Richard Wagner (1813–1883)
Das Rheingold (1869)
Prologo dell’Anello del Nibelungo (Der Ring des Nibelungen)

Regia : Claus Guth
Scene e costumi : Christian Schmidt
Luci : Wolfgang Göbbel
Drammaturgia : Hella Bartnig

Wotan : James Rutherford
Donner : Kay Stiefermann
Froh : Oleksiy Palchykov
Loge : Jürgen Sacher
Alberich : Werner Van Mechelen
Mime : Jörg Schneider
Fasolt : Tigran Martirossian
Fafner : Alexander Roslavets
Fricka : Katja Pieweck
Freia : Vida Mikneviciute
Erda : Doris Soffel
Woglinde : Katharina Konradi
Wellgunde : Ida Aldrian
Flosshilde : Nadezhda Karyazina

Philharmonisches Staatsorchester Hamburg
Direzione musicale : Kent Nagano

 

Staatsoper di Amburgo, 4 novembre 2018

Nei mesi di novembre e dicembre la Staatsoper Hamburg ha riproposto Der Ring des Nibelungen nell’allestimento di Claus Guth (scene e costumi del suo consueto collaboratore Christian Schmidt), che era stato realizzato nel corso di tre stagioni, tra il 2008 e il 2010, con l’allora Generalmusikdirektorin Simone Young sul podio. Ora le quattro parti del ciclo sono state eseguite a distanza di una o due settimane l’una dall’altra, quindi per chi veniva da lontano era praticamente impossibile seguire l’intera tetralogia, tuttavia, pur avendo potuto assistere soltanto a Das Rheingold, credo che ci sia comunque materiale sufficiente per alcune considerazioni su questo Ring, che è sempre un impegnativo banco di prova in cui ogni grande teatro tedesco cerca di dare il massimo.

Cominceremo dalla parte musicale, che era interamente nuova rispetto a dieci anni fa. Sul podio questa volta era Kent Nagano, dal 2015 Generalmusikdirektor del teatro. Direi che, dopo averlo ascoltato in diverse opere sia in Italia (in forma di concerto) che nella stessa Amburgo, il suo approccio è ormai prevedibile, in quanto sempre ispirato alla massima chiarezza, all’attenuazione dei contrasti, riconduzione della complessità alla massima semplicità possibile, alla negazione della soggettività dell’interprete (che comunque emerge inevitabilmente, in un modo o nell’altro). Però questa prevedibilità dell’approccio porta poi nel concreto a risultati sempre diversi.

Era piuttosto sorprendente – considerando che Nagano sembra tutt’altro che un fanatico del misticismo della vecchia Bayreuth – che all’inizio abbia voluto ricreare le condizioni del “golfo mistico” voluto da Wagner : l’orchestra inizia il preludio nel buio totale (anche i lumini dei leggi sono spenti e i musicisti suonano quindi a memoria) e la musica si spande nella sala e avvolge l’ascoltatore senza che se ne possa individuare la provenienza. È come un suono naturale primigenio, inizialmente quasi inavvertibile, secondo quanto prescritto da Wagner stesso ; ma anche in seguito Nagano lo tiene leggerissimo, impalpabile, trasparente, quasi debussyano : non è più la celebrazione del mito primordiale germanico del padre Reno, ma la suggestione di questo suono puro e misterioso resta comunque grandissima.

Qualcosa di simile avviene due ore e mezza dopo, alla fine del Rheingold, quando gli dei ascendono al Walhalla : Nagano risparmia il più possibile sui decibel eppure non per questo la suggestione di quel momento diminuisce, ma è diversa e – vorremmo dire – più puramente estetica, non inquinata dalla mistica della potenza tedesca, cui certi trionfi sonori coronati dai sonori squilli degli ottoni erano non troppo velatamente collegati nel periodo del dilagante nazionalismo tedesco.

Tra quell’inizio e questa fine, l’interpretazione di Nagano tende al “comico”, inteso come categoria estetica contrapposto al tragico sublime. Ondine, nani, dei e giganti sono privati della loro aura mitica e ridotti a personaggi borghesi, in linea con la regia di Guth, che dieci anni fu criticata proprio per questo, non per aver smantellato con una critica radicale l’apparato ideologico wagneriano, come ci si attendeva in quegli anni da una regia “impegnata”, ma per aver immerso tutto in un tranquillo e tranquillizzante ambiente borghese.

Le figlie del Reno

Le figlie del Reno sono tre bambine che giocano sul loro letto, lanciandosi i cuscini. Wotan e Fricka sono due signori dell’alta borghesia industriale e le altre divinità sono i loro figlioli, viziati e immaturi. Fasolt e Fafner più che minacciosi sono insistenti e fastidiosi, come due fornitori dell’azienda di Wotan che esigano il saldo dei loro crediti. Nibelheim è uno stabilimento industriale e i prodigi che vi si compiono sono illusioni create dagli sbuffi di vapore che escono dai macchinari.

Tutto (o quasi tutto) è realizzato con buon mestiere e con efficace senso teatrale, ma l’impressione è che questa messa in scena si accontenti di illustrare l’azione, aggiungendovi la giusta dose di scetticismo e d’ironia e trasportandola in epoca moderna, come esigono le attuali convenienze teatrali. In tal modo lo spettatore sicuramente non si annoia, talvolta si diverte perfino, ma il risultato finale è un po’ riduttivo : per fare un solo esempio, la scelta di Wotan tra amore e potere non è più un momento fondamentale (per lo stesso Wotan e per il futuro dell’umanità stessa) ma diventa un episodio transitorio di poco peso.

I cantanti si fanno apprezzare soprattutto come squadra : tutti sono di buon livello e quasi nessuno emerge sugli altri ma meritano una citazione particolare almeno James Rutherford (Wotan), Katja Pieweck (Fricka) e Tigran Martirossian (Fasolt). Per la maggior parte appartengono alle nuove generazioni di cantanti, che tendono a dare di Wagner un’interpretazione oggettiva, quasi distaccata. Più intensa l’interpretazione della veterana Doris Soffel, che, nonostante gli anni abbiano lasciato qualche traccia nella sua voce, è stata una splendida Erda, che faceva veramente vibrare la corda mitica di questa musica.

Avatar photo
Mauro Mariani
Mauro Mariani ha scritto per periodici musicali italiani, spagnoli, francesi e tedeschi. Collabora con testi e conferenze con importanti teatri e orchestre, come Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Maggio Musicale Fiorentino, Fenice di Venezia, Real di Madrid. Nel 1984 ha pubblicato un volume su Verdi. Fino al 2016 ha insegnato Storia della Musica, Estetica Musicale e Storia e Metodi della Critica Musicale presso il Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma.

Autres articles

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici