Vincenzo Bellini (1801–1835)
Il Pirata (1827)
Opera seria in due atti
Libretto di Felice Romani dal dramma Bertram, ou le pirate d’Isidore J. S. Taylor.
Prima assoluta a Milano, Teatro alla Scala, il 27 ottobre 1827

Esecuzione a forma di concerto

 

Direzione musicale Daniele Callegari
 
Ernesto Franco Vassallo
Imogene Roberta Mantegna
Gualtiero Michael Spyres
Itulbo Kim Hun
Goffredo Roberto Scandiuzzi
Adele Alexandra Dobos-Rodriguez
Coro del Grand Théâtre de Genève
Maestro del coro Alan Woodbridge
 
Orchestra Filarmonica Marchigiana

 

Grand Théâtre de Genève, domenica 24 fabbraio 2019

Il repertorio del Belcanto è relativamente raro fuori d’Italia, ad eccezione delle grandi opere popolari come Lucia di  Lammermoor. E Bellini perlopiù è conosciuto per tre titoli, Norma, I Puritani (che al Grand Théãtre sono apparsi qualche anno fa) e La Sonnambula. Anche un titolo che pure è  popolare come I Capuleti e i Montecchi appare poco sulle scene europee (è vero però che richiede un mezzo e un soprano d’eccezione). Ma chi conosce La Straniera, Adelson e Salvini, Beatrice di Tenda, Bianca e Fernando ?
Callas e Caballé hanno difeso Il Pirata, primo successo di Bellini alla Scala nel 1827, tornato sulla scena scaligera la stagione scorsa in una produzione il cui interesse era l’Imogene di Sonia Yoncheva, che si alternava (anche nella stessa serata) con con un giovanissimo soprano, Roberta Mantegna, cantnate ormai entrata nella corte delle grandi. Ed è questo giovane soprano che ha sostituito a Ginevra Marina Rebeka, facendo esplodere la sala di applausi, in una versione concertante di quest'opera belliniana relativamente poco conosciuta che si farà ricordare. 

Tutto il cast, il coro e l'orchestra il 24 febbraio al Grand Théâtre de Genève

Il soprano ama il tenore ma è la sposa del baritono, suo nemico di sempre : ecco, per semplificare, il soggetto de Il Pirata che applica uno schema ben noto delle opere romantiche e verdiane. Per scendere a maggiori dettagli, il libretto di Felice Romani è tratto da un melodramma di Isidore Justin Severin Taylor, Bertram ou le pirate, creato a Parigi nel 1822 e a sua volta tratto da una tragedia dell’irlandese Charles Maturin, Bertram or the Castle of St. Aldobrand (1816), tradotto in francese da Charles Nodier e Isidore Justin Severin Taylor nel 1821. Come spesso accade, le opere belcantistiche trovano le loro sorgenti in molteplici drammi e tragedie pubblicate e rappresentate a Parigi durante quegli anni.

La trama in breve. Sicilia, XIII° secolo. Nella guerra che oppone Manfred e Charles d’Anjou, il conte Gualtiero di Montaldo è cacciato dalle sue terre da Ernesto duca di Caldora. E diviene un temibile pirata. Lascia la donna amata, Imogene, e questa per salvare il padre accetta di sposare Ernesto dal quale avrà un figlio. Un giorno sopravviene una tempesta che getta Gualtiero sulle rive della Sicilia… Tutto finirà male : Gualtiero, che ha ucciso Ernesto in duello, viene condannato a morte e Imogene impazzisce (la follia nel Belcanto è spesso il magnifico pretesto di acrobazie vocali vertiginose). La storia de Il Pirata è tutta qui. Ci si chiede che tipo di messinscena può sostenere una storia simile, ma questa è la scommessa di tante opere dell’epoca che si sostengono solo su voci e personalità sceniche straordinarie.
E’ stata dunque una buona idea proporre Il Pirata nel corso delle manifestazioni per la riapertura del Grand Théatre di Ginevra, apertura segnata dal Ring di Wagner ma lasciando spazio anche al repertorio italiano.  E infatti è sembrato che la comunità italiana di Ginevra si sia data appuntamento in teatro in questa domenica pomeriggio, con grida gioiose tipo “Viva l’Italia”  o “sei grande” senza contare le innumerevoli “Brava”.
Altra buona idea è stata di proporne una versione concertante, la qualità dell’esecuzione non ha fatto rimpiangere una messa in scena che forse non avrebbe giovato alla proposta.

Senza dubbio, poiché l’Orchestre de la Suisse Romande era impegnata nel Ring, il Grand Théãtre ha preferito affidare l’esecuzione a un’orchestra italiana. E ha scelto una delle compagini regionali che si battono valorosamente per difendere la tradizione e il repertorio italiano nei loro territori. Si è trattato dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, il cui direttore principale è Houbert Soudant, che percorre la regione Marche, ricca di numerosi e bellissimi teatri, con opere e concerti sinfonici ; e che dunque ha questo repertorio nel suo dna. A Ginevra, sotto la guida di Daniele Callegari, ha dimostrato che l’Italia, più famosa all’estero per i suoi direttori e solisti che per le sue orchestre, ne possiede alcune di notevoli e con prime parti di classe come si è potuto notare in questo caso. In ampia formazione sinfonica, la Filarmonica marchigiana ha sfoggiato una particolare eleganza, una capacità di affrontare in maniera sottilmente lirica le melodie belliniane senza mai schiacciarle sotto il peso del volume sonoro. Ciò grazie al lavoro di un direttore esperto qual è Daniele Callegari che ha saputo perfettamente equilibrare il rapporto voci-orchestra come non sempre avviene nelle esecuzioni concertanti. E’stata così esaltata la raffinatezza della partitura, rivelando le qualità singolari del giovane Bellini (nel 1827 aveva 26 anni) che cercava di affermare una sua personalità e di distinguersi dalla tradizione rossiniana allora in piena gloria. Callegari è un direttore molto attento alle voci, che le sostiene e sa prevenire le eventuali carenze o i momenti rischiosi, e che rappresenta una vera sicurezza per i cantanti. Ma non solo : quello che ha presentato a Ginevra è un Bellini energico e vivace oltre che lirico e malinconico, in un’opera che instaura un nuovo stile pur citando quello di Rossini. Se l’Ouverture segna una liberazione in rapporto alla tradizione del grande antenato (ci sono peraltro solo nove anni di differenza fra i due compositori) la famosa “stretta” finale rimanda all’universo rossiniano, come pure il finale del primo atto che la riprende ; ma le ultime battute del secondo annunciano chiaramente gli schemi belcantistici tipici di Bellini e di Donizetti, con l’Aria e la Cabaletta pirotecnica che chiudono l’opera sull’eroina.
Per contro, mentre il coro non è molto impegnato con il Ring, quello del Grand Théãtre diretto dall’eccellente Alan Woodbridge ha potuto prepararsi bene per Il Pirata e offrire una prestazione d’alto livello sia nel volume, sia nel fraseggio come nella chiarezza della dizione e dei colori. L’inizio, in particolare, ricorda quello dell’Otello di Verdi (è la stessa situazione di una nave in difficoltà con il popolo che dalla riva ne segue inquieto e impotente lo svolgersi). E afferma immediatamente la tempesta come elemento ad un tempo romantico e metaforico di quanto avverrà in seguito.

Le forze di orchestra e coro hanno insomma difeso l’opera a un livello di qualità eccezionale. Ma va pure detto che la compagnia di canto era di quelle che potrebbero esibirsi senza problemi nei teatri più reputati per il Belcanto, dalla Scala alla Fenice di Venezia e beninteso al San Carlo di Napoli.

Vi sono nell’opera due ruoli di complemento, qui interpretati da cantanti appena usciti dalla fase di formazione : Adele, la fantesca d’Imogene, affidata ad Alessandra Dobos-Rodriguez che soprattutto all’inizio dell’atto ha sfoggiato una bella e omogenea linea di canto. Impresa non facile perché deve per la maggior parte del tempo cantare contemporaneamente al coro ed esige una proiezione salda per emergere. Vi è poi la parte di Itulbo, il compagno di Gualtiero, nella quale il tenore Kim Hun si è distinto per la voce chiara e per una bella dizione anche se il suo canto è ancora poco espressivo.

Roberto Scandiuzzi

Roberto Scandiuzzi ha interpretato Goffredo, l’eremita che al primo atto riconosce Gualtiero salvato dalle acque, con l’autorevolezza che gli viene dalla grande carriera di uno dei bassi italiani più ammirati. E se l’acuto è un po’ velato e la voce ha perduto un po' del suo bronzo, si afferma per il fraseggio e la tinta di un grave tuttora ben presente e sonoro. Nella registrazione Emi de Il Pirata con l’Imogene della Caballè, Goffredo era il giovane Ruggero Raimondi. Qui, l’aver offerto questo ruolo a una voce che ha alle spalle un'intensa carriera corrisponde perfettamente al carattere musicale del personaggio.

Franco Vassallo

Franco Vassallo, uno dei baritoni italiani più ammirati, è tornato nella parte di Ernesto de Il Pirata al Grand Théãtre, dove si era già fatto applaudire ne I Puritani, nel Macbeth e in Rigoletto e dove si presenterà ne Un ballo in maschera nel prossimo maggio. La sua vigorosa personalità vocale, dagli acuti trionfanti, salda e ben proiettata, fa di lui decisamente la voce perfetta del cattivo. Peccato che abbia qualche problema nelle agilità e nelle cadenze, ma forse il ruolo non gli conviene più, almeno dal punto di vista stilistico.

Michael Spyres

Tenore che si dedica soprattutto ai ruoli del repertorio tra fine Settecento e metà Ottocento i quali richiedono agilità, sovracuti e forte ornamentazione (ma versatile e capace di cimentarsi in ruoli che non gli sono abituali, tra cui Florestano nel Fidelio)  Michael Spyres ha dominato il personaggio di Gualtiero con la sua voce maschia nel registro centrale e luminosa in quello acuto, rivelandosi artista di  grande livello, dotato di fraseggio e dizione impeccabile come tutti i cantanti americani.  Eroe byroniano per eccellenza, Gualtiero (ruolo creato per Rubini) esige un canto energico, dei centri solidi, una linea omogenea e soprattutto la capacità rara di salire all’acuto e al sovracuto (nessun tenore in disco ha saputo rispondere a queste esigenze). Spyres ha affrontato il ruolo, uno dei più esposti del Belcanto e di rottura con la tradizione, all’inizio attraverso acuti sicuri ma tesi, poi la voce a poco a poco si è scaldata fino a raggiungere perfetto controllo ed espressione nell’Aria finale e Cabaletta “Ma non fia sempre odiata la mia menoria”. E ha ottenuto un meritato trionfo. E’ un artista eccezionale, da segnalare a chi programma Mayerbeer o il Verdi francese per un Henry dei Vêpres Siciliennes.

Roberta Mantegna

Roberta Mantegna, chiamata a sostituire Marina Rebeka indisposta (così come aveva sostituito alla Scala una Sonya Yoncheva colpita da un calo di pressione) ha vestito i panni di Imogene nella recita domenicale, non solo ottenendo un trionfo sicuramente giustificato ma rivelando una padronanza e un controllo del canto rari in un soprano appena trentenne e a poco più di due anni dalle prove che le hanno dato notorietà. Come avviene spesso in Italia, non appena un soprano di qualità fa la sua apparizione viene sommersa da ogni sorta di ruoli in breve tempo : basta pensare che Roberta Mantegna ha già cantato Imogene, Norma, Maria Stuarda, la Contessa delle Nozze di Figaro, Micaela, Mimì, Gulnara de Il Corsaro, Amalia de I Masnadieri, Leonora del Trovatore (nella versione francese al Festival Verdi di Parma, della quale abbiamo reso conto in queste pagine) e che affronterà Aida a Venezia la primavera prossima.

Abbiamo visto talmente tanti soprani, dotati come lei, reggere per cinque anni e poi sparire per sempre, da temere per la continuazione della carriera di questa giovane e bella artista. Ma le sue qualità sono perfettamente padroneggiate, a cominciare da una tecnica sicura e dalla voce di rara omogeneità, ampia in tutti i registri, il che ne fa un puro lirico spinto destinato a Verdi e in particolare al giovane Verdi. E ammirando il suo controllo delle agilità e delle cadenze nel ruolo di Imogene, unite alla facilità degli acuti, vien da chiedersi se cantare Aida sia veramente interessante per lei, quando tanti ruoli di Belcanto sono attualmente privi d’interpreti affidabili. Anni fa si diceva che il balsamo per la voce era Mozart : lei potrebbe essere una Donna Anna o una Fiordiligi eccezionale e cantare anche i ruoli sopranili del Rossini serio fino a quelli di Mayerbeer e del giovane Verdi. Perché andare al di là, in questo momento ? La sua tecnica, il suo modo di affrontare le note e il colore della sua voce dimostrano che avrà poche rivali nel repertorio classico e romantico. Per imporsi fra le più grandi le manca forse un poco di fluidità nelle agilità,e un soffio d’interiorità nell’interpretazione. La sua Imogene tuttavia fa sperare in una grande carriera, se saprà resistere alle sirene.

Per concludere, l’opera di Bellini ha segnato un trionfo quale non si vedeva da tempo al Grand Théãtre e che riempie di gioia. Quando il livello è alto, il pubblico sa riconoscerlo.

Roberta Mantegna e Daniele Callegari alla fine del concerto
Crediti foto : © Wanderersite (Foto del concerto)
© Roberto Raisoni (Franco Vassallo)
© Resellina Garbo (Roberta Mantegna)
© DR (Roberto Scandiuzzi, Daniele Callegari)
© Marco Borelli (Michael Spyres)

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