Nella sua bella intervista pubblicata qualche settimana fa, Michele Mariotti sottolinea che “Qualche secolo fa l’Italia era l’ultimo posto in quanto a lettura di libri perché la gente andava a teatro, la gente si aggiornava, stava a spasso con il mondo andando a teatro, s’impreziosiva e si rinnovava passando ore in teatro.” Mette in evidenza la valenza del teatro come centro culturale di una città, che contribuisce all’educazione e all’acculturazione della gente. Si potrebbe dire lo stesso dei musei, e di altre strutture culturali. Perché il dovere dello Stato e delle collettività pubbliche è di migliorare la situazione della popolazione ad ogni livello. Le recenti decisioni del Presidente degli Stati Uniti sul bilancio- la cultura è semplicemente cancellata- rischiano, secondo Peter Gelb, il manager del MET di portare notevoli difficoltà alle istituzioni culturali statunitensi. La cultura e il suo potere per trasformare l’individuo, per farlo evolvere, per aiutare a guardare il mondo con altri occhi non è certo oggi la preoccupazione maggiore dei nostri politici, che ne hanno paura. In un paese che ha visto nascere l’opera lirica e che ha sempre avuto una vera cultura del teatro, sembra sempre poco ammissibile che il direttore musicale di un teatro tra i più prestigiosi dica che bisogni fare “nozze con fichi secchi”.
Non siamo pero ingenui da credere che la cultura risolva tutto, perché la storia dimostra che la cultura non ha mai impedito nulla, in particolare nei periodi più cupi della storia mondiale. Pero meglio scommettere che al suo posto, la cultura contribuisca ad aiutare l’umanità.
Nel nostro mondo, sembra che aldilà delle promesse (ma le promesse impegnano solo quelli che ci credono) e degli eventi come l’inaugurazione del Teatro alla Scala dove ogni VIP oppure ogni politico dice ripetutamente le banalità dovute, il teatro che interroga la città, che interroga i tempi si allontani.
Il teatro, dai tempi dei greci, interroga il mondo, gli dei, e gli uomini, quindi disturba. E sembra che renderne conto sia trascurabile e poco redditizio : il posto riservato agli spettacoli e soprattutto alla critica diventa sempre più ridotto nella stampa, e i primi giornalisti buttati fuori dai piani regolatori dell’economia mediatica della stampa scritta sono quelli dello spettacolo, che sia in Italia, in Francia o in Germania. Tutti sono diventati collaboratori esterni, come se lo spettacolo non meritasse une linea, un punto di riferimento, come se fosse un “più” facoltativo dopo tutto il resto. Perché lo spettacolo disturba se non è consensuale. Oggi infatti disturba un teatro che possa essere la vedetta del mondo. Perché il nostro mondo odia la lungimiranza per preferire il “tutto subito”, odia il pensiero per preferire l’evento.
Come diceva Arthur Rimbaud, il poeta deve rubare il fuoco. Lo stesso per il teatro che non può essere che la cattiva coscienza dei nostri tempi.