“… Arianna si è risolta alla fine in due nuove commedie. La prima idea era bellissima: si apriva con la prosa più sobria della commedia per innalzarsi poi con il balletto e la Commedia dell’Arte alle altezze della musica pura, assoluta. Se fallì, fu per una certa mancanza di cultura del pubblico. Il pubblico del teatro di prosa si sentiva quasi defraudato, quello dell’opera non sapeva che farsene di Molière…” così Richard Strauss ricordava in Note di Passaggio, riflessioni e ricordi l’accoglienza tiepida, nel 1912 a Stoccarda, di Ariadne auf Naxos nella prima versione. Chissà cosa direbbe Strauss di questa inedita versione tradotta in italiano del Festival della Valle d’Itria.
Abbiamo chiesto ad Alberto Triola, direttore artistico del Festival di illustrarci il programma interamente rivisitato dell’edizione 2020
Avete creduto fortemente nell’idea di essere sulle scene anche quest’anno, malgrado la pandemia. Posso chiedere qual era il vostro stato d’animo nei giorni in cui in nel mondo veniva chiuso tutto: teatri, cinema, negozi, uffici?
Quando il pieno della pandemia ha costretto le autorità a bloccare tutto siamo stati colti da un sentimento di sgomento, di incredulità. Poi, come colti da un forte choc, eravamo come paralizzati. E’stato un momento di passaggio fondamentale che ha sconvolto le vite di tutti quanti, sia nella sfera privata che nella sfera professionale. Possiamo dire che è stato giusto così, bisogna vivere fino in fondo i traumi anche per quello che poi possono lasciare di positivo dopo il vuoto che ne deriva. Soltanto nel vuoto si generano nuove idee e nuovi percorsi possono delinearsi.
Siete stati guidati in questa vera e propria avventura dal vostro nume tutelare, Paolo Grassi? Per lui il Teatro non significava soltanto mettere in scena un testo, realizzare uno spettacolo…
Paolo Grassi è assolutamente una Stella Polare, un punto di riferimento per tutti coloro che lavorano nel campo dello spettacolo dal vivo e che avvertono forte il senso di missione, il senso civile, etico che questa professione comporta. Passato lo sgomento ci si guarda allo specchio e ci si domanda; che cosa posso, cosa debbo fare per assolvere al meglio il compito che il mio ruolo e quello delle istituzioni in cui opero? se è vero come è vero che la produzione culturale e di spettacoli dal vivo, di teatro opera e musica è finalizzata ad una sempre maggiore e più consapevole coesione sociale; come diceva Paolo Grassi bisogna costruire occasioni di ritrovo in cui la collettività si raduni, per conoscere sé stessa e per ascoltare una parola o respingerla. Fondamentale lo spettacolo perché aiuta a riconoscerci nelle stesse radici e per condividere lo stesso destino. Le parole di Grassi sono attuali oggi come quaranta anni fa e ci spingono ad avvertire un profondo senso di responsabilità e un senso del dovere rispetto al significato del “fare teatro”.
Cambiare in poche settimane il programma del Festival, approvato e immagino con il lavoro degli artisti già quasi a punto, cosa ha comportato?
E’stato fatto un lavoro delicato difficile, non solo perché si è dovuto inventare da nulla un percorso nuovo e un cartellone diverso; bisognava rimettere insieme un intreccio di nomi, date, occasioni e titoli completamente rinnovato in più si è fatto in un mese un lavoro che normalmente si realizza in un anno e mezzo. Abbiamo dovuto smantellare anche tutto il lavoro e il programma che era previsto: tutto già pensato, accettato e discusso, promesso e accordato. Purtroppo abbiamo provocato delusione e sconcerto negli artisti, ma sarà un nostro impegno e abbiamo promesso di riprendere tutto ciò che era detto, previsto e accordato per il prossimo anno. Naturalmente questo ha comportato un lavoro capillare di dialogo, ascolto e condivisione per tutte le scelte.
Come mai la scelta è caduta su un musicista come Richard Strauss e sulle sue opere che si rifanno a Molière e alla Commedia dell’Arte, le maschere?
Il genio compositivo di Richard Strauss e il genio drammaturgico, teatrale e poetico di Hofmannsthal si sono dimostrati alleati preziosi nell’emergenza. La partitura di Ariadne auf Naxos che Strauss concepisce per 36 musicisti, è un’opportunità più unica che rara di poter mettere in scena una partitura capolavoro con un numero ristretto di esecutori, sicuramente non suona e non appare come un ripiego o una diminutio ma è perfetta per la situazione che dobbiamo affrontare. Ariadne nasce per un numero ristretto di musicisti, in questa occasione sarà l’ideale per poter rispettare le norme vigenti che impediscono assembramenti. L’opera è un assoluto capolavoro, non solo del ‘900 ma di tutto la storia del teatro musicale, e come tutti i capolavori porta con sé una scia e una sequenza ricchissima di conseguenze positive.
Ariadne auf Naxos sarà in una versione italiana inedita, libretto in italiano su traduzione di Quirino Principe. Il Borghese gentiluomo è un adattamento. Come è nata l’idea?
Una volta scelto il titolo da cui tutto parte, Arianna a Nasso di Strauss, si è cercato di applicare quel criterio che cerco sempre di mettere in atto quando ci si trova dinanzi ad una crisi: sforzarsi di trasformare il limite, il vincolo in alleato e smontare la sua funzione di apparente avversario e quindi trasformarlo in opportunità. L’impossibilità di poter contare su artisti stranieri, ai quali si affidano parti difficili e temibili non solo musicali e artistiche ma anche per quello che riguarda la lingua, ha fatto sì che avendo artisti italiani, si scegliesse assieme al maestro Fabio Luisi, di fare una nuova versione ritmica in italiano. La versione già esistente risale agli anni ’20 del ‘900 e porta con sé una retorica linguistica con un’oratoria che suona oggi molto antiquata, perciò seguire quelle regole ora desuete, avremmo tradito inevitabilmente lo spirito e la poetica di Hofmannsthal.
Fatta questa scelta abbiamo pensato di puntare altissimo e così ci siamo rivolti al massimo esperto italiano di Strauss sul quale possiamo contare, il professor Quirino Principe. Sicuramente lui può assicurare un sigillo d’autore a questa operazione, in fondo per decenni era consuetudine portare nei teatri italiani le opere straniere in versione tradotta. Certamente qualcosa si perde nel rapporto fra musica e suono della parola e il significante, ma si guadagna invece una diversa tinta della lingua cantata su questa musica che Strauss immagina e concepisce in chiave cameristica. Ricercando sonorità assolutamente trasparenti, lievi e leggere in una partitura per un organico da camera in buca, ma che suona come fosse una grande orchestra, penso che sarà davvero sorprendente. Già ne abbiamo testimonianze dai cantanti che stanno studiando questa versione di Ariadne , potremo perciò sentire quanta liricità e quanta morbidezza ci sia nelle linee del canto straussiano, in particolare in quest’opera. Il maestro Luisi intende dare una lettura molto elegante, molto rispettosa del peso specifico della musica, che guarda, se vogliamo molto a Mozart e che si rivolge a quel mondo e a quella sonorità quasi aerea, possiamo dire, smaterializzata ma allo stesso tempo densissima: il grande paradosso di questa partitura. La lingua italiana, perciò può aiutarci a valorizzare la morbidezza di alcune linee musicali e vocali di Strauss.
Si è scelto poi, sempre per mantenere fede alla identità del Festival della Valle d’Itria che propone edizioni rare e poco eseguite, di presentare Arianna a Nasso nella prima edizione originale del 1912; ossia quella che Strauss aveva immaginato con il librettista come un’accoppiata commedia dal teatro drammatico da Molière e il melodramma. Questa versione ha delle sensibili differenze da quella più conosciuta del 1916, susciterà sicuramente grande interesse. Per il Borghese gentiluomo abbiamo scelto l’edizione del ’17, quella definitiva che Strauss scelse per consegnare ai posteri una partitura che lui amava molto, composta per la pièce di Molière. Fu infatti quella la musica della festa che celebrò i suoi ottant’anni; la sua partitura è in realtà un’opera a sé stante, superando l’occasione di musiche di scena e antefatto per la commedia di Molière rivisitata da Hofmannsthal, così come era stata concepita.
Dopo questa edizione 2020, così particolare, R. Strauss sarà uno dei musicisti prediletti del festival? Già due volte erano stati messi in scena due titoli: una sua versione dell’Idomeneo di Mozart e la versione in francese, su testo di Oscar Wilde, di Salome
Sicuramente Il Festival della Valle d’Itria è l’unico, credo, tra i tanti che può vantare solo tre direzioni artistiche i 46 anni di storia. Certamente l’intento è quello di mantenere una coerenza nelle sue linee di approfondimento del repertorio, pur nella ricerca di opere, titoli, autori da riscoprire. Sono tanti i filoni, quello barocco, quello fondamentale del grande belcanto italiano e anche quello della modernità. Proprio in quello della modernità Strauss è uno dei filoni; non può che essere così essendo il musicista di Monaco uno dei Padri della modernità in musica, del teatro musicale e della cultura occidentale tout court. Dopo Idomeneo e dopo Salome - la pronuncia francese è giusta in questo caso – che videro la loro rappresentazione a Martina Franca questa Arianna rientra, con coerenza, nelle linee portanti del Festival
Il Mito di Arianna sarà il tema portante dell’edizione di quest’anno, perché questa scelta?
Strauss e Hofmannsthal ci offrono l’occasione di esplorare un mito archetipico, culturale. Il Mito di Arianna è uno dei miti fondativi della cultura occidentale: Arianna, il Labirinto, Teseo e il Minotauro. Come tutti i capolavori le partiture di Strauss e i libretti di Hofmannsthal ci sorprendono sempre, perché naturalmente fanno risplendere di una luce sempre contemporanea i loro contenuti; non ci sorprendiamo se scopriamo in Arianna un aggancio con il sentire della nostra epoca e di questi mesi di isolamento. Arianna parla di Isola di Nasso e di un’anima abbandonata ad una solitudine totale, il suo è un risveglio brutale dopo una fugace esperienza d’amore poiché dopo una notte piena di sogni si ritrova sola in un’isola deserta senza nessuno, e dove alla sua voce risponde solo l’Eco, in compagnia di ombre e con il sordo rumore del mare. E’una metafora straordinaria dell’isolamento che tutti noi abbiamo vissuto in questi mesi, con il sentimento della perdita che si somma alla solitudine. Arianna perde Teseo e l’amore che la legava alla vita: le parole i versi di Hofmannsthal “C’era una cosa bella Teseo e Arianna, che camminavano nella luce…” quasi fossero una sola cosa ma all’improvviso tutto si spezza. Forse tutti noi in queste settimane abbiamo vissuto il Mito di Arianna dentro di noi e tutti i simboli che ne derivano. Il labirinto e il filo che ci farà trovare l’uscita, il mostro il Minotauro, che ci terrorizza, il Mare che ci isola e ci separa dagli altri. Simbologie potentemente attuali che ci riportano all’oggi, a questo periodo storico che stiamo vivendo. Arianna e il suo mito hanno ispirato musicisti che hanno messo sulle pagine numerosissime composizioni in vaie epoche; nel barocco, nel classico, nel romantico. Il mito di Arianna porta con sé il senso della vendetta e la figura della donna abbandonata e sedotta si ritrova in molte pagine operistiche e molte eroine ci riportano alla fanciulla generosa tradita da Teseo: Medea e Giasone, Didone ed Enea e naturalmente Norma. Tutto questo ci consente una capillare esplorazione, articolata del mito di Arianna e dei miti che ne derivano. Le immortali pagine di Ovidio, gli splendidi versi di Catullo che hanno cantato Arianna si riverberano in mille pagine di musica nei secoli a venire. La musica rinascimentale, la canzone carnascialesca di Lorenzo il Magnifico, pagine barocche di Porpora, Haendel, Benedetto Marcello, Scarlatti e non dimentichiamo pagine strumentali di Locatelli e di Muzio Clementi con il Lamento di Didone. E’stato un divertimento, possiamo dirlo, questa ricerca di un cartellone che celebra il mito di Arianna e delle figure di donne a lei affini. E non dimentichiamo colui che salverà Arianna dalla solitudine Dioniso, Bacco il dio dell’ebrezza e della irrazionalità come se la soluzione all’angoscia, alla solitudine al labirinto interiore, all’abbandono fosse da trovare non nella logica o nel pensiero razionale ma in qualcosa di istintivo, in ciò di più profondo che l’essere custodisce in sé. Il mito di Dioniso è poi stretta correlazione con il Teatro. Il Festival quest’anno esalterà la catarsi di Arianna e la liberazione dall’isolamento, nel segno del teatro; il teatro porta salvezza e riscatto.
Il Festival con i suoi spettacoli, da sempre, si apre al territorio della Valle d’Itria. Questa edizione si spingerà fino a Polignano a mare, presso il Museo dedicato a Pino Pascali un artista figurativo pugliese morto giovanissimo ma che lasciò una grande e importante collezione di opere. Il Museo era un macello, in origine. Mi sembra di buon auspicio riunire in una serata la musica colta, le opere di un artista creativo e visionario in uno spazio che una volta era luogo di servizio di uso comune. Mi sbaglio?
Il Festival della Valle d’Itria è sempre alla ricerca di spazi nuovi che possano valorizzare le sue proposte di musica, che diventino luoghi di incontro e di scoperta per il pubblico colto, curioso che è il pubblico di Martina Franca; l’offerta si rivolge anche ai turisti e coloro che vengono per la prima volta in Puglia. Il fatto di poter portare, finalmente, un pezzo di Festival e della buona musica nella magnifica sede della Fondazione e del Museo Pino Pascali di Polignano a mare è un’occasione molto importante.

La Fondazione è una partecipata della Regione Puglia, così come la Fondazione Paolo Grassi, e la sede è di grande pregio architettonico oltre a custodire opere di pregiati contenuti artistici in più il luogo dove si trova ci permette di presentare un programma tutto ispirato al tema del mare. Naturalmente il mare è simbolicamente legato al Mito di Arianna, come elemento di separazione dal resto del mondo, per lei sola e abbandonata su un’isola deserta. Il mare, da sempre, rievoca significati simbolici di profondità e di abissi dell’animo; e proprio nella splendida scena tratta dall’Ariane di Jules Massenet, forse l’opera più wagneriana del suo catalogo ma una delle meno conosciute, Arianna trova la sua catarsi gettandosi tra le onde del mare: una diversa interpretazione del Mito stesso, molto più romantica. Ci è sembrato molto significativo per il concerto al Museo Pascali di Polignano recuperare questa inedita declinazione del Mito di Arianna che ci accompagnerà per tutto il Festival.
Vedremo e ascolteremo a Martina e in Valle d’Itria le più belle e importanti voci di artisti di fama internazionale, contesi dai grandi teatri nel mondo. Come avete fatto a portarli tutti al festival della Valle d’Itria?
Il vero miracolo è che il Festival della Valle d’Itria 2020, che ha rischiato di non essere e di lasciare un vuoto nell’annuario di 46 anni di storia, sarà ricordato come l’edizione più ricca di nomi e di stelle internazionali. In effetti anche solo leggere sul cartellone quei nomi fa effetto e viene da chiedersi come è stato possibile. C’è voluto grande coraggio, un notevole sforzo da parte di tutti nel costruire un percorso e un programma articolato così da dare spazio a tante voci a tanti caratteri, stili e temperamenti dal repertorio del ‘600 a quello contemporaneo. Abbiamo l’occasione di contare su artisti di grande spessore, duttilità ed espressività nonché indiscusso carisma.

Anna Caterina Antonacci regalerà un recital in cui passerà da Monteverdi a Poulenc, accompagnata dal maestro Francesco Libetta, raffinatissimo e aristocratico pianista ma al tempo stesso umilissimo e semplicissimo. Sono decine gli artisti grandi che si esibiranno a Martina Franca e in Valle d’Itria; in un anno in cui tutto era fermo abbiamo colto l’occasione per fare breccia nelle loro agende, improvvisamente e sorprendentemente, libere puntando anche sul fatto che questi artisti avevano tutti in cuore di venire almeno una volta al Festival di Martina Franca. Quest’anno non ci siamo lasciati sfuggire la possibilità, trasformando così l’ostacolo e la difficoltà che avevamo incontrato in opportunità. Certamente ognuno di questi artisti porterà un contributo indimenticabile a questa edizione del Festival che sarà perciò ricca di linguaggi e di stili, la voce avrà grande rilievo quest’anno. Possiamo permetterci di fare soltanto una produzione operistica, obbligati dalle norme contro l’epidemia di coronavirus, così porteremo le più grandi voci del mondo della lirica nei chiostri, nelle piazze, nelle masserie affinché cantino e risuonino in concerti che si integrino con la storia e l’ambiente naturale. Ci è parso che il nome adatto da assegnare a questa serie di concerti fosse “Il Canto degli ulivi” per tornare così alle radici mediterranee del Mito di Arianna, le nostre radici in fondo.

© Fondazione e Museo Pino Pascali a Polignano
© Festival della Valle d'Itria