Gioachino Rossini (1792–1868)
Ermione (1819)
Azione tragica in due atti su libretto di Andrea Leone Tottola tratto dalla tragedia Andromaque di Jean Racine
Prima rappresentazione : Napoli, Teatro di San Carlo, 27 marzo 1819

Direttore | Alessandro De Marchi
Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini
Regia | Jacopo Spirei
Scene | Nikolaus Webern
Costumi | Giusi Giustino
Luci | Giuseppe Di Iorio
Assistente alla Regia | João Carvalho Aboim

Ermione, Angela Meade 
Andromaca, Teresa Iervolino
Pirro, John Irvin 
Oreste, Antonino Siragusa
Pilade, Filippo Adami  
Fenicio, Guido Loconsolo 
Cleone, Gaia Petrone
Cefisa, Chiara Tirotta
Attalo, Cristiano Olivieri

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Nuova Produzione del Teatro di San Carlo

Napoli, Teatro di San Carlo, 7 novembre 2019

Perché un'opera di così grande qualità, di così grande bellezza musicale, di tale rigore, come l'Ermione di Rossini, viene rappresentata così raramente (o addirittura mai). Ci vuole il bicentenario della sua creazione al San Carlo di Napoli perché la grande istituzione ne riproponga una produzione, così timidamente, così fugacemente, tipo “toccata e fuga”, poiché questa nuova produzione viene proposta solo per tre rappresentazioni.

Forse la difficoltà di riunire tre tenori con altezze stratosferiche, un mezzosoprano coloratura e un soprano eccezionale è una ragione sufficiente. E' necessario riconoscere al San Carlo di Napoli un vero coraggio di fronte a questa parete verticale da scalare. E c'è stato, almeno in parte, un successo.

Riscoperta da un’esecuzione concertante nel 1977, Ermione è stato rappresentata al Rossini Opera Festival (Gustav Kuhn, Caballé, Horne, Merritt, Blake, Morino) nel 1987 e al Teatro San Carlo nel 1988 nella stessa produzione, senza Horne né Blake, ma con Alberto Zedda sul podio). Nuova produzione a Pesaro nel 2008 (Ganassi Pizzolato, Kunde, Siragusa – già -, von Bothmer diretta da Daniele Abbado, regia Roberto Abbado), a Glyndebourne nel 1995 (con Antonacci), ma niente in una normale stagione teatrale. Questa è quasi tutta la storia delle produzioni degli ultimi 40 anni. Ricordiamo anche la superba versione concertante presentata a Lione nel 2016 con Angela Meade (Ermione), Eve-Maud Hubeaux (Andromaca), i tre tenori Michael Spyres, Dmitri Kortchak ed Enea Scala, diretta da Alberto Zedda…
Ermione è davvero un'opera singolare, che non ha uguali nella produzione rossiniana. Basandosi su Andromaque di Racine, una tragedia classica francese, Rossini sapeva che il soggetto e la "maestà" dell'originale avrebbero imposto uno stile un po' diverso dalle opere serie composte fino ad allora. Le opere liriche dell’epoca privilegiano piuttosto come fonti le tragedie del Settecento (Voltaire), gli episodi delle epopee rinascimentali, Tasso oppure Ariosto, o le Metamorfosi di Ovidio. Se ci sono opere liriche ispirate alla tragedia classica francese del Seicento, rimangono relativamente rare, ed Ermione è una di queste, che sposta però il cursore da Andromaca su Ermione, cioè su quella che soffre di non essere amata.
Nel rispetto del riassunto della tragedia di Racine, così noto come "Oreste ama Ermione, che ama Pirro, che ama Andromaca, che ama Ettore che è morto" – aggiungeremo il desiderio di Andromaca di proteggere Astianatte, suo figlio, dalle vendette del dopoguerra di Troia -, si tratta di proporre un adattamento che sia fedele all'originale, ma che possa anche mostrare la sua originalità.

"Andromaque" di Racine è più di ogni altra, la tragedia delle anime non-amate, una sorta di lungo “canto dei non-amati”. Più di ogni altra, è un'opera in cui il nodo politico (gestire le conseguenze della guerra di Troia e impedire che l'eredità della famiglia di Priamo – il giovane Astianatte – diventi nel futuro una minaccia vendicativa) cede il passo ai vari nodi sentimentali e passionali.

La singolarità e la novità dell'opera si sentono fin dalle prime battute con questa sinfonia iniziale, interrotta dai cori dei troiani che lamentano la loro situazione, un fatto del tutto inusuale nella lirica, con un debutto “in medias res” ma anche con un libretto, chiamato “azione tragica” (Wagner avrebbe detto Handlung, come in Tristan), frainteso alla creazione, molto rapidamente allontanato dalla scena, che Rossini diceva sarebbe stato compreso almeno un secolo dopo… Quasi un secolo e mezzo dopo, infatti, l'opera è stata riscoperta, nella sua bellezza e singolarità, ma di fronte all'estrema difficoltà di distribuirla, non è ancora riuscita a figurare tra le grandi opere di Rossini, come Semiramide, Maometto II o Tancredi.
Ermione è una sfilata di miseria affettiva : Andromaca, vedova addolorata di Ettore in cerca di consolazione il cui il solo motivo per sopravvivere è Astianatte, Oreste, che affronta l'indifferenza dell'eroina, rimane perso d'amore per Ermione, completamente consumata per Pirro, e Pirro, a lei indifferente, assedia invece Andromaca con il suo irriducibile amore ; pronto a sposarla anche sapendo che lei non lo ama. Ciascuno espone la sua miseria, ognuno è lacerato davanti all'amore impossibile con il suo corteo di gelosie, desiderio di vendetta e follia passionale.

Allo stesso tempo, Ermione è anche una sfilata di voci stratosferiche, soprano (anche se la parte di Ermione potrebbe essere cantata da un mezzo acuto) e mezzosoprano (Andromaca) e tre tenori che sono molto difficili da trovare perché i loro ruoli sono impossibili. Se Racine è una cerimonia del linguaggio, Ermione è una cerimonia del canto.

Antonino Siragusa (Oreste) Angela Meade (Ermione)

Come mettere in scena l'opera dei non-amati ? Jacopo Spirei ha optato per un lavoro relativamente raffinato, con cerchio centrale comune (una sorta di bel pavimento in ceramica), unico spazio del dramma, intorno a quel cerchio, come l’orchestra dell’antico teatro greco, le ambientazioni variano di poco, principalmente pareti traforate a porte chiuse, spazi neutri che rimangono di grande semplicità, discretamente all’antica, con un richiamo all’architettura classica nell'ambientazione ad anfiteatro delle scene finali del primo atto. Questi spazi neutri sono lo spazio tragico tradizionale, spazio unico e multiplo di un palazzo chiuso (senza finestre) che rispecchia la famosa unicità di spazio della tragedia classica francese. Spirei e il suo scenografo Nikolaus Webern non vogliono scene che possano distrarre dall'azione e dai personaggi, ma offrire una neutralità che dia la possibilità di concentrare lo sguardo sugli esseri, soprattutto perché lo spazio uniformemente bianco, lascia emergere i personaggi, vestiti invece con colori marcati (rosso, verde, blu, turchese, giallo…).
Purtroppo, non succede molto tra i personaggi, la messa in scena è molto statica : una rigidità che può essere imputata a una visione molto tradizionale della tragedia francese. I personaggi si toccano appena, i gesti sono quelli dell’opera lirica – e non è un complimento -, pochi movimenti, tutto rimane terribilmente convenzionale, o che il regista non fosse in grado di tradurre le agitazioni estreme delle anime in preda alla passione.
Quindi, a questo punto che senso ha vestire (costumi di Giusi Giustino) i personaggi (soprattutto uomini) in costumi o uniformi contemporanei ? Oreste ha un’uniforme da generale dei primi dell'Ottocento, potrebbe uscire dalla corte inglese o napoleonica, il Grande Maresciallo del Palazzo è vestito di rosso, Pirro è vestito come un politico tradizionale del nostro tempo, gli altri sono in uniforme militare e le donne invece sono in abiti lunghi (senza tempo?) o in chiton greco, come i servi. Tutto questo non è molto coerente perché non riesce a dare un senso a ciò che si vede.

John Irvin (Pirro)

Se Spirei volesse attualizzare il dramma e dimostrare che la politica ha da sempre interferito col privato, che alcune persone prendono decisioni politiche che nascondono interessi privati (Pirro), potrebbe andare molto oltre, ma in qualche modo è rimasto in mezzo al guado, senza prendere davvero una vera direzione o una vera opzione. La scelta dell'acqua tiepida in un certo senso, come se la forma dell'opera e il suo ieraticismo, che fa contrasto con le agitazioni interne dei personaggi e li nasconde, avessero in qualche modo impedito al regista di andare oltre la forma per paura di rompere una cerimonia.
Così lo spettacolo può essere visto senza dispiacere, non è mai ridicolo, ha senso, ma sembra mettere in scena l'Andromaque di Racine più dell'Ermione di Rossini, ma un’Andromaque nella visione ingessata della tradizione scolastica.
E allora questa Ermione non raggiunge il suo obiettivo e non trasmette in alcun modo le intenzioni del regista, o almeno quelle che confida nel programma di sala.

La stessa impressione vale per la direzione musicale di Alessandro De Marchi. L'orchestra ci riesce con tutti gli onori, c’è grande chiarezza, non ci sono scorie, ma in un modo troppo pulito, troppo liscio, liscio come la cornice bianca del palco. Nulla traspare delle passioni dei personaggi, delle loro agitazioni, dei terrori e delle paure che li circolano. La direzione è di un classicismo quasi gluckiano, o spontiniano, e non fa circolare sangue né sudori né umori di alcun tipo. È una direzione musicale rigorosa ma poco sensibile, poco appassionata. Anche qui prevale l'impressione di un classicismo che avrebbe dimenticato che i classici sentono e vivono anche loro “romanticamente”.

Ermione è un lavoro difficile perché si nasconde dietro un velo di decoro ; ma dietro il velo c’è la pazzia. Questi aspetti nascosti, che la musica potrebbe rivelarci, rimangono invisibili o singolarmente schietti. Peccato, perché in questa direzione musicale tecnicamente senza problemi si aspetta una tensione che non si esprime realmente, se non in rari momenti.

Si esprime nella prestazione dei cantanti ?

Abbiamo detto quanto Ermione è come una parete verticale da scalare e il cast di Napoli non è una cordata abbastanza convincente da poterla affrontare a pieno, con poche eccezioni. Anche se nessun cantante ha fallito, e se l'insieme rimane omogeneo e dignitoso, il canto non riesce a compensare il vuoto della messa in scena o gli angoli smussati della direzione.

Il coro del San Carlo è ben preparato da Gea Garatti Ansini e si impone con lirismo e precisione in un'opera dove non è così determinante come in altre opere rossiniane perché sono i confronti dei personaggi tra di loro e le loro meditazioni che contano e creano tensione in quest’opera di passioni espresse e represse.

Prima di tutto dobbiamo segnalare gli ottimi ruoli complementari sia sul versante femminile con Gaia Petrone (Cleone, confidente di Ermione) o Chiara Tirotta (Cefisa, di Andromache), molto espressive e sul versante maschile con l'episodico, ma corretto, Attalo di Cristiano Olivieri.Guido Loconsolo è Fenicio, tutore e consigliere di Pirro, è l'unico cantante che non è tenore nel cast. È un basso dal carattere nobile (toglie Astianatte dalle braccia della madre con umanità) e Loconsolo è molto dignitoso nel ruolo con una voce che proietta bene e ben impostata.

Filippo Adami è un buon Pilade, ben controllato, con una voce e acuti sicuri, il duetto del secondo atto con Fenicio è un momento perfettamente gestito e anche riuscito.

John Irvin è forse l’anello più debole del cast, con alcuni incidenti, in particolare nel primo atto, dove i suoi attacchi esitanti fanno temere il peggio, ma poi recupera. Il ruolo è terribile, di sicuro troppo difficile per le spalle del cantante che non ha né il carisma né la voce abbastanza sicura per tale ruolo. Il risultato è un Pirro pallido, con poca energia e qualche problema vocale.

Antonino Siragusa, invece, ha tutte le note (che non è una parola vuota considerando le note…) anche se il timbro è un po' ingrato. Sappiamo che Siragusa è molto sicuro in questo repertorio che conosce perfettamente. Invece non ha una grande presenza scenica né una espressività molto sviluppata necessarie per rendere il personaggio di Oreste. È un cantante essenzialmente tecnico, che manca di coinvolgimento scenico, dove gestisce il minimo indispensabile. È un peccato soprattutto nel finale dove la messa in scena gli fa compiere la follia di un massacro da cui nessuno dei presenti alle nozze di Andromaca e Pirro può sfuggire. Canta in modo preciso e senza falli, ed è un successo meritato, ma senza recitare. Fa il suo lavoro, che è già tanto per un ruolo cosi ripido.

Teresa Iervolino (Andromaca) e Chiara Tirotta (Cefisa)

Passando alle voci femminili, Teresa Iervolino esce dalle trappole di Andromaca (ruolo che fu da Marilyn Horne) ha le agilità, l’espressività, la presenza e soprattutto la nobiltà del ruolo. La voce è ai limiti acuti delle sue possibilità, ma compone un vero personaggio di una madre degna, con un’autorevolezza incontestabile : il suo ingresso e il suo Ah mi uccide il rio tormento è cantato con una bella autorità e le agilità che scatenano caldi applausi. Anche come prigioniera Andromaca rimane una regina e una donna politica che persegue un solo obiettivo : evitare che suo figlio Astianatte venga ucciso come ultimo erede della stirpe troiana. E in questo Iervolino rende veramente bene il personaggio.
Con Angela Meade, siamo a tutt’altro livello : la cantante americana dà una lezione di canto, e soprattutto nel secondo atto che è quello in cui le arie e le imprecazioni di Ermione si susseguono, specialmente nella seconda parte. Innanzitutto, la voce è omogenea dal basso verso l'alto, sempre giusta, sempre tecnicamente perfetta. Poi, come prodotto esemplare della scuola americana, ha una dizione di rara chiarezza e un vero e proprio fraseggio italiano. Infine, è un canto abitato, pieno di colori, interpretato, con i pianissimi voluti con le note alte tenute e con un respiro impressionante.

È senza dubbio una delle cantanti di riferimento in questo repertorio e Napoli ha avuto la mano felice di fargli celebrare il bicentenario dell'Ermione. Forse non avrà le morbidezze, la dolcezza o i filati di una Caballé, ma sa mostrare le pieghe psicologiche del personaggio a volte lirico, a volte terribile, a volte lacerato. Sa rendere la complessità di un ruolo che non è tutto d’un pezzo, quello del malvagio, come troppo spesso si vede in Hermione nell’originale di Racine. Rossini e il suo librettista sono riusciti ad approfondire il personaggio, a rivelare le sue contraddizioni e le sue crepe : la musica che accompagna i suoi brani è incredibilmente fine, varia, dolce, violenta ed energica ; riesce a far sentire sia la tensione che la disperazione. E Meade riesce a tradurre tutto questo, con una presenza e un'energia vocale non comuni (e la sua grande aria – che feci ? dove son ? - che apre la scena finale (e non la conclude) è un magnifico esempio di canto incarnato. Grandissimo momento, memorabile.
Tutto sommato, se tutto non è pienamente soddisfacente in questa produzione, tutto rimane almeno molto dignitoso, con momenti eccezionali e una cantante che potrebbe diventare una leggenda. Il viaggio a Napoli era quindi pienamente giustificato.

 

 

 

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