Giuseppe Verdi (1813–1901)
Rigoletto (1851)
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Nuovo allestimento da un’idea di Rolando Panerai

 

Direttore d’orchestra     Dorian Wilson
Regia                                 Rolando Panerai
Regista assistente           Vivien Hewitt
Costumi                            Regina Schrecker
Luci                                    Luciano Novelli
Coreografie                      Giovanni Di Cicco
Maestro del coro             Franco Sebastiani

 

Il Duca di Mantova           Massimiliano Pisapia
Rigoletto                              Amartuvshin Enkhbat
Gilda                                     Leonor Bonilla
Sparafucile                          Mihailo Šljivić
Maddalena                          Kamelia Kader
Giovanna                             Anna Venturi
Il Conte di Monterone      Stefano Rinaldi Miliani
Marullo                                Claudio Ottino
Borsa                                    Aldo Orsolini
Il Conte di Ceprano           Giuseppe De Luca
La Contessa di Ceprano   Alla Gorobchenko
Usciere di corte                  Loris Purpura
Paggio della Duchessa      Annarita Cecchini

Teatro Carlo Felice – Genova, 22 dicembre 2017

Uno spettacolo molto tradizionale per la ripresa di Rigoletto al Teatro Carlo Felice di Genova. Motivo di interesse, la presenza di giovani interpreti, subentrati al primo cast nel corso delle recite. Tra loro, brilla la stella di un promettente baritono di origine mongola, Amartuvshin Enkhbat, che si impone per la bellezza del timbro e la sicurezza musicale. Note meno liete dagli altri interpreti vocali e dalla direzione d’orchestra.

Nasce dall’esperienza di un “grande vecchio” della lirica italiana, il baritono toscano Rolando Panerai, l’idea registica (una delle poche, a dire il vero) dell’allestimento di Rigoletto già andato in scena al Carlo Felice di Genova nel 2013 e ripreso quest’anno in dicembre : prendere confidenza con il dramma del gobbo sin dal preludio, mentre a sipario aperto indossa i panni del buffone e si prepara per la corte.
“Ah ! La maledizione!”: sommariamente, Rigoletto da cima a fondo è il racconto di un padre castigato dal Destino per essersi preso beffardamente gioco del ruolo stesso di padre.
Così, schernito dai quei cortigiani che egli impunemente deride, dopo aver ordito una meschina vendetta, il buffone finisce per divenire vittima delle proprie azioni e il complotto si volge a danno della propria figlia, colpita a morte dal sicario che avrebbe dovuto vendicarlo assassinando il Duca stesso, suo protettore.
Capolavoro che segna una svolta nella drammaturgia verdiana e mette in cassaforte il successo, Rigoletto rappresentò nella mente di Verdi un punto di svolta rispetto al quale non si sarebbe più potuto far marcia indietro verso la rassicurante struttura belcantistica dell’opera del primo ottocento. È lui che scrive ((I copialettere di Giuseppe Verdi, p.497, lettera a Carlo Antonio Borsi (marito del soprano Teresa De Giuli-Borsi), Busseto, 8 settembre 1852.
Nella medesima lettera, Verdi risponde in merito alle agilità della cavatina di Gilda : “Forse non si è indovinato il tempo, che deve essere un allegretto molto lento. Con un tempo moderato e l’esecuzione tutta sottovoce, non ci può essere difficoltà.”))
: “[…] ho ideato il Rigoletto senz’arie, senza finali, con una filza interminabile di duetti, perché così ero convinto. Se qualcuno soggiunge : « Ma qui si poteva far questo, là quello » ecc. ecc., io rispondo : Sarà benissimo, ma io non ho saputo far meglio” con la consapevolezza di aver colto nel segno per l’originalità del soggetto e per la musica con cui gli ha dato vita.

 

La lettura del capolavoro verdiano, più volte interpretato in scena da Panerai stesso nelle vesti del buffone, è letteralmente didascalica e manca di quell’originalità per cui Verdi intendeva scandalizzare i contemporanei.

Più che scandagliare i vari piani di lettura dell’opera (tanto sociali quanto familiari), la narrazione si preoccupa di illustrare con azioni e gesti convenzionali (spesso lasciati all’intuito dei singoli interpreti) una vicenda che non riesce a coinvolgere. L’unico effetto scenico è rappresentato dal tecnologico cambio di scenografia a vista prima della scena VII nel primo atto, dal palazzo ducale alla via su cui affaccia la casa di Gilda.

Del resto, la narrazione si svolge seguendo pari pari le indicazioni del libretto senza particolari sussulti e senza grandi emozioni.

Pur rassicurante per un pubblico certamente non avvezzo a regie provocatorie, l’allestimento scenico è quanto di più tradizionale ed oleografico si possa immaginare, mancando per contro di quel senso di elegante maestosità che solo può generare interesse verso spettacoli con questa impostazione (Scala docet).

Il quartetto del terzo atto Il Duca (Massimiliano Pisapia), Maddalena (Kamelia Kader), Gilda (Leonor Bonilla), Rigoletto (Amartuvshin Enkhbat)

La curiosità verso questa ripresa viene, dunque, non dalla parte scenica ma da quella musicale, per la presenza di due giovani promettenti interpreti che si alternano a quelli del primo cast per due repliche.

Ed effettivamente il baritono Amartuvshin Enkhbat, pur alle prese con un ruolo tanto complesso, non delude le aspettative. Classe 1986, nato a Sukhbaatar, in Mongolia, dopo diverse partecipazioni a importanti concorsi di canto (tra gli altri nel 2012 OPERALIA di Placido Domingo a Pechino, nel 2013 Francisco Vinas a Barcellona, nel 2015 BBC a Cardiff) è ormai una promessa pronta per prestigiosi palcoscenici.
Il nome, a prima vista, è impronunciabile ma la dizione è eccellente e la preparazione musicale decisamente solida. A colpire l’attenzione dal primo momento è il timbro caldo e ricco di armonici della voce, corposa soprattutto nel registro centrale e nelle discese al grave. Anche gli acuti suonano sicuri e fermi, pur se al momento il suono sembra talvolta non sfogarsi completamente (per es. nella conclusione del “Pari siamo” o nella maledizione finale).
Dal punto di vista interpretativo il baritono pare guardare con attenzione ai grandi modelli del dopoguerra (e di questi tempi è già un grande risultato) e, con l’andare del tempo, non potrà che maturare una maggior consapevolezza ed acquisire un fraseggio più personale e stilisticamente moderno, evidenziando meglio il valore della parola scenica verdiana.

Rigoletto (Amartuvshin Enkhbat), Gilda (Leonor Bonilla) nel finale dell’opera.

Pur importante per presenza scenica, meno a fuoco il personaggio di Gilda interpretato dal giovane soprano sivigliano Leonor Bonilla, sia per natura vocale sia per tenuta musicale.La voce è fresca ma non particolarmente ampia, per contro aspra in diversi passaggi e perigliosa nel salire al registro acuto non saldamente appoggiato. Accolto da un franco applauso, il suo “Caro nome” non tiene conto delle indicazioni verdiane (cfr. 1) e risulta complessivamente carente per portamenti, intonazione e tenuta ritmica.

Gilda (Leonor Bonilla), Rigoletto (Amartuvshin Enkhbat) nel terzo atto.

Franco successo di pubblico anche per il tenore Massimiliano Pisapia, dalla vocalità solare, che tratteggia un Duca di Mantova piuttosto spaccone per condotta scenica e vocalità, dal fraseggio non sempre rifinito ed estremi acuti raggiunti con suoni fissi e spinti.

Il Duca di Mantova (Massimiliano Pisapia), Maddalena (Kamelia Kader).

Discrete le presenze di Mihailo Šljivić (Sparafucile), Kamelia Kader (Maddalena) e Stefano Rinaldi Miliani (Monterone), buone le prove dei restanti comprimari e del Coro, validamente istruito da Franco Sebastiani.
Subentrato nel corso delle recite a Francesco Ivan Ciampa, Dorian Wilson ha diretto con scarsi esiti l’Orchestra del Carlo Felice.
Difficoltosa la tenuta ritmica con frequenti scollature tra buca e palcoscenico che hanno messo in difficoltà soprattutto soprano e tenore, la direzione è risultata complessivamente sfocata, specie nei grandi momenti concertati (ad esempio il quartetto del terzo atto).
Evidente la mancanza di vera familiarità con la teatralità dell’opera italiana, che ha portato a trascurare spesso il fraseggio degli interpreti e ci ha lasciato piuttosto la sensazione di aver ascoltato tanti brani giustapposti senza un vero disegno unitario.
In occasione di quasi tutte le arie e al termine dello spettacolo, applausi del pubblico (numeroso e attento, pur trattandosi di una recita fuori abbonamento che vedeva la presenza di tanti studenti ormai presi dalle vacanze natalizie) all’indirizzo di tutti gli interpreti.

 

 

 

 

 

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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