Abbiamo incontrato, in una pausa delle prove di regia, Chiara Muti che cura la messa in scena dell’opera in questa apertura di Stagione. Non è la prima volta che la regista collabora all’opera con suo padre, già al Teatro dell’Opera di Roma avevano lavorato ad un allestimento di Manon Lescaut di Puccini, protagonisti Anna Netrebko e Yusif Eyvazov che proprio in quell’occasione si sono conosciuti e subito sposati.
Abbiamo fatto alcune domande a Chiara Muti sulla sua idea e sulle scelte di regia di Così fan tutte.
Così fan tutte è l’opera più moderna fra le tre di Mozart/Da Ponte, niente nobili, contadini, servitori - a parte Despina che è una domestica di casa civile – come si mette in scena quella che potrebbe essere una semplice commedia borghese?
E’ l’opera più metafisica fra tutte, a mio parere, anche se certo Don Giovanni richiama il mito e può valicare i tempi e i periodi storici e divenire assoluta. Le Nozze di Figaro invece è più legata al contesto storico sociale e al testo di Beaumarchais infatti anche i personaggi sono più convenzionali. Così fan tutte parla di noi, della nostra essenza del nostro rapporto con l’altro, di chi siamo anche indipendentemente dai sessi. C’è poi la disputa tra donne e uomini, sulle differenze tra il desiderio femminile e quello maschile, in particolare chi siamo noi in rapporto all’altro e come l’altro ci vede. Ne scaturisce una filosofia un po’ pirandelliana ante litteram, per questo in scena abbiamo creato una sorta di lanterna magica direi, un luogo nel quale le figure possono anche specchiarsi. Con la scenografa Leila Fteita abbiamo pensato a degli specchi nei quali la riflessione risulta un riflesso dell’immagine fisica e ad un tempo anche filosofica di sé stessi. Naturalmente non potevamo ignorare la natura, quest’opera respira di sentimenti e di riflessioni sull’Io e la natura deve essere partecipe e non può esserle negata una presenza importante. L’idea di un mare e di un cielo dei colori che, fin dalla nostra infanzia, ci riempiono di luce e di pensieri ma la natura è anche metafora sul pensiero profondo sull’essere uomo.
Quest’opera è davvero un compendio del disincanto amoroso…
Esattamente è l’opera del disincanto, l’ho intesa così. Il nostro ideale di un mondo perfetto e d’amore eterno assoluto in Così fan tutte svanisce; ma la forza di quest’opera e del genio mozartiano è che riesce a farci rivivere questi sentimenti ogni volta che la vediamo in scena. La forza dell’arte è proprio questa permetterci di provare di nuovo i momenti magici della nostra vita, pur consapevoli della fragilità e della fugacità dei sentimenti, intanto però li riviviamo.
Le due ragazze protagoniste all’inizio sono ferme e sicure del loro amore assoluto e si indignano delle parole e dei suggerimenti di Despina, che da popolana le spinge ad essere meno sognatrici e più ciniche; poi però crollano a fronte del corteggiamento dei fidanzati travestiti da Albanesi. Strano caso scelgono l’una l’amante dell’altra, erano coppie mal assortite allora?
Sicuramente, Mozart infatti ha fatto questo gioco già mettendo assieme all’inizio il baritono con il soprano e il tenore con il mezzosoprano quasi a sottolineare che le coppie formatesi poi con l’inganno erano quelle giuste. Ci fa capire che gli amanti amano veramente quando non dovrebbero e quando non è legittimo amarsi, ma poi chissà…un gioco nel gioco; Mozart suggerisce che solo travestendosi si scopre il vero sé stesso e si è riconosciuti. I due giovani pensano di condurre il gioco ma poi ci finiscono dentro e vengono gabbati e imbrigliati nella trama anche loro. Mozart conosceva molto bene questo meccanismo.
Due anni prima Salieri aveva scritto La Grotta di Trofonio che raccontava una vicenda simile. Vent’anni più tardi Goethe scriverà Le affinità elettive…
Ariosto nel ventottesimo canto dell’Orlando furioso racconta di un oste che ospita Rodomonte e riporta una storia in cui si dimostra che è molto difficile trovare donne fedeli. Chissà forse Mozart e Da Ponte conoscevano questo passaggio del poema. Un po’ quello che poi dirà Don Alfonso e le stesse donne in scena. Questa non è un’opera misogina, è una sorta di ‘Scuola degli amanti’; c’è grande amore verso le donne per la loro umanità e fragilità. Quasi un suggerimento ai due giovani per capire come amare nel modo migliore le donne per non rischiare di essere traditi.
Sono molto diverse le due sorelle?
Sì certo due caratteri totalmente diversi: Fiordiligi è più sensibile così come Ferrando, sono introversi e più pacificati. Guglielmo e Dorabella sono istintivi, veraci forse anche superficiali. Questa crolla per prima e Guglielmo è più disincantato dal tradimento. Ferrando invece resta imbrigliato, perché in realtà si innamora di Fiordiligi. Nel duetto tra Guglielmo e Dorabella si avverte sensualità, Tra Ferrando e Fiordiligi si sente il sentimento vero che li unisce infatti: le parole che Da Ponte aveva scritto per Ferrando in questo duetto “ah che omai la sua costanza incomincia a vacillar” ma Mozart cambia sua in mia e ci avverte che l’amore si è insinuato e ha preso posto nel cuore del giovane. Gli uomini come le donne cambiano idea e si perdono nelle trame amorose così come fanno le donne. Come dice Don Alfonso il tradimento è dovuto al desiderio e alla voglia di conoscere e sperimentare che appartiene a tutti. Il tradimento non è necessariamente fisico ma anche cerebrale, è legato al desiderio. Forse la fedeltà stessa ha bisogno dell’infedeltà per essere fedele…(ride)
E Don Alfonso? E’ il personaggio più realistico?
Questa è un’opera che possiamo considerare di ogni tempo per questo ho messo in scena delle figure che potrebbero appartenere a tutte le epoche. Una storia che verrà raccontata sempre ed in eterno; l’unico che appartiene al ‘700 è sicuramente Don Alfonso. E’ un illuminista, filosofo, cerca di riportare l’istinto alla ragione è decisamente legato al suo tempo.
E Despina? Rappresenta un omaggio, una citazione della Commedia dell’arte?
Secondo me Despina è una disillusa dall’amore, come tanti, che decide di utilizzare la sua esperienza a suo vantaggio per sopravvivere al meglio. Tutta la letteratura del ‘700 è piena di personaggi che le assomigliano. La femminilità comunque si scontrerà sempre con l’uomo e le sue contraddizioni: la morale è in fondo che donne e uomini sono eterni incompresi e forse proprio per questo motivo si ameranno perennemente.
Il maestro Muti sostiene che l’ambientazione napoletana dell’opera sia casuale. Mozart e Da Ponte, fra le altre fonti avevano tratto ispirazione da una vicenda a loro contemporanea che era accaduta a Neustadt vicino a Vienna così si pensò, per discrezione, ad ambientare la storia a Napoli – Neapolis - (Neustadt in tedesco).
La mia ambientazione è un luogo della mente nel quale Don Alfonso muove le sue pedine per risvegliare i ragazzi a quella che è la maturità e al cinismo all’abbandono dell’ideale. Qui conta la luce, e nella luce c’è il mare e la trasparenza. Il mare è anche il mare di Napoli; Mozart conosceva Napoli e forse ricordava la sensualità e l’istintività di questa terra. Per lui era la città giusta in cui ambientare la storia di Così fan tutte. Però l’unico momento dove si parla espressamente di Napoli e si fa riferimento al territorio è quando Dorabella dice “un Vesuvio dentro mi sento scoppiar”. Io penso che ci sia stata una scelta di questo tipo: Napoli come patria della sensualità e terra di temperamento e istinto.