Durante le prove
Un concerto di musiche per coro, che si sono richiamate alla Francia. Nella stagione da camera di Santa Cecilia, si è collocato un appuntamento di particolare interesse, che ha avuto come protagonisti il Coro dell’Accademia e il suo direttore, Andrea Secchi. Al centro del programma, il Requiem di Gabriel Fauré, preceduto in apertura dal Cantique de Jean Racine dello stesso autore, in omaggio al centenario della morte, caduto l’anno scorso. Tra questi due titoli di Fauré, si è inserita anche una nuova composizione di Matteo D’Amico (1955), anch’essa per coro, Les nuages. La quale nasce da una commissione dell’Accademia di Santa Cecilia, proprio per questa serata. L’accostamento a Fauré è motivato dal fatto che Les nuages mette in musica una scelta di testi attinti alla grande poesia francese dell’Ottocento.
Dura pochi minuti, il Cantique de Jean Racine. Pagina giovanile, composta a vent’anni. Ma da essa affiorano già alcune impronte che segneranno lo stile del grande compositore : il dominio della forma entro una visione essenziale, la trasparenza del disegno melodico, la limpidezza dell’assetto polifonico e del suo incedere attraverso l’uso sapiente dell’apparato armonico e di nitide modulazioni. Ingredienti tutti maturati nell’esperienza in campo liturgico, che il giovane musicista aveva studiato, e anche praticato nella sua attività di organista. La concertazione ben misurata di Andrea Secchi, e l’attenta resa del Coro di Santa Cecilia, rendono a dovere la suggestione di questa elegante miniatura, accompagnata per la parte pianistica da Mirco Roverelli.
Video : il compositore Matteo D’Amico racconta Les Nuages
Matteo d’Amico ha sempre coltivato le sue scelte linguistiche in piena autonomia dalle avanguardie dominanti nei decenni trascorsi, e oggi in declino. Un solido bagaglio di studi ha visto lievitare in questo compositore un artigianato nutrito di capacità creative sempre attente a una pluralità di soluzioni costruttive, e di svariate suggestioni. Les nuages è formato da un trittico, che la mano di D’Amico congegna e modella sui rispettivi testi in un idioma apertamente comunicativo, com’è nel suo stile. Le tre poesie prescelte, in generale, hanno tutte come sfondo il cielo, che ogni volta è declamato in modo diverso. Nel primo testo, Le nuage di Victor Hugo, il cielo è visto quasi uno specchio dell’anima, così come il sole o la tempesta. L’atmosfera musicale è agitata da decisi contrasti, in un succedersi di pannelli che si connotano diversamente, tanto sul piano dinamico quanto nell’assetto polifonico, in un disegno di aperto lirismo e di sapore classicheggiante. In Élévation (Elevazione), di Charles Baudelaire, il cielo è invece luogo di ispirazione, nel quale lo spirito consente all’uomo di osservare dall’alto ciò che lo circonda. Un incedere discendente, su uniforme disegno cromatico, marca l’avvio. Poi il clima si ravviva, prendendo pieghe a tratti drammatiche, che in chiusura virano verso un esito consolatorio, ispirato dal testo che volge a una dimensione incorporea. Renouveau (Rinnovamento), di Stéphane Mallarmé, è un testo dal profilo più spigoloso ; e alla fine il cielo si manifesta quasi come una presenza incurante delle sofferenze dell’uomo. Qui la condotta espressiva appare aspra, ruvida, accidentata, sia nella stesura corale sia nel sostegno strumentale, in un clima che corrisponde all’animo angosciato e avvilito che affiora dai versi. E la musica trasuda di tale sofferenza, ancora fino agli accordi conclusivi. Qui il pianoforte a quattro mani, affidato a Mirco Roverelli e Monaldo Braconi, è unito al violoncello di Arianna Di Martino, al quale è attribuito un interessante disegno che lo rende quasi parte del coro.

La seconda parte del concerto è stata occupata dal Requiem op. 48 di Gabriel Fauré. Nel quale, a sostenere il Coro, era un organico strumentale di proporzioni contenute, in una delle versioni predisposte dal compositore stesso per favorire la circolazione del pezzo. Piccola orchestra, quindi, con archi ma senza violini, più organo, arpa, corni e timpani. Sotto l’accorta bacchetta di Andrea Secchi, che ha ben governato dosaggi e colori della compagine corale, si è nuovamente assaporata la profonda suggestione di questa pagina. Si è in tal modo creata un’atmosfera di profonda intensità, ben lontana da atteggiamenti drammatici o teatrali, che ha permesso ancora una volta di vivere il fascino di una musica sacra che trova la sua forza di seduzione nel penetrante profilo di umanità. Un’esecuzione raffinata, che insieme alla prova del Coro e dell’ensemble strumentale, si è giovata del sensibile, incisivo contributo dei solisti Nathalie Peña-Comos, soprano, e Mikhail Timoshenko, baritono. Applausi calorosi per tutti, e segnatamente per Matteo D’Amico e Andrea Secchi.
