La serata inaugurale del 7 dicembre quest’anno è di un segno speciale perché riporta alla Scala un’opera affascinante e amata dal pubblico, Andrea Chénier di Umberto Giordano, che non si rappresentava sul palcoscenico scaligero da ben trentadue anni. Il suo ritorno è stato fortemente voluto da Riccardo Chailly che non solo ne diresse quell’ultima edizione nel 1983, ripresa nel 1985, e ora dirige la nuova, ma che si è speso appassionatamente nell’illustrare le ragioni di questa scelta, sia intervenendo a un convegno sull’opera tenutosi il mese scorso, sia in incontri degli interpreti con il pubblico e alla prova aperta agli studenti.
La prima rappresentazione assoluta dello Chénier, quarta opera del ventinovenne Giordano che si era affidato per il libretto al già famoso Luigi Illica, avvenne alla Scala nel 1896 ed ebbe un immenso successo che non tardò ad estendersi anche all’estero (fra gli altri, la diresse ad Amburgo Gustav Mahler che ne era rimasto ammirato e lo dichiarò a Giordano in una dedica oggi conservata al Museo della Scala). Da allora numerose furono le esecuzioni scaligere di quello che è passato alla storia come un esempio ineguagliato del melodramma eroico italiano nell’ambito del Verismo, cui erano orientati i compositori della Giovane Scuola. Per tutto il corso del Novecento ebbe sul podio interpreti illustri, da Votto a Gavazzeni e a De Sabata che lo diresse nel ’49 e più tardi in un’incisione discografica oggi di riferimento storico. “Per un’opera così legata alla tradizione del nostro teatro”, afferma Chailly che a De Sabata ha deciso di dedicare questa nuova edizione, “oltre trent’anni di assenza dal suo palcoscenico sono troppi, perché privano un’intera generazione di spettatori dalla conoscenza diretta di un capolavoro”. Capolavoro nel quale lui ha sempre creduto, con buona pace di chi in un passato abbastanza recente guardava al Verismo con sufficienza : “Dimenticando, nel caso di Chénier”, sottolinea il Maestro, “la raffinata scrittura sinfonica, la dinamica teatrale e l’intensa vocalità che esigono interpreti particolarmente dotati”. A questo proposito va ricordato che, negli stessi anni in cui lo affrontava alla Scala con Josè Carreras, Anna Tomowa-Sintow e Piero Cappuccilli protagonisti, in un brillante allestimento di Lamberto Puggelli, l’incise per la Decca con Luciano Pavarotti, Montserrat Caballé e Leo Nucci.
Forse uno dei motivi dell’assenza di quest’opera dalle scene è stata la difficoltà di trovare voci idonee come quelle. Ma Chailly è convinto di esserci riuscito affidando i tre ruoli principali a Yusif Eyvazov (Chénier) e Anna Netrebko (Maddalena), coppia nella vita oltre che sulla scena, e a Luca Salsi (Gérard). “Eyvazov è un giovane tenore”, dice, “che debutta nel ruolo e alla Scala, con il quale abbiamo lavorato a lungo per ottenere la pienezza vocale ed emotiva richiesta da Giordano al suo personaggio. Una splendida soprano qual è la Netrebko, che non ha bisogno di presentazioni e che, al suo esordio nella parte di una donna pronta ad affrontare la morte per amore, sa dare da par suo il massimo risalto ai sentimenti più intensi dell’opera. Quando a Salsi, baritono di punta nella sua generazione, che ho incontrato qui per la prima volta, tanto l’ho apprezzato che spero di lavorare ancora con lui”.
Lo spettacolo si avvale della regia di Mario Martone, delle scene di Margherita Palli e dei costumi di Ursula Patzak. Martone, che debuttò felicemente alla Scala nel 2011 con la formidabile accoppiata verista Cavalleria rusticana e Pagliacci, vi ha incontrato nel 2016 la Palli per l’allestimento di un’altra opera di Giordano, La cena delle beffe, rilanciata con successo da un’ambientazione che rendeva il soggetto attuale pur rispettandone il senso drammaturgico originale. Inoltre ha già illuminato il tema di fondo dello Chénier, ovvero il conflitto tra slancio ideale e conclusione tragica proprio di ogni rivoluzione, nel suo bel film Noi credevamo e nello spettacolo teatrale La morte di Danton di Büchner. “Oggi la riflessione su questo tema è cambiata, eventi rivoluzionari più vicini al nostro tempo ci hanno insegnato che le loro contraddizioni non sono dovute a un’astratta fatalità della storia ma alla mutevolezza degli uomini che ne sono protagonisti. Ne è simbolo Gérard, che all’inizio della vicenda è un servo che si ribella, poi diventa un capo inflessibile ma già spinto alla menzogna per condannare il rivale Chénier e per piegare alla violenza la sua donna, e che infine si riabilita autodenunciandosi nel tentativo di salvarlo”.
La chiave moderna e antiretorica del racconto musicale e teatrale si rispecchia nella creazione scenica della Palli. Al cui centro c’è quella che l’artista definisce “una macchina celibe” che, dal primo atto ambientato in un salotto stile Luigi XV popolato da figure bloccate come manichini, passa a quelli successivi ruotando e scandendo le tappe della cupa vicenda politica da un esterno di Parigi all’ufficio di Gérard, al tribunale, alla prigione. Lo spettacolo scorre così senza interruzioni, con un solo intervallo. Il che risponde anche a una richiesta lasciata scritta dell’autore : di non applaudire dopo le sei Arie in partitura proprio per non interrompere l’esecuzione.
Ma tutto, dai costumi d’epoca disegnati dalla Patzak alle luci di Pasquale Mari, alla partecipazione anche attoriale del magnifico Coro della Scala diretto da Bruno Casoni e del folto gruppo di eccellenti cantanti che l’opera richiede nelle parti minori, promette un esito felice. Ed è importante che lo sia perché il successo di questo Andrea Chénier, com’è negli auspici di chi l’ha realizzato, apra definitivamente le porte del teatro al recupero del Verismo. Già annunciato nel cartellone 2018 che tra aprile maggio prevede Francesca da Rimini di Zandonai, con Fabio Luisi sul podio, regia di David Poutney e Maria Josè Siri protagonista. E in altri titoli da rilanciare nel prossimo futuro, tra cui L’amore dei tre re di Montemezzi e Fedora, altro amatissimo capolavoro di Giordano.
La Prima del 7 dicembre sarà trasmessa in diretta su Rai1 a partire dalle 17,45 e su Radio3, poi in differita su Arte, diffusa in vari cinema e in Galleria Vittorio Emanuele. Lo scorso anno, solo sulla rete nazionale, venne seguita da 2,6 milioni di telespettatori.