Gaetano Donizetti (1797–1849)
L'Ange de Nisida (1839)
Opera in quattro atti di Alphone Royer e Gustave Vaëz
Prima rappresentazione assoluta in versione scenica
Prima esecuzione : Londra, Covent Garden, 18 luglio 2018

Edizione a cura di Candida Mantica (realizzazioni di Martin Fitzpatrick) © OperaRara / Peters, Lipsia ; rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
Cabaletta inedita a cura di Candida Mantica (realizzazione di Federico Biscione) © Fondazione Teatro Donizetti

Direttore Jean-Luc Tingaud
Regia  Francesco Micheli
Scene Angelo Sala
Costumi Margherita Baldoni
Lighting design Alessandro Andreoli

Orchestra Donizetti Opera
Coro Donizetti Opera
Maestro del coro :  Fabio Tartari

Don Fernand d'Aragon Florian Sempey
Don Gaspar Roberto Lorenzi
Leone de Casaldi Konu Kim
La comtesse Sylvia de Linarès Lidia Fridman
Le Moine Federico Benetti

Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo

Bergamo, Teatro Donizetti, 16 novembre 2019

Il Donizetti Opera Festival di Bergamo, come quello di Pesaro, è legato ad una fondazione che stabilisce edizioni critiche delle opere del compositor per poi rappresentarle. Questo modello, applicato anche al Festival Verdi di Parma, ha un valore particolare a Bergamo, prima per la vastissima produzione di Donizetti (più di 70 opere, senza contare le opere sacre), poi per la cura degli allestimenti, nonostante finanziamenti ridotti et nonostante le difficoltà attuali derivanti dalla ristrutturazione del Teatro Donizetti, che costringe a usare il più piccolo Teatro Sociale, nella parte alta della città, più difficilmente accessibile e soprattutto con una capacità molto minore. Ed è sempre stimolante conoscere opere rare o addirittura mai rappresentate.

È il caso de L'Ange de Nisida, del 1839, un'opera che non vide mai la luce, pur essendo pressappoco pronta per la rappresentazione, dopo il fallimento del Théâtre de la Renaissance che l'avrebbe ospitato. Donizetti utilizzò rapidamente la musica usando della stessa storia ne  La Favorite nel 1840, una delle sue opere più importanti. Così L’ange de Nisida, mai rappresentata, se non in concerto a Londra nel 2018, viene rappresentata a Bergamo in condizioni molto particolari, per la prima volta al mondo in versione scenica. Ed è una splendida sorpresa.

Sarebbe troppo lungo raccontare la storia dei dieci anni di lavoro di puzzle musicale che ha passato la giovane ricercatrice Candida Mantica per ricostruire l'opera L'Ange de Nisida, la maggior parte dei cui documenti sono alla Bibliothèque Nationale de France, in totale disordine, per non parlare del lavoro di realizzazione svolto da Martin Fitzpatrick, ma è comunque necessario specificare alcuni punti per chiarire la natura di questo lavoro.
È su commissione di Anténor Joly, direttore del Théâtre de la Renaissance, spinto dal successo di Lucie de Lammermoor, la versione francese creata nel suo teatro, che Donizetti si mise al lavoro. Era necessario navigare tra varie insidie nate dalla presenza monopolistica dei due altri grandi teatri parigini, che avevano nome Opéra de Paris (per il Grand-Opéra), e Opéra-Comique (per opere con dialoghi parlati). Era quindi necessario inventare un altro tipo di opera, l’opéra de genre, a metà strada tra l'una e l'altra e quindi passare tra le gocce dei privilegi delle grandi istituzioni musicali. Donizetti scrisse una musica originale, utilizzando molto materiale lasciato da Adelaide, un progetto che non fu completato intorno al 1834. Il libretto è ispirato a quello di Adelaide e Comingio di Giovanni Pacini e Les Amants malheureux, ou le comte de Comminges di François-Thomas-Marie di Baculard d'Arnaud.
La storia è la stessa di quella de La Favorite, creata nel 1840 all'Opera di Parigi, anche se i personaggi hanno nomi diversi, e mostrano anche comportamenti e caratteri significativamente diversi. Donizetti era infatti rimasto con la sua partitura quasi ultimata, quando il Théâtre de la Renaissance andò in bancarotta. La utilizzò quindi in parte per La Favorite, mantenendo la stessa storia, ma trasferita in Spagna nel Medioevo.

La storia de L'Ange de Nisida si svolge a Napoli (Nisida è una piccola isola del Golfo) e racconta la storia di Sylvia de Linares, l'amante del re, che si innamora di Leone di Casaldi, un giovane soldato di ritorno dall'esilio. Il re, minacciato di scomunica dal Papa per la sua relazione con Sylvia, decide di far sposare Sylvia con Leone, il che fa impazzire di felicità il giovane soldato, ma non sa chi sia Sylvia né la manovra del re di elevare Leone allo status di ambasciatore, per allontanarlo e quindi tenere Sylvia a Napoli…
La situazione viene rivelata a Leone il giorno del suo matrimonio. Inorridito, egli restituisce i suoi titoli e va in convento. Lo stesso giorno in cui diventa frate, appare Sylvia, morente, supplicandolo di perdonarla. Lui perdona e lei muore.
Il titolo L'ange de Nisida si riferisce a Sylvia venerata per la sua gentilezza/bellezza dagli abitanti dell'isola di Nisida, per accentuare il contrasto tra il nobile carattere di questa donna e il suo status di puttana del re. Essere ed apparenza, cattivi commenti della corte (molto importanti nell’opera), manipolazione di una donna da parte dei potenti (re, chiesa), ecco gli elementi che sporgono in quest'opera.

Musicalmente, a parte gli elementi conosciuti attraverso La Favorite, è un'opera di maturità, molto ben costruita, che si avvicina molto al Grand-Opéra, per la lunghezza (più di tre ore), per l'importanza del coro, per il respiro della musica. Ci sono solo cinque cantanti, tenore e soprano, due bassi baritono, un basso. Quattro uomini e una donna.L’opera è caratterizzata da bellissimi momenti d'insieme e da un atto finale veramente straziante, che Donizetti riprenderà completamente ne La Favorite. Una musica forte, a volte anche più forte di La Favorite. Voci e personaggi sono significativamente diversi nelle due opere : quello di Sylvia è un soprano, con un colore piuttosto scuro, fragile e intenso, il re è nelle prime tre parti (atti) il personaggio più importante, ancora più cinico che ne La Favorite e anche un po' più fragile (terza parte), relativamente codardo, insomma un carattere singolarmente negativo, quelle che non poteva piacere alla censura napoletana.

Il dispositivo delle due prime parti (scene Angelo Sala)

Don Gaspar è senza dubbio colui che viene trattato nel modo più originale, un profilo comico all'inizio, sicuro di sé e un po' ridicolo, una specie di sotto-Figaro, che manovra e cerca di approfittarne. Personaggio che apre l'opera in una sorta di leggerezza che gradualmente svanisce per diventare cattiveria vera.
E poi il monaco (Balthasar ne La Favorite) legato al padre di Leone : protegge il giovane mostrandogli che il re lo tradisce e alla lo recupera per il convento.

Il libretto è piuttosto cinico, celebra ovviamente una volta di più la sconfitta della donna (frequente all’opera), il potere marcio che abusa dei più deboli, una corte sprezzante e famigerata nei confronti di Sylvia (mentre la gente comune la celebra e la adora) e un giovane innocente e innamorato che affronta le tenebre del mondo, recuperato dalla chiesa alla fine. Non c'è da stupirsi se Donizetti, con un tale libretto, avesse capito che fosse più adatto a Parigi che a Napoli, dove la censura lo avrebbe inevitabilmente ostacolato.
Per questo monumentale Ange de Nisida, nuovo alle nostre orecchie e che ci ha sedotto in tutti i sensi, Francesco Micheli, che ha messo in scena lo spettacolo, ha deciso di sferrare un colpo non proponendo lo spettacolo nel piccolo Teatro Sociale, del tutto inadeguato, ma nel Teatro Donizetti, ancora in restauro (che aprirà nel settembre 2020), installando i cantanti sulla platea vuota, gli spettatori nei palchi e tribune metalliche costruite sul palcoscenico e l'orchestra nella buca, ma in senso inverso. L'impressione è quella di un anfiteatro, di "giochi circensi" pieni di rilievo, al centro del dispositivo.
E Micheli interprete questa storia, lavorando sia sul luogo affascinante nella sua incompletezza, sulla storia della partitura, sia sulla trama, che diventa così quasi epica per l'enorme spazio ad essa dedicato. Si può intuire l'eccitazione degli artisti e del pubblico davanti a tale impresa. Ed è triste che sei settimane di prove si traducano in due sole rappresentazioni, dove si meriterebbe il doppio o più.

L'opera non ha quattro atti (un Grand-Opéra normalmente ne ha cinque), ma quattro parti (sempre questo navigare tra le forme riservate ai grandi teatri parigini), e lo spettacolo è chiaramente diviso in due momenti. Le prime due parti si concludono con l'annuncio dell'imminente matrimonio di Leone e Sylvia, e la trappola che ne consegue. Per questa prima parte, il coro è in quarta fila di palchi, in alto, commentando la trama, ammirando Sylvia come una sorta di benefattrice di Nisida. La messa in scena la rappresenta come un Angelo (e il fisico molto esile di Lidiia Fridman si adatta bene a questa visione), un angelo "ingessato" in un costume che la trasforma in idolo,

Lidiia Fridman (Sylvia), angelo ingessato e iconico…

in statua che il re distruggerà, lasciando apparire il suo corpo fragile esposto al mondo e al pubblico. Inoltre, il coro interviene lanciando regolarmente sul palco volantini, carte dall'alto o fiori, dando un po' di vivacità e creando interazioni con il pubblico che cerca di acchiapparli.

Perché la carta è anche uno dei punti di riferimento della messa in scena : il pavimento è disseminato di carte disordinate, è un’immagine metaforica della ricerca che presiedeva alla ricostruzione della partitura, una sorta di immagine di quello che era L'Angelo di Nisida prima del lavoro editoriale, ma anche un'immagine della situazione disordinata dell'opera all'inizio della prima parte : una donna venerata dal popolo dell’isola, un re che la visita in segreto, un soldato esiliato presente clandestinamente e follemente innamorato, un ciambellano che annoda i nodi del complotto spingendo il soldato a chiedere misericordia al Re sulla via del ritorno a Napoli, e una Sylvia innamorata in segreto di Leone che cerca di persuaderlo a non esporsi e a porre fine a questo amore impossibile.
L'innesco è il monaco, amico del padre di Leone, che quindi protegge da lontano il giovane soldato, ma che è anche inviato anche dal Papa e che minaccia di scomunicare il re per la sua vita dissoluta. Il ciambellano Don Gaspar propone al re la soluzione : far sposare Sylvia con il giovane Leone, che il ciambellano sapeva essere innamorato.

Roberto Lorenzi (Don Gaspar il ciambellano) e i seguaci

Micheli propone una visione al tempo stesso leggera e cinica : il re è accompagnato da quattro seguaci che disturbano, attaccano, si fanno beffe, un po' come gli scagnozzi di un padrino mafioso e tutto si muove senza alcun ordine apparente, dove re e ciambellano, uno in nero e l'altro in bianco come un leggero e pericoloso mago da circo, formano una coppia cinica e solidale alla Don Giovanni/Leporello, il ciambellano rispondendo della sua vita in quello che sta facendo per il re.
La seconda parte (parti III e IV) è molto diversa. Il pavimento di carte disordinate scompare per un pavimento traslucido, riflettendo i palchi illuminati, le luci o i personaggi, dando un aspetto magico all'immagine d'insieme per la cerimonia di nozze a corte, la scena più spettacolare dell'opera. E la messa in scena prende un'altra piega. Innanzitutto, i personaggi principali della prima parte spariscono : Don Gaspar rimane sul palcoscenico quasi da spettatore. Lo stesso re scomparirà alla fine della terza parte sopraffatto dall'intervento del monaco e dalla reazione di Leone. Infatti, sono sia il coro che Leone ad avere il ruolo principale.

Nozze di carta (Parte III)

Il coro è la corte, ora sceso giù dal quarto ordine di palchi sul palcoscenico, cortigiani che entrano in modo maestoso, per le nozze di Leone e Sylvia, vestiti da meravigliosi costumi commentando la cerimonia e lo scandalo a venire. La visione della corte, maliziosa, crudele, gelosa, è di una violenza piuttosto rara.  Margherita Baldoni ha disegnato i costumi di corte in carta, quella robusta e rigida carta da regalo, che dona al coro una rigidità da burattino, in un finto splendore. Questa carta (l'effetto è incredibile) è anche simbolica : è il segno di tutto ciò che è apparenza, di tutto ciò che si strappa facilmente, come i matrimoni fragili, i cosiddetti "matrimoni di carta". Infatti, alla fine della scena, la corte lascia cadere i costumi di carta che dissemineranno il palcoscenico fino alla fine dello spettacolo, come immagini dell'effimero (tra l’altro il personale di sala distribuirà all'uscita al pubblico pezzi strappati) e dell'apparenza.

Parte IV

Dopo questa spettacolare scena inizia l'ultima parte, molto più austera, che si svolge nel convento, dove Leone è stato accolto dal monaco, per le scene sconvolgenti tra Leone e Sylvia : sul palcoscenico non c'è più nulla se non i costumi di carta sparsi per terra, e un tappeto quadrato, che nasconderà il pavimento traslucido, come uno spazio limitato dove tutto finirà. Sono scene di un romanticismo esacerbato dove Leone è pronto a un moine pronto a rinunciare a sua promessa per seguire Sylvia, che sta morendo (la drammaturgia non manca di ricordare la scena finale de La Forza del Destino) e Micheli immagina la fine di Sylvia come una trasfigurazione particolarmente commovente, evidenziando poi in proiezione il frontespizio dell'edizione dell'opera, con in scena un busto di Donizetti, poiché la serata celebra dopo tutto la prima di un'opera sconosciuta al maestro bergamasco.

Florian Sempey (Don Fernand, il re) sotto il lampadario di cristallo sceso quasi a terra (fine parte II)

Tutto questo allestimento molto efficace rimane molto tradizionale in quanto segue scrupolosamente il libretto, utilizzando le consuete leve dell'emozione e dell'azione – come un romanzo alla Alexandre Dumas – ma colloca il libretto nell'affascinante spazio del teatro, utilizzando la sua struttura, il suo lampadario di cristallo, il tutto esaltato dalle luci (o “lighting design”) di Alessandro Andreoli ed è proprio nell'occupazione dello spazio, nelle idee nate dalle luci, nei colori utilizzati, negli aspetti estetici e formali che lo spettacolo prende la sua piena valenza, in particolare anche attraverso l'uso appropriato di proiezioni sul suolo che illustrano abilmente le molle della trama o la psicologia dei personaggi. È uno spettacolo molto "italiano" dove predominano l'estetica e l'eleganza ma anche il senso dello spettacolo, con idee molto efficaci, che danno a questo Ange de Nisida il segno di un grande spettacolo, pieno di sorprese, che sa coinvolgere il pubblico, farlo sentire nella trama e nel dramma, e farlo vibrare all'unisono con una musica sontuosa ed esaltata da un cast esemplare. Che successo ! Deploriamo solo uno spettacolo effimero, proposto solo due volte (tre volte con la prova generale "under 30") e che potremmo anche immaginare in spazi non teatrali (fabbriche dismesse, capannoni ecc.…). È qualcosa a cui pensare perché è uno spettacolo che può attrarre anche un pubblico non specializzato.

Il dispositivo con l'orchestra in fondo (Parte II)

Musicalmente, è uno spettacolo particolarmente elaborato, che non è stato messo a posto senza difficoltà. Lo spazio di esecuzione multidirezionale rende non necessariamente facile seguire il direttore, lontano nella buca, perché i cantanti sono molto più lontani dal direttore che se si trovassero sul palcoscenico e questo può causare lievi disguidi ed è lo stesso per il coro, ma le cose sono andate piuttosto bene. L'altra difficoltà è l'acustica, il suono molto riverberante della sala, gli echi, il modo in cui arriva nei palchi dove si trova il pubblico e molto diverso dal modo in cui arriva sui gradini del palcoscenico dove deve arrivare in modo molto diverso, come dal modo in cui arriva al direttore d’orchestra.

Questi problemi reali, che devono sorgere in modo diverso per ogni scena a causa dei movimenti e del volume variabile della musica, non sono facili da affrontare, ma il risultato è comunque convincente. Innanzitutto perché la produzione stessa funziona così bene che le questioni acustiche sembrano secondarie. È chiaro che i protagonisti sono più o meno udibili a seconda del loro posto, a seconda della direzione in cui proiettano la voce, ma siccome ci si muove sempre, senza mai movimenti “convenzionali” dei cantanti perché Micheli ha lavorato molto su movimenti e gesti, le cose sono fluide.
Il coro diretto da Fabio Tartari ha un grande spazio nell’opera e ha fatto un magnifico lavoro di fraseggio e dizione, molto chiaro, si capisce molto bene quello che canta, sa modulare i volumi, e ha una vera presenza, sia nella prima parte dove canta dal quarto ordine di palchi, lasciando lo spazio scenico ai protagonisti, perché è in una posizione di spettatore/commentatore e non di attore. Ma, sceso giù dai palchi diventa attore nella terza parte dove la sua presenza è decisiva (movimenti molto belli, ben coreografati). E raggiunge un grande successo meritato.

Anche l'orchestra è davvero notevole, Jean-Luc Tingaud è riuscito a controllare il volume e le inflessioni, a non essere mai invadente, ma sempre presente, sempre elegante, seguendo passo dopo passo i cantanti nelle difficili condizioni sopra descritte, che è una vera e propria performance.
E' perfettamente seguito da un'orchestra molto bella, con solidi solisti (fiati e ottoni, mai chiassosi), e riesce a dare all'opera non il colore del “Grand-Opéra”, ma proprio quel colore "di mezzo", tra “Grand-Opéra”e “Opéra-Comique” perché sa anche essere lirico quando è necessario, dolce quando è necessario e spettacolare quando è necessario senza che lo spettacolo sia troppo brillante, o il suono troppo invasivo. Un bel lavoro, molto elaborato sullo stile musicale. Per un'opera ibrida come L'Ange de Nisida, questo corrisponde a un lavoro da orafa sulla partitura.

Cinque cantanti quasi tutti protagonisti.
Il monaco di Federico Benetti ha la parte meno importante anche se interviene nei momenti chiave. La voce proietta bene, anche se il timbro è leggermente opaco ; il francese è chiaro, e la presenza scenica affermata. Bella performance.

Roberto Lorenzi (Don Gaspar)

Roberto Lorenzi è Don Gaspar ed è una bella sorpresa : ecco un cantante-attore svelto, molto espressivo, con voce ed emissione impeccabili, e dotato di un'ottima dizione francese, senza errori, con fraseggio esemplare. È il secondo ruolo francese che canta, che richiede molto colore e molta espressività (come tutti i ruoli dove l'espressione comica è importante). È un lavoro notevole, perché è un vero personaggio, ridicolo e ambiguo, codardo e cinico, e Lorenzi riesce a rendere tutte queste sfaccettature.

Konu Kim (Leone di Casaldi)

Konu Kim è Leone. È forse quello che ha più difficoltà, soprattutto nelle prime due parti (le parti III e IV sono molto meglio), i passaggi verso gli acuti sono più difficili, la voce cambia a seconda che canti nel centro o che vada verso l’acuto, e il timbro non è molto attraente. La parta è difficilissima, che può essere più adatta a voci come quella di John Osborn (un leggendario Fernand de La Favorite) o di Enea Scala. Tuttavia, riesce meglio e in modo più omogeneo nell'ultima parte, con acuti più potenti e chiari, con vera e propria linea di canto. Ha cantato Tonio da La Fille du Régiment a Londra.…audace.

Lidiia Fridman (Sylvia de Linares)

La giovane (giovanissima) cantante russa Lidiia Fridman ha sostituito Carmela Remigio nell'Ecuba di Manfroce a Martina Franca. Sembra anche avere più difficoltà a scaldare la voce nelle prime due parti, soprattutto nell’acuto, che a volte rimane un po' corto, anche se  i centri sono molto belli, di colore piuttosto scuro e molto espressivo.
Nelle ultime due parti, in particolare nella quarta parte, è totalmente convincente e soprattutto molto commovente, anche perché il suo fisico molto fragile, quasi adolescenziale, aiuta a credere in questo personaggio schiacciato e lacerato. La voce ha guadagnato in omogeneità, con acuti più spettacolari, fraseggio impeccabile e francese comprensibile. Trionfo veramente meritato. Una carriera da seguire.
Infine, Don Fernand d'Aragon, il re, è interpretato da Florian Sempey. Incarnato è la parola giusta perché è a suo agio con questo personaggio cinico, inconscio, innamorato e pronto a tutto per conservare la sua amante. È un giovane re, pieno d’energia, corre e si muove sempre conferendo a questo personaggio un aspetto completamente diverso da quello che ci aspettiamo se ci si riferisce a La Favorite, che Sempey ha già cantato. La voce è semplicemente sontuosa, lavora su ogni parola, con inflessioni e colori diversi, sa controllare perfettamente i pianissimi, ha acuti impeccabili, una linea di canto e una dizione ovviamente perfetta. A mio parere, è uno dei suoi ruoli migliori e c'è da sperare che in futuro sarà in grado di interpretarlo perché ha fatto vedere tutte le possibilità della voce con una recitazione impeccabile. Davvero straordinario.

Florian Sempey (Don Fernand) re di carta

La conclusione è semplice : quest'opera bellissima deve cominciare una carriera nei teatri d’opera, in Italia e all’estero, in particolare in Francia, e a Parigi, dove avrebbe dovuto nascere. Anche questa produzione bellissima di Francesco Micheli deve vivere aldilà di due repliche, perché da respiro ad una produzione operistica in generale spesso convenzionale.
La nascita de L’Ange de Nisida è di sicuro la migliore notizia di quest’edizione 2019 del Festival Donizetti.

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