Programma

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Kirill Petrenko direttore

Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 "Eroica"

Richard Strauss
Ein Heldenleben (Vita d'eroe). Poema sinfonico op. 40

Torino, Auditorium RAI "Arturo Toscanini", Sabato 27 aprile 2019, ore 20.30

In un mese, Kirill Petrenko ha diretto in concerto le due migliori orchestre sinfoniche italiane, che conosce bene, a Santa Cecilia dal 4 al 6 aprile e nell'auditorium RAI di Torino il 26 e 27 aprile. In entrambi i casi, ha affrontato Beethoven offrendo interpretazioni sorprendenti e fuori dai sentieri battuti.

Il trionfo riscontrato ogni volta dimostra la sua presa sul pubblico che resta completamente affascinato, ma anche sulle orchestre che trasfigura. Ecco la risposta a quelli che sono stati sorpresi dalla sua elezione a direttore musicale dei Berliner Philharmoniker.

Storia di un momento eccezionale.

 

Kirill Petrenko a capo dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI

Quando un direttore del calibro di Kirill Petrenko si presenta alla ribalta, e in quanto prossimo Direttore stabile dei Berliner Philharmoniker, è legittimo interrogarsi sullo stile, la tradizione, la scuola, soprattutto se, come in questo caso, è una personalità che evita la folla, i media, le registrazioni. La prossima stagione concertistica dei Berliner, il cui programma è stato appena pubblicato, mostra comunque che Beethoven ha un posto speciale.
Petrenko, che cura la coerenza dei suoi programmi, ha offerto quest'anno con varie orchestre un percorso Beethoven ben definito : Fidelio (con la Bayerische Staatsoper, la  prossima stagione con i Berliner Philharmoniker), Missa Solemnis (con la Bayerisches Staatsorchester, la prossima stagione con i Berliner Philharmoniker), la Nona (con l’Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la prossima stagione con i Berliner Philharmoniker) e l'Eroica (con l'orchestra Sinfonia Nazionale della RAI).

Come descrivere il Beethoven di Petrenko, alla luce di questa Eroica, volutamente inserita in un programma sull’eroismo e proposta con Ein Heldenleben di Richard Strauss ?
La prima osservazione è programmatica : Petrenko inizia il suo programma con l’Eroica (quando la maggior parte delle volte la sinfonia conclude il concerto) e chiude con Richard Strauss, vale a dire che c’è intenzione di far vedere un percorso e, dunque, in un certo senso, un crescendo.

Petrenko ha una doppia formazione, russa fino a 18 anni, e austriaca per i suoi studi musicali superiori e i suoi primi impegni, e non è riducibile a una o l'altra perché il suo Ciajkovskij è sorprendente come il suo Beethoven. Viene paragonato, niente meno, che a Furtwängler, qualche volta a Bernstein, più spesso a Kleiber. Eppure, se trasmette un'energia insolita e trascina le orchestre in un vortice di pazzi virtuosismi, le sue interpretazioni sono singolari e possono anche spiazzare l’ascoltatore.
Ci sono pero alcuni elementi che si riconoscono, da un concerto all’altro : le lunghe pause, marcate, durante l'esecuzione e tra i movimenti, un uso spesso spettacolare dei timpani, dei contrasti molto forti tra pianissimi e fortissimi, e una trasparenza stupefacente che rivela l'importanza di dettagli in frasi musicali spesso considerati come secondari da altri.
C’è nel suo approccio una indiscutibile messa in scena del suono, ma senza compiacimenti o esagerazione, né volontà di dare dimostrazioni nell’imporre un particolare colore (romanticismo, eroismo, sacralità, ecc …). Si esce sempre con l'impressione di aver ascoltato una lettura della partitura fino a se stessa, puramente musicale, e senza "intenzionalità" evidenziata, ma la lettura è così profonda che stordisce l'ascoltatore, costretto a mantenere una concentrazione molto più elevata che in altre occasioni. Petrenko non lascia spazio al sogno e alla distrazione, siamo al centro del testo musicale, in una specie di labirinto complesso e rivelatore.
Così questa Eroica sorprende per un paradosso : è una lettura compatta, rigorosa qualche volta cupa ma anche trasparente e aerea. Lontana da quel romanticismo di cui si dice segni la nascita. I due vertici ne sono l’intensa Marcia funebre, pure così "semplicemente" eseguita e l'ultimo movimento con la sua velocità incredibile, il virtuosismo impossibile, che porta l'orchestra agli estremi delle sue capacità, dove tutti gli strumenti sono esposti e tecnicamente sollecitati fino all’impossibile (corni!).

Kirill Petrenko dirige l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI (Beethoven)

Petrenko sul podio è sempre particolarmente dimostrativo, e nessun elemento della partitura sembra sfuggirgli : parla il suo corpo, la sua mano sinistra, il viso, le dita, come un Bernstein trascinato e posseduto dalla musica, creando nel gruppo dei musicisti un’adesione eccezionale, soprattutto perché ha una reputazione di cortesia e gentilezza che certi altri suoi colleghi non hanno, e durante le prove parla poco, ma sorride sempre con volontà di ferro per andare in fondo alle cose. Si intuisce che Petrenko non è un “discorsivo”, ma un pragmatico, si definisce nell'azione ("Pragma / πράγμα"), nell’istante hic et nunc, e in questo senso , la sua lettura è colta (ma non intellettualistica) e sembra spontanea, impressione fasulla perché la partitura è stata preparata e lavorata a lungo : da qui, questa impressione di esplosione e di sorpresa permanente.

Ascoltare il suo Beethoven, anche la Missa Solemnis, da l’impressione di una lettura laica, profondamente umana probabilmente nata dall’Illuminismo, di cui l’Eroica voleva celebrare quello che pensava di essere l'eroe, Napoleone Buonaparte. Sfortunatamente, Napoleone non fu esattamente quell'eroe e la delusione di Beethoven fu grande. Impossibile in questo contesto celebrare con un approccio brillante un eroismo ingannevole. E la dedica sostitutiva a un grande uomo (anonimo) e, infine, al suo protettore il principe Lobkowitz da la misura della delusione, quale "caduta" dall’eroe epico ed etico Napoleone al più quotidiano e ordinario Lobkowitz, epico "quotidiano".

Questa delusione si legge in questa esecuzione che non vuole essere brillante, né epica, ma tesa e piuttosto asciutta, e a volte un po’ arrabbiata. La Marcia funebre così semplice e insieme così sentita, suona come il funerale di un sogno o di un'utopia, quella dell’uomo provvidenziale, l'eroe emblema dei sublimi valori universali nati dall'Illuminismo e dalla rivoluzione francese. C'è qui una forza alla Furtwängler, con una tensione che un po’ ricorda l’allegretto profetico della Settima nella sua esecuzione del novembre 1943 a Berlino. Si legge nell’uso dei silenzi, nella tensione tra suoni gravi (contrabbassi) e acuti (flauti), e soprattutto nei timpani che segnano una sorta di marcia travolgente e terribile insieme ad archi particolarmente strazianti (viole, violoncelli e contrabbassi).

Questa marcia funebre marca il contrasto con un primo movimento piuttosto "classico" e uno scherzo molto "sinfonico" (a differenza delle sinfonie di Haydn dove c'è sempre “Minuetto”) preso ad un ritmo frenetico in cui i corni e i legni sono spesso sollecitati allo scoperto. A differenza di altri movimenti, Petrenko crea (come nella Nona a Roma) una continuità tra lo scherzo e l'ultimo movimento senza pausa, con un ritmo mozzafiato, e incredibile fluidità, vitalità ritmica, quasi una danza, dove emergono flauto e oboe notevoli. Ma il tutto procede senza alcuna retorica con una gioia tutta umana e un incredibile virtuosismo richiesto all’orchestra che dà tutto, momento emozionante che ricorda la gioia profonda espressa dalla sua Nona.

Con un organico classico (senza avere un numero minore di musicisti come Harnoncourt o l'Abbado degli anni 2000, per tener conto delle ricerche musicologiche sul barocco), l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, letteralmente incollata ai gesti del direttore, risponde in maniera esemplare alle richieste, e segue il ritmo folle imposto con un risultato notevole, legni e ottoni esposti ma precisi (I corni- lo strumento dell’eroismo : vedi Siegfried …) sono esemplari e incredibilmente concentrati, per non parlare delle percussioni. Ciò conferma la qualità di quest’orchestra spesso poco conosciuta al di fuori dei confini della penisola. C’è un’unità d’intenti tra direttore e orchestra che si legge nell’esecuzione quasi simbiotica dove la fiducia è totale e quest’ultima si impegna in modo esemplare nell’esecuzione. L'ultimo movimento a questo riguardo è eccezionale e dimostra che l'orchestra ha superato se stessa nel tradurre la volontà e le intenzioni del direttore e nel fare musica insieme alla maniera di Abbado.

Allo stesso modo, l'orchestra produce un'impressione davvero straordinaria negli sviluppi di Ein Heldenleben di Strauss, seconda parte del concerto, seguito e continuazione quasi antitetica alla prima parte.
Strauss, infatti, elaborò il suo poema sinfonico pensando all'Eroica di Beethoven, poiché la sua intenzione era di chiamarlo Eroica. In diversi punti del suo diario riporta "Sto lavorando alla mia Eroica". Esiste quindi un legame organico e non solo tematico tra le due opere, un collegamento che potrebbe essere quasi dialettico. Ein Heldenleben (creato nel marzo del 1899) segue Don Chisciotte (creato nel marzo 1898) dall'antieroe all'eroe, e Strauss ha chiaramente indicato che uno doveva essere eseguito con l’altro allo specchio. Ma Strauss non pensa all'eroe trascendente sognato da Beethoven : nonostante la lussurreggiante orchestrazione (108 musicisti, 8 corni ecc …): è all'eroe-compositore che rende omaggio, vale a dire a se stesso, in un'opera per cui il suo entourage stava cercando di proporgli un programma (che non era la sua intenzione originale): "L'eroe sono io" sembra dichiarare orgogliosamente il musicista ancora giovane (ha 35 anni nel 1899), di cui Heldenleben segna il passaggio alla "grande" carriera.

L'eroe di Strauss mostra una grandezza (quasi) tragica e, soprattutto, è un vincitore. In contrasto con Don Chisciotte e soprattutto con l'Eroica di Beethoven per le ragioni sviluppate sopra, in cui nella visione di Petrenko l’eroe doveva essere ne profetico e nemmeno byroniano.
Il linguaggio di Beethoven, classico e rigoroso, si sviluppa nell'ultimo movimento con un ritmo di danza e in modo molto virtuosistico, ma sempre fluido e asciutto assai, senza compiacimento. Pero c'è qualcosa che avvicina Beethoven, che alla fine dedica il lavoro al suo protettore, che lo ha sostenuto nella sua composizione, e Strauss, che parla di se stesso come compositore e che fa esposizione della sua composizione. Tutti due finiscono per parlare di se stessi, un po’ meno Beethoven, ma Strauss tanto.

Tuttavia, anche in una sinfonia di dimensioni molto più ampie rispetto agli abitudini dei contemporanei, il linguaggio di Beethoven (in particolare nella Marcia funebre) raggiunge una profondità notevole cui non arriva necessariamente quello straussiano. Se ci atteniamo al programma suggerito a Strauss dopo la Prima dai suoi amici Friedrich Rösch e Wilhelm Klatte ((citato da : Quirino Principe, Strauss, Rusconi libri, Milano, 1989, p.688)) il poema è diviso in sei momenti, l’eroe, gli avversari dell’eroe, la compagna dell’eroe (Strauss ha sposato la cantante Pauline de Ahna nel 1894), il campo di battaglia dell’eroe, le opere di pace dell’eroe, e l’uscita dell’eroe dal mondo per compiere il proprio destino. Rapportato alla vita di Strauss compositore, questo programma falsamente epico fa un po' sorridere.
Ma il lato superficiale di questa “autofinzione” musicale è anche uno dei caratteri che evidenzia Kirill Petrenko con la sua direzione. A differenza dell'esecuzione dell'Eroica asciutta, senza compiacimento e senza fronzoli, Petrenko offre una esecuzione brillante, scintillante, variegata che coinvolge l'ampia orchestra ed è una dimostrazione di “Strauss per se stesso", della sua storia e delle sue doti musicali, come fosse il bilancio della prima parte della carriera in cui vengono evocati gli altri suoi poemi sinfonici più popolari. L'esuberanza del suono, i contrasti, le sospensioni, tutti gli effetti sono calcolati per offrire lo spettacolare che non c’era in Beethoven : ecco perché parlavo di dialettica tra le due opere allo specchio.

Kirill Petrenko ringrazia il primo violino Roberto Ranfakdi

Da segnalare i bei momenti dove il notevole Roberto Ranfaldi, primo violino “di spalla” dovrebbe rappresentare la moglie del "eroe": questi momenti vengono eseguiti con grande delicatezza, sensibilità e raffinatezza, in contrasto con altri molto più spettacolari e superficiali. In questa sorta di galleria vediamo “un esercizio di stile”, per fare vedere tutti i possibili tipi di scrittura musicale. Petrenko spinge ancora una volta l'orchestra agli estremi, per esporre il suono come godimento puro, onde provocare all'ascoltatore un piacere estetico puro, il godimento del suono multiplo, complesso, perfettamente dominato e organizzato che immerge l’ascoltatore in un piacere assoluto. Ma Petrenko è anche una vecchia volpe di teatro : come nel Rheingold di Wagner in cui la scena finale della salita al Walhalla, con il suo suono troppo trionfante male si adatta al presagio del destino nero che attende gli Dei (Wagner lo fa apposta, facendo capire di non crederci troppo), Petrenko non si discosta da una discreta ma sorridente ironia giocando soprattutto sugli interventi dei legni e sulle dissonanze. Il risultato è un vivace monologo autoironico in cui Petrenko ci dimostra che Strauss si diverte e non si lascia ingannare.

Dopo un programma coerente e antitetico, rigoroso e brillante, che proponeva dell'eroismo una definizione non tanto eroica, a capo di un'orchestra visibilmente felice di far musica in tali condizioni, una sola domanda da parte di tutti gli ascoltatori e dei musicisti entusiasti : a quando il ritorno di Kirill Petrenko nell'auditorium della RAI ?

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