Un film in bianco e nero proiettato sul boccascena accompagna l’ingresso del pubblico in sala e l’ouverture : una signora anziana, seduta su una sedia a rotelle, guarda con trepidazione dalla finestra di una casa di riposo, in attesa della visita dei suoi cari ; la camera è ordinata, sul cassettone e alle pareti i ricordi di una vita osservano indifferenti l’andirivieni degli infermieri ; l’arrivo dei familiari porta una ventata di gioia e la signora, insieme ai nipoti, si lascia andare ai ricordi : la memoria corre agli anni della seconda guerra mondiale, quando, vivandiera di un reggimento sulle Alpi, ha incontrato l’amore della sua vita. Si alza il sipario e i ricordi prendono vita sull’ordinato comodino della camera : sul palcoscenico sono riprodotti i pochi oggetti dell’anziana Marie, comprese le medicine quotidiane.
L’orologio a cucù diventa allora la locanda del paese, davanti alla quale sfilano come pupazzetti gli abitanti, mentre i soldati arrivano in tenuta militare da sciatori (lo sfondo di montagne innevate conferma l’ambientazione tirolese). Marie fa ingresso su un potente sidecar e l’azione ha inizio, sviluppandosi in linea con il libretto, pur nella trasposizione temporale. La profonda tenerezza che si accampa sullo sguardo e sul cuore degli spettatori fin dall’inizio resta la cifra stilistica di André Barbe e Renaud Doucet, rispettivamente scenografo-costumista e regista : il duo inventa trovate misurate che suscitano il sorriso, consentendo di seguire il plot con facilità e coinvolgimento.
Evelino Pidò dirige con sensibilità e mestiere, riuscendo a trarre dall’orchestra del Regio tutta la leggerezza possibile per sostenere i cantanti senza coprirli, con rispetto dei tempi e delle sonorità. Giuliana Gianfaldoni è spigliata e piena di spontanea comunicativa : la sua Marie, alle prese coi ricordi, ripercorre i turbamenti e le gioie del primo amore ; la voce, leggera e perfettamente modulata, tratteggia una giovane piena di forza vitale, con acuti facili e svettanti e un legato impeccabile. John Osborn è Tonio, reso come un giovane innamorato volitivo e deciso (non il tontolone sovente, ahimé, rappresentato): il tenore americano non teme i numerosi do dell’aria “Ah ! Mes amis” che affronta con perizia e sfoggia il suo solito, splendido registro centrale, ma poi non eccelle nell’intima e supplichevole “Pour me rapprocher de Marie”, pur offrendo una prestazione nel complesso notevolissima e meritando il plauso del pubblico. Di grande charme il Sulpice di Simone Alberghini, fascinoso, dalla curata pronuncia francese e dalla giusta vocalità : il cantante dimostra come un ruolo buffo abbia tutto da guadagnare se affidato al canto e a una recitazione curata, piuttosto che a espedienti tesi solo a divertire il pubblico.
Si apprezza la nobiltà di presenza e la vocalità tornita di Manuela Custer nel ruolo di una Marquise altezzosa e controllata ma alla fine cedevole (ricordando di aver sacrificato la sua vita sentimentale e non volendo perciò ripetere l’errore con la figlia Marie), mentre la Duchesse è affidata ad Arturo Brachetti, una divertente crocerossina agée che corre, siringa in mano, per praticare iniezioni a destra e a manca : il celebre trasformista dà prova del suo talento ineguagliato con tre cambi di abito e coinvolge il pubblico cantando “Ciribiribin che bel faccin”, destando tuttavia un certo spaesamento rispetto alla trama dell’opera. Buona la prova di Guillaume Andrieux come Hortensius. Con loro, adeguati, Lorenzo Battagion (Un caporale), Alejandro Escobar (Un contadino), l’attore Federico Vazzola (Un notaio) e il Coro del Regio preparato da Andrea Secchi.