Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Britten era riparato negli Stati Uniti. Quando, nel 1942, ritorna in Inghilterra e si rifiuta di combattere, è processato in tribunale per obiezione di coscienza. Ai giudici egli dichiara : « Ho dedicato la mia vita ad atti creativi, e non posso prendere parte ad atti di distruzione », riaffermando il proprio pacifismo. Qualche decennio più tardi, Owen Wingrave vuole essere una protesta contro la guerra in Vietnam, che infuria in quegli anni 1960-‘70, e contro la minaccia nucleare.
L’opera è centrata sulla figura di Owen Wingrave, rampollo di una nobile famiglia che da secoli vanta e coltiva gloriose tradizioni militari. Il giovane, dopo aver assorbito una prima formazione, si rifiuta di proseguire nella carriera da ufficiale, e si ribella al costume guerresco che, per generazioni, ha contraddistinto la famiglia. Anche il padre di Owen, tra l’altro, è caduto in guerra. Nell’intento di far recedere il giovane dalle sue idee, il clan parentale lo convoca nell’antica tenuta di Paramore, storica quanto simbolica dimora della famiglia, dove si custodiscono il ricordo e i ritratti degli avi che, con le loro imprese marziali, hanno accresciuto la gloria della dinastia.
Qui, nelle sale dove incombono le memorie di famiglia, e la galleria dei valorosi antenati, il nonno Sir Philip, generale e invalido di guerra, e con lui la zia Miss Wingrave, insistono e premono affinché il giovane si ricreda, e continui nelle tradizioni dinastiche. Ma nulla, nessuna pressione, neanche quella della fidanzata del ragazzo, Kate Julian, smuove Owen dalle sue convinzioni. Sicché il nonno giunge a diseredarlo. Senza via d’uscita, il clima familiare si aggroviglia. Oltretutto, la tenuta di Paramore è segnata da un’annosa maledizione. In un passato lontano, un giovane Wingrave, accusato di viltà, era stato fortuitamente ucciso dal padre. Poco dopo, nella stessa stanza, il padre stesso era stato rinvenuto senza vita, e senza visibili segni di ferite. Nei racconti correnti, il castello è quindi infestato dai fantasmi dei due. Raccogliendo la sfida della fidanzata Kate, che lo accusa di pusillanimità, Owen Wingrave accetta di trascorrere la notte nella stanza maledetta. E l’indomani è ritrovato anch’egli senza vita.

La tematica dell’opera, quindi, va ben oltre il pacifismo. Emerge infatti, prima di tutto, l’esigenza di affermare la libertà individuale, la propria personalità, e in definitiva la propria natura. Il conflitto risulta dunque tra liberalismo umanistico, da una parte, e integralismo intransigente, dall’altra. E quest’aspetto cruciale rende, anche nella nostra epoca, Owen Wingrave un lavoro di piena modernità e attualità. Il macigno dell’insanabile contrasto circola nell’atmosfera pesante, indotta da personaggi a loro volta oppressi da complesse zavorre interiori. E ciò soprattutto nelle figure femminili che conducono le requisitorie familiari, esaltando peraltro un mondo di valori guerreschi, che è maschile.
Essendo un’opera nata per la televisione, Owen Wingrave obbedisce a un ritmo e a uno schema narrativo veloci e concisi. Ciò significa che l’impianto non offre episodi e arie di grande respiro ; piuttosto, procede su un’azione che è in continuo movimento ; di conseguenza, primeggia la forma vocale del declamato melodico, senza pagine di ampio lirismo. E quindi la struttura drammaturgica procede attraverso passaggi definiti, e chiaramente delineati da interludi orchestrali a far da cornice.

Di fronte a tali peculiarità, è risultata molto efficace e pertinente la direzione d’orchestra di Daniel Cohen, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala. La sua bacchetta ha dipanato con incisiva nitidezza gli snodi della partitura, eterogeni e articolati come spesso càpita nei lavori di Britten. L’esperto direttore israeliano ha dunque condotto orchestra e voci su un binario di profonda consapevolezza, seguendo una linea di ponderato equilibrio tra oasi liriche ed essenzialità, lungo l’intera partitura. E si è così affermata un’interpretazione accurata in ogni dettaglio, che ha messo in luce tanto le raffinatezze coloristiche e timbriche, quanto il vigore comunicativo dell’opera.

Nell’allestimento prodotto dal Festival della Valle d’Itria, .efficace e attento a ogni aspetto, è apparsa impeccabile la compagnia di canto, tutta esordiente in questo titolo. Owen Wingrave era il baritono svizzero Äeneas Humm, che ha saputo trasmettere disegna con puntuale sagacia l’intima evoluzione del personaggio, in un’attenta progressione di tinte espressive e inflessioni diverse. Inoltre, ne tratteggia felicemente l’anima giovanile, ricca di chiaroscuri e slanci, grazie anche all’aspetto efebico e a una vocalità sensibile e iridescente. Molto bravo è Kristian Lindroos nella parte di Spencer Coyle, l’ufficiale che ha istruito il ragazzo e che, pur aderendo alle idee della famiglia, ha verso di lui un atteggiamento più tollerante. Il tenore Ruairi Bowen disegna impeccabilmente il sottufficiale Lechmere, anche nelle sue ambiguità, mentre il soprano Charlotte-Anne Shipley esprime al meglio la gelida irriducibilità di Miss Wingrave, così come Sharon Carthy, il mezzosoprano che dà voce a Kate Julian, la fidanzata di Owen, con bell’equilibrio di gusto e intensità interpretativi.
A completare il cast, va ricordato che Lucia Peregrino, Mrs Coyle, Chiara Boccabella, Mrs Julian, Simone Fenotti, Sir Philip Wingrave, e il tenore narrante Chenghai Bao – interprete della ballata che incornicia il finale – offrono prove vocalmente ineccepibili e ben calzanti sul piano drammaturgico. E si fa apertamente apprezzare anche il Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi, istruito dal maestro Angela Lacarbonara. Ben congegnato l’impianto scenico di Giuseppe Stellato, che propone una parete di fondo con galleria di antenati, in sagome anonime e uguali, in una cornice ambientale di gabbie e scale metalliche mobili. Cornice nella quale figurano bene i costumi di Ilaria Ariemme, e diviene significativo il disegno luci di Pasquale Mari. Efficace, nella sua essenzialità, la regia di Andrea De Rosa che, creando un movimento di meditata economia, traduce adeguatamente sulla scena il messaggio trasmesso dalla musica, e il suo valore etico. Molti e convinti applausi, sia verso gli interpreti sia verso il valore sociale dell’opera.