Gaetano Donizetti (1797–1848)
La Fille du régiment (1840)

Opéra-comique in due atti
Libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges
Prima assoluta : 11 febbraio 1840, Opéra-Comique di Parigi

Direttore Evelino Pidò
Regia, scene e costumi Barbe & Doucet
Ripresa registica Florence Bas
Luci Guy Simard
Regia video Guido Salsilli
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone

Marie Giuliana Gianfaldoni
Tonio John Osborn
Sulpice Simone Alberghini
La marquise de Berkenfield Manuela Custer
Hortensius Guillaume Andrieux
Un caporale Lorenzo Battagion
Un notaio Federico Vazzola
Un contadino Alejandro Escobar
La duchesse de Crakentorp Arturo Brachetti

Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia

Torino, Teatro Regio, il 19 maggio 2023

La Fille du régiment è tornata in auge nei teatri d'opera di tutto il mondo negli ultimi vent'anni, grazie soprattutto alla produzione di Laurent Pelly, che ha fatto il giro dei grandi teatri europei di Londra, Vienna e Parigi, attraversando anche l'Atlantico per essere rappresentata al MET. La versione francese dell'opera donizettiana ha così riscosso un successo inaspettato, confermato in Italia dalla recente produzione del Festival Donizetti di Bergamo, con la regia “cubana”di Luis Ernesto Doñas. Venezia e Torino ci offrono adesso una nuova versione, firmata da Barbe & Doucet, che unisce sorriso, eleganza e malinconia.

Un film in bianco e nero proiettato sul boccascena accompagna l’ingresso del pubblico in sala e l’ouverture : una signora anziana, seduta su una sedia a rotelle, guarda con trepidazione dalla finestra di una casa di riposo, in attesa della visita dei suoi cari ; la camera è ordinata, sul cassettone e alle pareti i ricordi di una vita osservano indifferenti l’andirivieni degli infermieri ; l’arrivo dei familiari porta una ventata di gioia e la signora, insieme ai nipoti, si lascia andare ai ricordi : la memoria corre agli anni della seconda guerra mondiale, quando, vivandiera di un reggimento sulle Alpi, ha incontrato l’amore della sua vita. Si alza il sipario e i ricordi prendono vita sull’ordinato comodino della camera : sul palcoscenico sono riprodotti i pochi oggetti dell’anziana Marie, comprese le medicine quotidiane.

L’orologio a cucù diventa allora la locanda del paese, davanti alla quale sfilano come pupazzetti gli abitanti, mentre i soldati arrivano in tenuta militare da sciatori (lo sfondo di montagne innevate conferma l’ambientazione tirolese). Marie fa ingresso su un potente sidecar e l’azione ha inizio, sviluppandosi in linea con il libretto, pur nella trasposizione temporale. La profonda tenerezza che si accampa sullo sguardo e sul cuore degli spettatori fin dall’inizio resta la cifra stilistica di André Barbe e Renaud Doucet, rispettivamente scenografo-costumista e regista : il duo inventa trovate misurate che suscitano il sorriso, consentendo di seguire il plot con facilità e coinvolgimento.

Evelino Pidò dirige con sensibilità e mestiere, riuscendo a trarre dall’orchestra del Regio tutta la leggerezza possibile per sostenere i cantanti senza coprirli, con rispetto dei tempi e delle sonorità. Giuliana Gianfaldoni è spigliata e piena di spontanea comunicativa : la sua Marie, alle prese coi ricordi, ripercorre i turbamenti e le gioie del primo amore ; la voce, leggera e perfettamente modulata, tratteggia una giovane piena di forza vitale, con acuti facili e svettanti e un legato impeccabile. John Osborn è Tonio, reso come un giovane innamorato volitivo e deciso (non il tontolone sovente, ahimé, rappresentato): il tenore americano non teme i numerosi do dell’aria “Ah ! Mes amis” che affronta con perizia e sfoggia il suo solito, splendido registro centrale, ma poi non eccelle nell’intima e supplichevole “Pour me rapprocher de Marie”, pur offrendo una prestazione nel complesso notevolissima e meritando il plauso del pubblico. Di grande charme il Sulpice di Simone Alberghini, fascinoso, dalla curata pronuncia francese e dalla giusta vocalità : il cantante dimostra come un ruolo buffo abbia tutto da guadagnare se affidato al canto e a una recitazione curata, piuttosto che a espedienti tesi solo a divertire il pubblico.

Si apprezza la nobiltà di presenza e la vocalità tornita di Manuela Custer nel ruolo di una Marquise altezzosa e controllata ma alla fine cedevole (ricordando di aver sacrificato la sua vita sentimentale e non volendo perciò ripetere l’errore con la figlia Marie), mentre la Duchesse è affidata ad Arturo Brachetti, una divertente crocerossina agée che corre, siringa in mano, per praticare iniezioni a destra e a manca : il celebre trasformista dà prova del suo talento ineguagliato con tre cambi di abito e coinvolge il pubblico cantando “Ciribiribin che bel faccin”, destando tuttavia un certo spaesamento rispetto alla trama dell’opera. Buona la prova di Guillaume Andrieux come Hortensius. Con loro, adeguati, Lorenzo Battagion (Un caporale), Alejandro Escobar (Un contadino), l’attore Federico Vazzola (Un notaio) e il Coro del Regio preparato da Andrea Secchi.

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Francesco Rapaccioni
Giornalista pubblicista dal 1996, segue con grande passione il teatro in genere e prosa e lirica in particolare, recensendo spettacoli e concerti sia in Italia che all'estero per testate nazionali e locali. Da anni conduce trasmissioni radiofoniche culturali su circuiti nazionali e regionali. Legge e viaggia in modo compulsivo e, al tempo stesso, dirige un piccolo teatro a San Severino Marche, in provincia di Macerata. Dopo alcuni anni negli Stati Uniti, vive oggi stabilimente in Italia, nelle Marche, dove si occupa anche di promozione culturale e turistica del territorio. Ma sempre con uno sguardo attento e curioso a ciò che accade nel mondo.

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