Giuseppe Verdi (1813–1901)
Falstaff (1893)
Commedia in musica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito tratto da The Merry Wives of Windsor (Le allegre comari di Windsor) e da Re Enrico IV, parti I e II, di William Shakespeare
Edizione critica a cura di Gabriele Dotto, The University of Chicago Press e Casa Ricordi, Milano.Prima il 9 febbraio 1893, Teatro alla Scala, Milano

Direzione musicale : Michele Spotti
Regia : Jacopo Spirei
Scenografie : Nikolaus Webern
Costumi : Silvia Aymonino
Luci : Giuseppe Di Iorio

Sir John Falstaff : Misha Kiria
Ford : Alessandro Luongo
Fenton : Dave Monaco
Dott. Cajus : Gregory Bonfatti
Bardolfo : Roberto Covatta
Pistola : Eugenio Di Lieto
Mrs Alice Ford : Roberta Mantegna
Nannetta : Giuliana Gianfaldoni
Mrs Quickly : Teresa Iervolino
Mrs Meg Page : Caterina Piva

Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro : Martino Faggiani

Filarmonica Arturo Toscanini

Allestimento Festival Verdi 2017

 

Parma, Teatro Regio, giovedì 16 ottobre 2025, ore 20:00

Shakespeare e Verdi, ecco il tema del 25° Festival Verdi di Parma che presenta Otello, che purtroppo non abbiamo potuto vedere, Falstaff e Macbeth.
Sulla produzione di Falstaff a Parma soffia un vento nuovo : dopo il Falstaff un po' crepuscolare di Dresda, eccoci infatti all'estremo opposto dello spettro.
Ciò che caratterizza questo Falstaff è proprio la giovinezza a tutti i livelli, con un cast (e soprattutto un Falstaff) relativamente giovane, privo dei tic triti e ritriti delle rappresentazioni di routine, in una produzione piuttosto sobria ma ben realizzata di Jacopo Spirei, che funziona in modo fluido ed efficace.
Ma ciò che sconvolge tutto e che conquista totalmente l'adesione è la direzione di Michele Spotti, 32 anni, proiettando questo direttore che seguiamo dai suoi esordi a Lione sotto i riflettori e che smentisce il detto secondo cui un direttore d'orchestra deve affrontare Falstaff in piena maturità. Il risultato è un Falstaff incredibilmente vivace, pieno di energia, alba di eterna gioventù che fa dimenticare ogni idea di tramonto, e che potrebbe benissimo essere la produzione di punta dell'edizione 2025 del Festival Verdi.

Un ottobre “falstaffiano”

Il mese di ottobre è stato per me un mese dedicato a Falstaff, poiché ne ho visto tre produzioni. La prima ad Amburgo, firmata da Calixto Bieito, una produzione piuttosto convenzionale in un ambiente molto “british” da casa delle bambole (scenografia di Susanne Gschwender), di cui rimane impressa l'immagine di Nannetta che fa un test di gravidanza, dominata dalla bella interpretazione di Wolfgang Koch nel ruolo di Falstaff, in particolare nel terzo atto, dove risplendono il suo senso del fraseggio e la sua intelligenza in mezzo a un cast di buon livello che garantiva alla rappresentazione un livello vocale invidiabile con un eccellente Andrei Kymach nel ruolo di Ford e Granit Musliu in quello di Fenton, dove si mostra davvero promettente. Ho poi visto la produzione Michieletto a Dresda sotto la direzione di Daniele Gatti con un Nicola Alaimo straordinario, di cui abbiamo appena resoconto.
A Parma, infine, è un Falstaff già visto, poiché si tratta di una ripresa, con lo stesso cantante (Misha Kiria) che riprende il ruolo dei suoi esordi e che senza dubbio diventerà uno dei grandi Falstaff dei prossimi anni perché è davvero eccezionale, con in buca un direttore che ha un avvenire di grande verdiano, Michele Spotti, che seguiamo da tempo.

 

La produzione di Jacopo Spirei

Jacopo Spirei, allievo di Graham Vick di cui abbiamo recensito diversi spettacoli, Rinaldo a Cremona nel 2018, Ermione a Napoli nel 2019, Ballo in maschera a Parma nel 2021 (ripresa del lavoro iniziato da Graham Vick, scomparso durante la preparazione) e Lucie de Lammermoor (versione francese) a Bergamo nel 2024, firma qui una regia allo stesso tempo « senza pretese », nella misura in cui segue il libretto con la giusta distanza per farci sorridere, leggera senza essere volgare e soprattutto molto efficace.

Spazio "Ford"

Mentre Michieletto rendeva omaggio agli anni ‘60 dell'Italia delle notti della Riviera adriatica, Spirei ci riporta dall'altra parte della Manica, in un'Inghilterra del Novecento un po’ cliché, la buona borghesia laboriosa della casa Ford, cappelli a bombetta e Union Jack, con un vago aspetto da “casa delle bambole” come da Bieito (vedi sopra), ma più illustrativo che strutturale (scenografia di Nikolaus Webern) e un Tamigi che si intuisce, disposto come nell'atto II di Strehler… Ma tutti questi segni sono anche logori (l'Union Jack che sventola orgogliosamente all'ingresso dello spettatore nella sala è un po' sgualcito… È che la Brexit è passata e non tutto è roseo in questo Regno un po' disunito…),

(Giuliana Gianfaldoni (Nannetta), Dave Monaco (Fenton)

Fenton indossa un kilt di pelle in modo non proprio tradizionale, ed è per questo che Ford preferisce il ben più conformista e antiquato Dr Cajus.

Cesto della biancheria ; Giuliana Gianfaldoni (Nannetta)

C'è tutto, con gli accessori indispensabili (un cesto della biancheria gigante con lo stemma della casa Ford “property of the Ford estate” che ci indica che Ford è senza dubbio a capo di una PMI o il tradizionale paravento), ma anche con alcuni dettagli iniziali che mostrano il mondo un po' instabile e un po' appassito di Falstaff.

“Spazio Falstaff”: Gregory Bonfatti (Dr. Cajus), Locandiere, Roberto Covatta (Bardolfo), Eugenio Di Lieto (Pistola) Misha Kiria (Falstaff)

Nella locanda dove vive, occupa uno spazio piuttosto stretto e buio, i piatti si accumulano senza essere stati puliti, il pavimento crolla, sottolineando che questo Falstaff è grasso e pesante (questo, per il significato diretto), ma anche che vive in un mondo che non è così stabile, un po' sfasato rispetto alla realtà o semplicemente un mondo reso fragile per tutti (per il significato indiretto…).

"Spazio Ford"

Al contrario, lo spazio “Ford” è arioso, piacevolmente aperto, e ovviamente in contrasto. Con un buon numero di piccoli dettagli divertenti (i costumi non eccessivamente contemporanei, i telefoni cellulari ecc…) e un buon numero di piccoli riferimenti, ciò che ci viene proposto è nel complesso una visione tradizionale, ma senza il peso della routine, che passa bene sul palcoscenico grazie alla sua eleganza, al suo ritmo, e a un vero lavoro sui movimenti scenici e sui movimenti degli attori con quel tanto che basta di fantasmagoria (la casa di Ford tra gli alberi nel terzo atto, l'uso del lampadario del teatro come quercia dell'Herne),

Fantasmagoria

e quel tanto che basta di realismo e quel tanto che basta di sorrisi, rendendo questa produzione di Falstaff una produzione ideale per un teatro di repertorio, attuale e non attuale, che avrà lo stesso piacevole effetto tra dieci anni.
Del resto è un po' così, dato che si tratta della ripresa della produzione del Festival 2017 : in otto anni non ha perso nulla del suo fascino e conserva ancora la stessa freschezza, e si può scommettere che sarà così anche in futuro.

Non fraintendiamoci, tra tutte le produzioni di Jacopo Spirei viste altrove, questa è senza dubbio la più compiuta e riuscita per la sua fluidità, il suo ritmo e il suo vero senso della commedia, senza sovraccarichi “significativi”, senza secondi fini : coglie la storia e la racconta, nella gioiosa atmosfera di un Windsor da fumetto. E, beh, se ne esce piuttosto soddisfatti, convinti di aver visto un Falstaff dignitoso, solido, che rende felici senza complicazioni.

Misha Kiria (Falstaff)



Gli aspetti vocali

L'interesse di questa rappresentazione risiede soprattutto nella sua straordinaria omogeneità musicale, in una messa in scena vivace, musicalmente stimolante e vocalmente impeccabile, senza grandi star, ma con voci tra le più solide di oggi, tutte perfettamente al loro posto, che rendono questa rappresentazione uno dei Falstaff più notevoli che abbiamo visto negli ultimi anni.
In questo quadro, il coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani, è simpaticamente molto presente nel terzo atto, senza mai mancare di rilievo, come sempre.

"Le donne"

Onore al merito, essendo le donne il motore dell'azione, è il loro gruppo molto vivace, frizzante e acidulo che va sottolineato per primo.
La Meg Page di Caterina PIva è molto a suo agio sul palcoscenico e la sua voce risuona e dà vero rilievo al personaggio che nel quartetto femminile è il meno valorizzato vocalmente da Verdi.
Notevole Teresa Iervolino nel ruolo di Quickly, che afferma il personaggio con una voce molto presente, molto ben proiettata, molto espressiva ma senza mai essere caricaturale come nella famosa scena delle “reverenza”. C'è sempre in questo canto una vera eleganza di fraseggio e un senso di colore affermato. L'esperienza di Teresa Iervolino, in particolare nel repertorio rossiniano e belcantistico, è al servizio della sua interpretazione, che mantiene sempre un carattere ben presente con un bel profilo.
Giuliana Gianfaldoni, che era malata durante la prima rappresentazione, è qui completamente guarita e riscuote un clamoroso successo nel ruolo di Nannetta, con un timbro diafano quando serve ma anche corposo, in particolare nel secondo atto. Il fraseggio è impeccabile, il controllo del respiro è costante :  è una delle Nannette più complete di oggi. Magnifica interpretazione di grande poesia e anche piuttosto moderna, il che non è contraddittorio…
Roberta Mantegna è un'Alice Ford compiuta, vivace, dinamica, ma soprattutto con un canto sicuro, perfettamente a posto e molto naturale senza nulla di artificioso, con una rara precisione negli accenti e una sicurezza a tutta prova. È uno dei suoi ruoli migliori, anche dal punto di vista scenico, dove entra perfettamente nel personaggio desiderato, allo stesso tempo scaltro e adulato. Un'incarnazione davvero notevole.

"Gli uomini"

Per quanto riguarda gli uomini, la coppia Bardolfo/Pistola è molto affiatata, nei panni di due comici avventurieri dei sobborghi londinesi : Bardolfo (Roberto Cavatta) con i capelli lunghi e la barba incolta, una sorta di emarginato, e Pistola (Eugenio Di Lieto) tifoso di una vaga squadra di calcio (Thames, il Tamigi) con una maglia appariscente… Entrambi sono impeccabili dal punto di vista vocale, particolarmente espressivi, molto coinvolti nella recitazione e nella messa in scena, una sorta di compagni di vagabondaggio di un Falstaff trasandato e sull'orlo della miseria.

Ford (Alessandro Luongo, locandiere, Pistola (Eugenio di Lieto), Bardolfo (Roberto Covatta)

Il dottor Cajus, tirato a lucido, è Gregory Bonfatti, molto familiare con il personaggio, che sfoggia la sua voce un po' nasale, un po' affettata e ben proiettata, conferendogli quell'aspetto un po' ridicolo e antiquato che ovviamente contrasta con il Fenton che Nannetta preferisce.

Giuliana Manfaldoni (Nannetta) Dave Monaco (Fenton)

Dave Monaco è proprio un Fenton un po' insolito, più “maschile” e deciso. Nel suo kilt di pelle, si mostra un rappresentante della giovane generazione che spaventa Ford… la voce è controllata, la proiezione e il fraseggio impeccabili, l'eleganza del canto affermata e gli acuti franchi e senza difetti… È senza dubbio un Fenton “di nuovo tipo” con cui bisognerà fare i conti.
È il caso del Ford molto elegante e ben interpretato da Alessandro Luongo, particolarmente espressivo senza avere una voce tonante. È un Ford attento al testo, alle inflessioni di ogni parola, che disegna il personaggio con intelligenza, tanto sa usare il colore e l'espressività con un bel timbro vellutato e una spiccata eleganza. Inoltre è molto a suo agio sul palco e molto coinvolto. Anche in questo caso, un Ford da seguire e un artista che fa parte dei baritoni particolarmente interessanti della nuova generazione.

Misha Kiria (Falstaff)

Rimane il Falstaff di Misha Kiria, baritono georgiano che abbiamo già notato più volte, in particolare nelle belle interpretazioni di Rossini o Donizetti. Lo abbiamo particolarmente apprezzato nel ruolo di Sulpice ne La fille du Régiment a Monaco, dove abbiamo detto di lui :
« Misha Kiria si sta affermando come uno dei baritoni di riferimento nel repertorio belcantistico, da Rossini a Donizetti. Ha una voce che gli permette di affrontare anche Falstaff e dimostra presenza e agilità sul palco.»
Il timbro è caldo, il fraseggio esemplare e il canto sempre attento alle parole, alle variazioni di colore e all'espressività. Dimostra sia grande delicatezza che momenti più crudi, passando dall'uno all'altro con duttilità, dominando tutte le difficoltà vocali, lavorando sulla caricatura senza mai esagerare o recitare in modo eccessivo. È ormai un grande Falstaff, che interpreta il personaggio e lo disegna con una vera personalità. Era già il Falstaff del 2017 su questo palcoscenico, ora è saldamente radicato nel personaggio, con un rilievo e una potenza vocale impressionanti.

La direzione musicale

Alla guida dell'eccellente Filarmonica Arturo Toscanini, Michele Spotti conferma che, a soli 32 anni, è ormai uno dei direttori italiani con cui bisognerà seriamente fare i conti. Lo seguiamo con attenzione sin dalle sue prime esibizioni a Lione nel Barbe-Bleue di Offenbach (2019), che ha diretto con vero brio rossiniano. Sulla stessa linea, ci aveva impressionato anche alla Komische Oper di Berlino in una Belle Hélène (molto) stravagante firmata Barrie Kosky, ma è a Basilea, nel Don Carlos di Verdi, che ci ha colpiti per la sua sicurezza, tanto che abbiamo intitolato il nostro articolo “È nato un grande direttore”. Ci aveva anche concesso un'intervista che potete leggere qui sotto a completamento di questo articolo.

Affronta una delle opere più complesse di Verdi, proprio senza complessi (e senza giochi di parole inopportuni), di petto, con una sorta di golosità che ne esalta sia la vivacità e i ritmi, sia l'affermazione di eterna giovinezza che l'opera sottolinea. Dietro questa direzione c'è tutto l'insegnamento di Rossini, a mio avviso indispensabile in questo caso, perché il testo è costantemente valorizzato, senza mai coprire il palcoscenico, ma soprattutto una volontà affermata di lavorare sul colore, i molteplici colori della partitura, come una sorta di palla a specchi multicolore che renderebbe ogni momento una festa permanente dal sorriso eterno, dal buon umore contagioso, con un suono mai appesantito, una resa di rara fluidità e allo stesso tempo di vera profondità. L'orchestra non perde mai la sua chiarezza, la sua limpidezza, perché ogni frase, ogni strumento si sente con una nitidezza e una precisione sorprendenti. E il risultato è incredibilmente convincente.

Laddove una Staatskapelle di Dresda con Gatti sottolineava le ombre proiettate da una partitura che può essere letta anche come crepuscolare, Spotti ne sottolinea intuitivamente il sole, in una lettura dai riflessi italiani, dai colori parmensi segnati dal sole dell'Emilia-Romagna.
Ed è meraviglioso, perché rendere omaggio al capolavoro significa sottolineare che è entrambe le cose. Il fatto che sia stato abbracciato da un direttore d'orchestra così giovane dimostra anche l'incredibile audacia di Verdi e la sua sbalorditiva giovinezza. Si esce da questo Falstaff con la convinzione che quest'opera sia totalmente inesauribile, che possa raccontarci la storia all'infinito con i colori più diversi, ma che rimarrà comunque sempre la vera storia di Falstaff. Ma si esce anche con la convinzione (rinnovata nel mio caso) che Michele Spotti sia ormai uno dei più dotati della generazione emergente, perché oltre alla sua maestria tecnica, al suo gesto preciso, alla sua audacia, alle sue intuizioni, sa dare un senso alla musica, cosa che altri giovani angeli della bacchetta più a nord d'Europa sembrano ancora ignorare…

Nel complesso, una produzione di otto anni fa, che ha ricevuto una bella ventata di giovinezza e convince totalmente dal punto di vista musicale, con una visione scenica senza intoppi né asperità, ma cosi efficace da piacere a tutti.

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