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    Intervista a Pier Carlo Orizio, direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo

    Se dipendesse dai pianisti, oggi si eseguirebbero soltanto il Primo di Ciaikovsky e il Terzo di Rachmaninoff…

    Sergio Rizza — 24 Aprile 2017

    Pier Carlo Orizio, bresciano, classe 1963, è il direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. Docente al Conservatorio di Verona, è figlio di Agostino, ormai scomparso, che del Festival fu fondatore assieme ad Arturo Benedetti Michelangeli. “Quello di quest’anno è un festival ancora più ricco e importante di quello degli anni scorsi”, ci dice, “abbiamo avuto 650 abbonati, un exploit. E avrebbero potuto essere di più se ad un certo punto non avessimo posto un freno”. Orizio ci conferma, inoltre, che sono abbastanza avanzate le trattative con gli eredi Michelangeli perché un giorno il Festival torni ad essere intitolato a “Ciro”.

    Sergio Rizza

    Maestro Orizio, chi regge il peso finanziario di un festival così importante?

    Pier Carlo Orizio

    Il primo “sostenitore” è il FUS governativo, Fondo Unico per lo Spettacolo. Non è un mistero che per l’anno passato ci abbia appena dato 285 mila euro. Per l’anno passato, dico, non questo. Le cose in Italia vanno così. Per quanto riguarda gli enti territoriali, patrocinanti, il loro contributo è modesto, ma si sa: i Comuni oggi sono prosciugati e hanno molti problemi. Se pensiamo ai privati, invece, il nostro primo introito è rappresentato dal pubblico. È la nostra sicurezza. Certo, tutti gli anni è una scommessa.

    SR

    Venendo al programma, è un vero peccato che “La Vittoria di Wellington” non venga eseguita da un’orchestra, come vorrebbe la partitura, ma “solo” dalla pur gloriosa banda civica bresciana, non trova?

    PCO

    Sì, sono d’accordo, sarebbe piaciuto molto anche a me sentire quest’opera suonata da un’orchestra. Fra l’altro lo trovo un pezzo bellissimo, nel suo genere. Purtroppo bisogna fare delle scelte. Sono tante le cose cui occorre rinunciare nell’organizzazione di un festival così ampio. “La Vittoria di Wellington” ormai è diventato un pezzo di rarissima esecuzione. Nessuna delle orchestre scritturate per quest’anno l’aveva in repertorio, e dunque…Comunque la trascrizione per i fiati della banda funziona. E avrà anch’essa gli effetti speciali previsti. Il pubblico se ne accorgerà non tanto nell’esecuzione di apertura del Festival, che la Banda Isidoro Capitanio farà in marcia per le strade cittadine, quanto soprattutto in quella prevista nella Fossa Viscontea del Castello.

    SR

    A che cos’altro ha dovuto rinunciare nell’organizzare questo Festival? Ha qualche motivo di rammarico?

    PCO

    Si parte sempre con un’idea in testa, poi però mettere insieme i pezzi di questo gigantesco puzzle è sempre problematico. Non è sempre facile, per esempio, indurre gli artisti a portare un programma coerente con il tema cui il Festival è dedicato. Siamo riusciti a “costringere” Temirkanov a “portare” il Terzo Concerto. Arcadi Volodos però non suonerà Beethoven: ormai i pianisti di quel livello suonano un grande programma all’anno, e da lì non si schiodano. Diciamo che ci accontentiamo, felicemente, di avere un Volodos che suonerà Schubert e Brahms (Sonata D959 e Klavierstuecke op. 76, ndr). Il suo Brahms, in particolare, ha pochi eguali. L’alternativa sarebbe stata rinunciare a lui. Discorso diverso per Lonquich: anche lui porta Schubert (Sonata D958, ndr), ma accostandolo a Beethoven (Bagatelle op. 126 e Sonata op. 26 “Marcia funebre”). Una cosa che ha senso, decisamente. Per il resto, avrei desiderato fare tutti i Concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven, non solo il Secondo e il Terzo, e tutte le musiche di scena di Egmont con voce recitante. Ma mi consolo con il Triplo: ormai è diventato una rarità!

    SR

    E fare un festival senza fili conduttori, senza temi? Limitandosi a chiamare il meglio dei pianisti, chiedendo loro di suonare il loro meglio?

    PCO

    Confesso che ci penso. È una domanda che mi faccio anche io, da qualche tempo in qua. Ma a me piace molto l’idea della tematica. Certo, è “annacquata” rispetto alle grandi “integrali” che si facevano anni fa, ma avere una linea che renda il Festival omogeneo permette di fare ricerca, e obbliga i pianisti, per quanto possibile, a uscire un po’ dal loro repertorio. Sa, se dipendesse dai pianisti, oggi si eseguirebbero soltanto il Primo di Ciaikovsky e il Terzo di Rachmaninoff…

    SR

    La prossima edizione come sarà?

    PCO

    Le prossime tre, vorrà dire. Ormai la programmazione è triennale, queste sono le regole, per via dei finanziamenti. Quella che elaboreremo entro fine anno potrebbe essere omogenea come quella triennale che si conclude quest’anno (2015: Fuoco Barocco: da Bach a noi; 2016: Tre volti del classicismo, Mozart, Haydn e Clementi…), ma potrebbe anche non esserlo. No, non posso ancora dirlo, e non perché sia un segreto di Stato.

    SR

    Nel cartellone del Festival di quest’anno si notano giovani “fenomeni” dell’estremo Oriente: il coreano  Seong-Jin Cho e la cinese Serena Wang. Si sente spesso dire che gli orientali sono attrezzatissimi, tecnicamente, ma in difficoltà nel comprendere davvero a fondo il repertorio occidentale. Lei conosce molto bene, per avervi diretto e lavorato, la Cina: ritiene che sia un luogo comune?

    PCO

    (Ride) Sì, assolutamente! Certo, se ne trovano di pianisti orientali dotati di dita fenomenali e comprensione modesta, ma mi dica: quanti sono i pianisti occidentali con una comprensione della musica degna di quella di Arrau? Questi orientali hanno una determinazione che vorrei vedere in tanti dei “nostri”. E poi è rarissimo che un pianista cinese di alto livello abbia studiato solo a Pechino o a Shanghai: ormai si specializzano tutti negli Usa, o con insegnanti russi, e le loro famiglie compiono sforzi enormi per investire nella loro istruzione e nel loro perfezionamento. Cito solo un sondaggio svolto tra i pianisti finalisti al Ciaikovsky. La domanda era: qual è il tuo pianista chopiniano di riferimento? E la risposta è stata: Lang Lang…

    Per completare la lettura

    Beethoven e Napoleone. La musica, tra ideali e potere

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