Giuseppe Verdi (1813–1901)
La Traviata (1853)
Prima rappresentazione assoluta, Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853
Libretto di Francesco Maria Piave da La Dame aux Camélias di Alexandre Dumas fils

Direzione musicale : Daniele Gatti
Regia e scene :  Dmitri Tcherniakov
Costumi : Elena Zaytseva
Luci : Gleb Filschtinsky

Violetta Valéry : Diana Damrau
Flora Bervoix : Giuseppina Piunti
Annina : Mara Zampieri
Alfredo Germont : Piotr Beczała
Giorgio Germont : Željko Lučić
Gastone di Letorières : Antonio Corianò
Barone Douphol : Roberto Accurso
Marchese d’Obigny : Andrea Porta
Dottor Grenvil : Andrea Mastroni
Giuseppe : Nicola Pamio
Domestico/Commissionario : Ernesto Panariello


Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro : Bruno Casoni

Milano, Teatro alla Scala, 7 dicembre 2013 , streaming RAI5

Si può criticare una produzione per aver voltato le spalle ad aspettative che sono diventate, nel migliore dei casi, modelli, nel peggiore, cliché o stereotipi ? Il difetto principale di Dmitri Therniakov è senza dubbio quello di richiedere un'attenzione costante per individuare le chiavi intime di questa Traviata. Queste relazioni simmetriche tra situazioni, gesti e oggetti sfuggiranno totalmente allo spettatore che non è incline ad accettare questa visione così particolare del dramma verdiano. Uno sguardo a questa Prima che ha scosso un pubblico scaligero non incline a tante sorprese in un capolavoro iconico, servito dall'eccellenza della coppia Diana Damrau – Piotr Beczała e dalla direzione calibrata e impetuosa di Daniele Gatti.

 

Atto I

 

Da visualizzare sul link :
https://www.raiplay.it/video/2020/03/La-Traviata-687708ed-7cfe-4f9f-9f00-28083e2c4c56.html

E' indubbiamente, tra tutte le messe in scena liriche, quella che l'attualità rende più pericolosa. D'ora in poi, chi si interesserà a questa storia di tisi senza maschere ne distanziamento sociale, dove si sputa e contamina i suoi simili ? Quale interprete oserà entrare nella pelle di un personaggio e rendere credibile l'agonia e il degrado fisico ?
La reclusione ci costringe a passare più tempo seduti dietro uno schermo, per mancanza di poltrone in teatro. L'occasione diventa una manna dal cielo quando, per caso, dal web emerge una raccolta di archivi, tra cui questa Traviata, ripresa il 7 dicembre 2013 al Teatro alla Scala e trasmessa sul sito della RAI. Questa produzione di Dmitry Tcherniakov ha causato uno scandalo le cui ragioni sono difficili da misurare, che sembrano ora così aneddotiche  Il cast comprende Diana Damrau e Piotr Beczała, due star non italiane che non hanno la pretesa di imitare la Callas o Di Stefano. Una disgrazia che porta ad un'altra, Tcherniakov ha commesso l'errore di non farsi l'apostolo idolatra di Visconti. Alla luce di queste poche osservazioni, si può meglio capire la folle furia di una parte del pubblico scaligero e l’evidenza di una grande Traviata trasfigurata dalla potente e sovrana direzione di Daniele Gatti.

Si può criticare una produzione per aver voltato le spalle ad aspettative che sono diventate, nel migliore dei casi, modelli, nel peggiore, cliché o stereotipi ? Sembra che non si possa toccare La Traviata impunemente in un luogo come il Teatro alla Scala – almeno non da quella famosa serata del 28 maggio 1955, quando il palcoscenico fu trasformato in un altare sacro dall'incontro tra Callas e Visconti. Guai a Dmitry Tcherniakov che, 60 anni dopo, andava a spintonare i maschi di queste divinità per far rivivere il mito della tisica traviata. Con tutto il rispetto per i nostalgici e i settari della leggenda belcantista, nulla impedisce a Violetta di essere bionda, carnosa e non di apparenza tubercolosa. Al tempo stesso sorprendentemente tradizionale per il moderno e violentemente moderno per il tradizionale, la regia di Tcherniakov assume il suo status di mira ideale, trovandosi esattamente nel mezzo del guado che separa i due campi inconciliabili.
E' necessario vedere i dettagli che assumono una dimensione preminente nell'economia generale del dramma. Quel sorriso silenzioso che Violetta rivolge al suo riflesso nello specchio mentre il preludio dispiega il tema della felicità passata, o quel broncio improvviso che cambia l'espressione del viso e che esprime chiaramente il suo disgusto all'idea di ricevere il gruppo dei cortigiani. Chi ricorda di aver visto un Brindisi così esplicitamente violento e crudele ? Alfredo, versandosi lo champagne addosso, è già quell'essere goffo e poco eroico di cui ridere. Mentre al limite dello svenimento canta davanti a lei Un dì, felice, etereo, Violetta finge il disprezzo, scruta il lampadario di cristallo con tutta la prerogativa di una cattiva attrice. Ovviamente, lei gioca con lui e non crede nell'amore sciropposo che lui le offre. Il patto che siglano è un patto a senso unico, lontano dal filtro di Tristano di cui riprende i contorni gestuali : più ambiguo e più violento e vendicativo che l’amore, come dimostra poco dopo un Gioir che assomiglia a O hehrstes Wunder !

Diana Damrau (Violetta)

Si ritrova nel modo in cui Tcherniakov sistema le scene di gruppo, questo modo di sottolineare paradossalmente la solitudine dei suoi personaggi. Come in Eugen Oneghin o in Don Giovanni, la solitudine e la decadenza morale emergono in tocchi successivi. Tra quest’Alfredo sciocco, irrequieto e agitato e le persone mondane e smarrite che sfilano nel suo salotto, Violetta rimane faccia a faccia con la propria sofferenza. Che sollievo quando finalmente riesce a spingere il suo è strano, non più un monologo ma un dialogo sorprendentemente gioioso con una Annina ridotta a presenza silenziosa.

Questo filo rosso di incomunicabilità, Tcherniakov lo snoda per gradi, con simmetrie come, ad esempio, il gesto della mano che si evita di scuotere : l'umiliazione di Violetta verso Alfredo nel primo atto e colui che restituisce il gesto per umiliarla in pubblico alla fine dell’atto II. Allo stesso modo, se tutti mettono la mano nell’impasto nella scena in campagna, tutto indica che Violetta rimane padrona del gioco. Interpreta una bambola, essendo lei stessa una bambola, come questo ritratto in abito blu e fiore rosso che la rappresenta come era nel primo atto e che ritroviamo nei altri due. Il candore di questa donna si nasconde sotto il kitsch travolgente della casa da bambola nel secondo atto. Ah ! questi cherubini appesi al paralume, questi lacci, questa tovaglia all'uncinetto, queste collezioni di orsacchiotti e macinacaffè… Tutto profuma di latte fresco, fatto in casa, come in riviste tipo “Ricamo” o “milleidee”. Vestiti in flanella e collare per la signora, abito da contadino per il signore, entrambi giocano al vero amore, ricadono nell'adolescenza con la cucina come arte poetica e amorosa : De miei bollenti spiriti per accompagnare la pasta della pizza e il taglio furioso delle verdure mentre Alfredo ascolta il padre che racconta della fuga di Violetta. La mucca e gli stivali di gomma di Simon Stone ((nella produzione 2019 dell’Opera di Parigi,)) sembrerebbero quasi concettuali…

Željko Lučić (Giorgio Germont) e Piotr Beczala (Alfredo)

Il ritorno a Parigi è trattato con notevole economia e concentrazione, con la scenografia “mise en abyme” ((la "mise en abyme" indica un particolare tipo di "storia nella storia", in cui la storia raccontata (livello basso) può essere usata per riassumere o racchiudere alcuni aspetti della storia che la incornicia (livello alto))) per sottolineare l'iscrizione del dramma all'interno del dramma. Addio Zingare, dovremo accontentarci di una Flora vestita all’indiana e di una scena del fiore lanciato (grazie Bizet) che viene riprodotta davanti ad Alfredo per far ridere. La tensione è palpabile e la scena di gruppo passa da Buñuel a Scorsese mentre lui gli getta i biglietti in faccia e gli altri cercano invano di controllarlo. Il palcoscenico è punteggiato dal gioco di tenebre e luci mentre un riflettore è puntato su una Violetta con parrucca riccia per sottolineare il suo lamento (Ah perché venni incauta ?). La tensione culmina quando i tre personaggi si rendono conto dei rispettivi fallimenti ; le tre voci si cercano l'una l'altra senza ritrovarsi mentre Annina tende disperatamente le braccia all'amica che la spinge via con un gesto brusco. Fine dell’atto.
L’atto terzo fa vedere Violetta abbandonata in un naufragio di alcol e metadone, un simbolo irrisorio e sinistro che fa eco al “mangiare buono” che i due amanti si sono promessi. Quest'ultima scena contiene pochi elementi, che esaltano una sorta di vastità e nudità viscontea (le ultime scene di Senso o il Gattopardo) e danno all'Addio del passato un colore di eternità e derisione. Il gelo invade la finestra, gli uscieri hanno lasciato uno specchio solo, lo stesso in cui Violetta si è guardata nei primi istanti dell’Opera. In un disperato corpo a corpo, Violetta abbraccia il proprio riflesso e si trova ad affrontare Annina, il suo doppio e ovviamente sua sorella in preda al dolore, facendo eco alla bambola del primo atto che ora giace sul pavimento. Sarà l'unica a mostrare la sua paura di fronte a un'immagine di morte da cui Alfredo e suo padre voltano le spalle. Niente di carnale, però, nell’incontro tra Violetta e Alfredo – il sempliciotto che non troverà niente di meglio che offrire a una donna morente un bouquet scarlatto e dei pasticcini… Il duetto sta a una buona distanza, Tcherniakov concentra altrove in questa scena tutte le opzioni che fino ad allora sembravano un po’ sparse. Per la voce, sarà il momento della verità, la metamorfosi finale di un timbro nato negli acuti di un Gioir ! e che affoga la sua traiettoria nell'ombra di un Addio. Tcherniakov gioca sul concetto di una rivelazione che è allo stesso tempo psicologica, sociale e… fotografica. L'ultima immagine del corpo di Violetta vegliata dalla fedele Annina si unisce a tutte quelle che ora dormono nella scatola delle fotografie, l'ultimo oggetto rimasto in suo possesso e testimonianza del suo passato scomparso.
Il cast – come dicevamo – non ha nulla di italiano. Trappola redibitoria alla stupidità di chi ha deciso di fischiare Piotr Beczała (che reagirà qualche giorno dopo con dichiarazioni incendiarie sulla stampa). Il tenore polacco afferra il suo ruolo con l'energia e la fede di un carbonaio che segna un'interpretazione di alto livello. La sua linea di canto non cerca di sedurre con il gioco di sfumature e la varietà di inflessioni. Lo spettacolo diventa brusco quando le prime pendenze salgono verso le note alte – una caratterizzazione solida e impulsiva che guarda decisamente al di là del repertorio italiano. Servizio minimo, invece, per il padre di Željko Lučić : la voce è irrimediabilmente grigia, senza altra ambizione espressiva se non quella di fare le note e di essere presente in modo monolitico. Insomma, l'opposto dei ruoli più modesti, molto più investiti nei loro interventi. Mara Zampieri (Annina) interpreta un personaggio di profondità davvero toccante. Da notare anche la bella e fugace esecuzione di Giuseppina Piunti nel ruolo di Flora Bervoix, senza dimenticare il coro di impeccabile fattura e autorevolezza. La Violetta di Diana Damrau riesce a focalizzare l’attenzione con una combinazione di presenza scenica e vocalità eccezionale. Incarna il soprano di tutta forza che Verdi voleva, lontano dalle eroine clorotiche e dal mito delle tre voci per tre atti che ci vengono regolarmente proposti. Non si trova spesso questo modo di liberare improvvisamente glia acuti per poi giocare sul silenzio che ne consegue per sottolineare la bellezza singolare di questi momenti. È un belcanto esemplare, provato nella dura scuola del Lied e della melodia. Questo canto ci fa dimenticare il corsetto della padronanza tecnica e impone al pubblico una probità e un colore davvero fenomenali. Il guadagno in leggibilità si nota anche nei colori infinitesimali, aiutato dalla capacità del direttore di mantenere la morbidezza degli archi anche in gradazioni impercettibili.

Un direttore d'orchestra, appunto – un maestro colorista, capace di mantenere la tensione nell’orchestra per esprimere l'oscurità di questo amore impossibile, la furia dell'amante (O mio rimorso) o l'artiglio vendicativo dell’amata (sempre libera). Per convincersi della qualità di questa direzione, basta ascoltare nella scena del salotto di Flora, questo equilibrio che privilegia l'alternanza tra un ritmo soffocante e queste linee di canto che si incrociano con impetuosità (Mi chiamaste ? .…che bramate?). Gatti conferma la sua capacità di sostenere il canto con una costante attenzione all'urgenza della storia e alla carne dei personaggi. Ci piace questo modo unico di cercare nel profondo del registro espressivo la densità di un discorso troppo spesso limitato da altri direttori a vapori eleganti. Impossibile rimanere insensibili a questa direzione di perfetta postura e rigore, una luce nera che illumina una Traviata davvero eccezionale.
Da visualizzare sul link :
https://www.raiplay.it/video/2020/03/La-Traviata-687708ed-7cfe-4f9f-9f00-28083e2c4c56.html

Diana Damrau (Violetta)
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David Verdier
David Verdier è professore, e critico in varie riviste francesi di musica e spettacolo.

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