Saterna, tra largo La Foppa e via Solferino.
Il disegno di Buzzati si ritrova nei costumi di Chiara Lagani, nelle scene dello stesso De Angelis decorate dagli studenti dell’Istituto superiore “Stradivari”. Ma l’ispirazione sembra aver scavato più nel profondo. Come non pensare, per l’idea stessa del metrò, all’epilogo del Poema, a Orfi che raggiunge finalmente la sua Eura, dopo una corsa a perdifiato, in una allucinata Stazione Centrale ? Proprio lì, “i treni i direttissimi gli espressi dell’eternità partono alle ore 2000, alle ore 2.30, alle 23.30, alle ore perdute per sempre, tutto è stato disposto, le caldaie sono piene di stupendo vapore. Via ! Via ! Non partono. Non partiranno mai. Sono i treni dei morti”.
Conclude la Eura di Buzzati : « Povera favola di Orfeo. Anche se tu non ti volterai indietro, non servirebbe lo stesso. Orfi mio, abbracciami, tienimi stretta, amore. Un giorno ci rivedremo ». Forse ciò che commuove, così nel Poema come in questo Orfeo, è il brivido della gioventù e della vita. Che fuggono per non tornare mai più.
