Luigi Dallapiccola (1904–1975)
Il prigioniero (1949)
Opera in un atto
Libretto del compositore da La Torture par l’espérance  di Villiers de l’Isle-Adam
Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Prima Serie, 1 et 2 « Il Coro delle Malmaritate », « Il Coro dei Malammogliati »
Estate, frammento di Alceo

La madre : Anna Maria Chiuri
Il prigioniero : Michael Nagy
Il carceriere – il grande inquisitore : Stephan Rügamer
Primo sacerdote : Adam Riis
Secondo sacerdote : Steffen Bruun

Danish National Choir
Danish National Symphony Orchestra.
Direttore musicale : Gianandrea Noseda

1 CD Chandos 5276. 55’46.

 

Registrato al DR Konserthuset, Copenhagen, i 20 e 21 settembre 2019

Se il nome di Luigi Dallapiccola non è del tutto dimenticato al di fuori d’all’Italia, è soprattutto grazie a una delle sue tre opere, Il Prigioniero (1949), che viene ancora regolarmente rappresentata nei teatri. È una delle prime opere liriche italiane ad aver assimilato la modernità dodecafonica, sotto l'influenza di Berg e Webern. A capo della Danish National Symphony Orchestra, Gianandrea Noseda esalta l'audacia orchestrale e vocale di una composizione che va ben al di là  del messaggio senza tempo di un libretto che denuncia l'oppressione.

Luigi Dallapiccola (1904–1975) scrisse tre opere, ciascuna corrispondente a uno dei periodi successivi della sua carriera. Scritto tra il 1936 e il 1938, Volo di notte mostra la modernità del suo soggetto, direttamente ispirato al romanzo di Saint-Exupéry, ma la musica è ancora molto vicina a quella di Puccini. Mentre si impregnava gradualmente di suoni dodecafonici, compose Il prigioniero dal 1944 al 1948. Poi, una volta diventato un compositore di pura musica seriale, ha affrontato un'ultima volta il genere scenico con Ulisse, al quale ha lavorato a partire dal 1960 e che ha debuttato a Berlino nel 1968. Di queste tre opere liriche, solo Il Prigioniero è ancora regolarmente rappresentato nei teatri. Concepita per la radio e presentata in anteprima alla RAI nel dicembre 1949, questa breve opera – appena tre quarti d'ora – è stata presentata negli ultimi anni un po’ dappertutto, a Buenos Aires, Darmstadt, Stoccarda, Dresda, Bruxelles e Firenze.

Nonostante questa brevità, è facile capire che Il Prigioniero è in un certo senso la risposta italiana a Wozzeck, da cui Dallapiccola riprende alcuni processi compositivi, come l'integrazione di forme vincolate (la serie dei dodici suoni, il "ricercare" preso in prestito dal Rinascimento), così come il tema, in entrambi i casi la descrizione di un'umanità per la quale ogni speranza è impossibile di fronte a forze sociali o politiche soffocanti. Non sarebbe quindi una sorpresa se il ruolo del titolo a sua volta esclamasse : "Wir arme Leut ! "o meglio "Noi povera gente", poiché il testo scritto dal compositore stesso è in italiano, basato su un racconto di Villiers de l'Isle-Adam. Quanto a questo libretto, nonostante la sua parabola kafkiana – il bravo carceriere che incitava il prigioniero a sperare si rivela essere nientemeno che l'Inquisitore che lo condannerà – si potrebbe persino trovare un lato singolarmente antiquato nella sua caparbietà nel voler ancorare la situazione (non si osa scrivere "la trama") in un luogo e in un tempo : Gand nel Cinquecento, con forti riferimenti a Filippo II, come se fossimo qui in una grande opera in stile francese come Don Carlos. Tuttavia, la risonanza di questo testo è ovviamente contemporanea alla sua scrittura, di fronte ai totalitarismi che si sono affrontati durante la seconda guerra mondiale, e universale, riferendosi a tutte le forme di oppressione.

Musicalmente, quindi, pensiamo a Wozzeck ma anche ad altre tendenze della musica così come è stata inventata all'epoca. Sempre tra il 1946 e il 1948 Olivier Messiaen compose la sua Turangalila-Symphonie, anch'essa eseguita per la prima volta nel dicembre 1949, e a cui è difficile non pensare in attesa degli accordi zebrati nel monologo iniziale della madre del detenuto, se non che siamo molto lontani dalla "Gioia del sangue delle stelle" o da qualsiasi forma di entusiasmo. Il primo intervento del coro (che si esprime solo in latino) può, da parte sua, ricordare Schönberg. Ma queste analogie non sminuiscono in alcun modo la potenza dell'opera, né la sua modernità, tanto più radicale in un contesto che resiste a questo tipo di innovazione.

C'erano già alcune registrazioni del Prigioniero, alcune abbastanza vecchie, dirette da audaci direttori d'orchestra del passato (Hans Rosbaud, Antal Dorati, Hermann Scherchen), altre molto più recenti, spesso ricordi di rappresentazioni o di concerti. Chandos offre una versione in studio, per la quale un grande direttore d'orchestra di oggi trova una formazione con la quale ha già registrato diversi dischi. Per l'etichetta inglese, Gianandrea Noseda aveva già diretto la Danish National Symphony Orchestra in un programma estremamente originale : opere di Niccolò Castiglioni (1932–1996), dopo aver registrato, insieme ad altre formazioni, anche diversi altri compositori italiani del Novecento, come Respighi, Casella o Petrassi. Da Dallapiccola ha anche pubblicato due dischi orchestrali sotto la stessa etichetta, usciti nel 2006 e nel 2010. In altre parole, il direttore d'orchestra milanese conosce perfettamente questo repertorio, anche se il suo repertorio ordinario è ovviamente molto più vasto. Al DNSO, una formazione di grande qualità, si affianca il Danish National Choir, che si può ascoltare ne Il Prigioniero, ma soprattutto nel programma che lo affianca. Mentre è comune offrire i tre Canti di prigionia, composti poco prima dell'opera e nella stessa linea, Gianandrea Noseda ha attinto dal periodo iniziale dei corali a cappella di Dallapiccola.

La prima opera, Estate (1932), si basa su un testo di Alceo di Mitilene, poeta contemporaneo di Saffo, tradotto in un italiano piuttosto contorto (Dallapiccola tornò a questo poeta nel 1943 per i suoi Sex carmina Alcaei). A 28 anni, il compositore era già padrone di uno stile che, sebbene meno audace di quello che avrebbe poi adottato, non mancava di forza, con una scrittura corale particolarmente accattivante per il suo gioco di sillabe sottolineato da una sorta di trillo lento. Per quanto riguarda i suoi primi due cori tratti da Michelangelo il Giovane (il nipote del grande Michelangelo), il compositore li vedeva come la sua "ultima opera 'spensierata' (e abbastanza tonale)" perché poco dopo, con Mussolini che aveva dichiarato guerra all'Etiopia, non sembrava più possibile comporre come prima, o forse nemmeno comporre affatto. La scrittura di Dallapiccola qui guarda al Madrigalismo che sta rinascendo, non senza efficacia.

A parte il coro, che lì acquista una nuova veemenza, Le Prisonnier chiama solo tre solisti principali, che non si incontrano nemmeno. La Madre dell'Eroe interviene solo nelle prime due scene, con un monologo iniziale che inevitabilmente rimanda al monologo di Penelope su cui si apre il monologo di Monteverdi Il ritorno di Ulisse, opera che Dallapiccola aveva appena adattato per l'orchestra moderna nel 1941–42. Anna Maria Chiuri dà a questa pagina magistrale tutta la densità desiderata, grazie a un timbro che ha i colori, il morso e l'energia necessaria per affrontare gli scoppi d'ira della Madre. Cosa importante assai, è anche l'unica del cast riunito da Chandos a cantare nella sua lingua. Di fronte a lei, il prigioniero di Michael Nagy, baritono tedesco di origine ungherese, uno dei più interessanti, sembra meno naturale nella sua eloquenza, a volte enfatizzando eccessivamente alcune sillabe finali, il che non ci impedisce però di apprezzare le qualità puramente vocali del cantante o l'impegno nella sua interpretazione del ruolo che domina la partitura non appena appare nella seconda scena. Per il personaggio-Janus dell'Inquisitore-carceriere, il tenore non ha bisogno di incantare particolarmente l'orecchio, e Stephan Rügamer, caratterista spesso interprete di Mime o del capitano di Wozzeck, non sarà rimproverato per la mancanza di seduzione, che lo fa assomigliare un po' al Pang o al Pong di Turandot per la sua espressività nasale.

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