Uno dei segni forti, inconfondibili, dell’ormai avvenuta rinascita del “Petruzzelli” di Bari, è l’attenzione al pubblico di domani. Il sovrintendente Massimo Biscardi ha voluto una programmazione dedicata, costituita da opere appositamente commissionate, di un’ora circa l’una, per il pubblico delle scuole e delle famiglie. Nel 2014 è andato in scena Il giovane Artù, opera commissionata a Nicola Scardicchio, nel 2016 Cenerentola di Cristian Carrara, nel 2017 Aladino e la sua lampada e nel 2018 Il gatto con gli stivali, entrambe, ancora, di Scardicchio. Ora tocca a Ciao Pinocchio di Paolo Arcà, che il Wanderersite ha intervistato.
Teatro Petruzzelli di Bari
16-31 maggio 2019
Ciao Pinocchio
di Paolo Arcà
Opera in un atto, liberamente ispirata a Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi
Opera commissionata dalla Fondazione Teatro Petruzzelli
Direttore Alessandro Cadario
Regia Walter Pagliaro
Scene e costumi Luigi Perego
Disegno luci Gigi Saccomandi
Maestro del coro Fabrizio Cassi
Coreografie Mimmo Iannone
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Pinocchio Christian Collia (tenore)
Lucignolo Leon Della Guardia (tenore)
Il Grillo parlante Chiara Tirotta (mezzosoprano)
Geppetto Roberto Maietta (baritono)
La Volpe Mariangela Marini (mezzosoprano)
Il Gatto Salvatore Grigoli (baritono)
Mangiafuoco Dongho Kim (basso)
La Fata Turchina Daria Pascal Attolini (voce recitante)
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È stato direttore artistico del Teatro alla Scala, del Maggio fiorentino, del Regio di Parma, del Carlo Felice di Genova. Lo è, attualmente, della Società del Quartetto di Milano. Ma Paolo Arcà, romano, nato nel ’53, accademico di Santa Cecilia nonché docente di composizione al Conservatorio di Milano, “nasce” compositore. E in particolare compositore di teatro musicale, anche se le sue ultime prove nel campo risalgono agli anni a cavallo tra la fine degli ’80 e i primi ’90: si tratta di Angelica e la luna (Ferrara 1985) e Il carillon del gesuita (Fermo 1989), su libretto di Giovanni Carli Ballola; di Lucius, asinus aureus, tratto da Apuleio (Monaco di Baviera 1990); di Gattabianca, opera fiabesca su libretto di Marco Ravasini (Verona 1993), cui seguirono le musiche di scena per Sturm und Drang di Klinger messo in scena da Ronconi al Maggio nel 1995.
Ora Arcà riprende il filo del discorso. Torna a comporre per il teatro musicale, e lo fa mandando in scena un’opera scritta apposta per i bambini, commissionatagli dal teatro “Petruzzelli” di Bari guidato dal sovrintendente Massimo Biscardi, che sulle opere per il pubblico più giovane investe in modo sistematico da anni. Si intitola Ciao Pinocchio, è tratta dal capolavoro di Collodi, è in un atto e dura un’ora. «Il libretto l’ho scritto io, in ottonari ed endecasillabi, molto lieve, mi sono divertito un mondo», racconta Arcà al wanderersite.com. Alla “prima”, giovedì 16 maggio, seguiranno sette repliche per il pubblico generale, e ben 26 per le scuole.

Maestro Arcà, Antonio Cirignano, in “Musica in scena” (Utet), la definisce “incline alla trasformazione di materiali tradizionali in chiave fantastico-favolistica”.
È la verità.
Dunque lei con Pinocchio gioca in casa.
Sì. Sono profondamente convinto che il teatro in musica oggi non possa fare il verso al realismo verista, diciamo così, perché ci sono mezzi visuali molto più adatti, come il cinema o la televisione. Il teatro in musica è adatto invece per ricreare situazioni ineffabili, fantastiche, oniriche, irreali.
Nell’opera per bambini lei si era già cimentato con Gattabianca. Lo era anche Lucius, asinus aureus?
No, Lucius asinus aureus era piuttosto un’opera per burattini, tratta da Apuleio ma senza testo, perché la sfida di Hans Werner Henze, che era direttore artistico a Monaco di Baviera, era di fare una musica strumentale che fosse eloquente di per sé. Doveva essere “musica comunicativa”, che poi è sempre stata la caratteristica della mia musica, una musica capace di arrivare direttamente alla comprensione dell’ascoltatore.
Perché la scelta è ora caduta proprio su Pinocchio, un soggetto su cui, in anni recenti, sono già state scritte altre opere, come quella di Pierangelo Valtinoni su libretto di Paolo Madron, un successo mondiale, o quella di Lucia Ronchetti?
L’idea della commissione è nata dal sovrintendente e direttore artistico Biscardi nell’ambito della programmazione del Petruzzelli per i bambini (un’opera nuova all’anno, un’iniziativa particolarmente lodevole). C’erano varie possibilità. Alla fine la scelta è caduta su Pinocchio perché presenta una vicenda archetipica di crescita da una condizione infantile a una condizione adulta. Una storia di iniziazione, un risveglio alla vita reale, la storia di un personaggio che prima è birbante, briccone, maleducato, e poi capisce i valori fondamentali della condizione umana, ossia la responsabilità, l’impegno, la giustizia, la verità, la bontà, anche. Una storia che può ben essere offerta ai bambini e alla loro comprensione, alla loro, si spera, crescita concreta.
E sotto il profilo musicale?
Il soggetto di Pinocchio, favolistico, irreale, pieno di contenuti etici, si presta a essere musicato in modo comprensibile per i bambini. Quindi ho pensato a scene brevi, a melodie tonali chiare ed evidenti, quasi in versione di filastrocche.
Il libretto l’ha scritto lei e s’è divertito un mondo, ha detto. Com’è strutturata l’opera?
In un preludio e otto scene. Ho isolato le vicende topiche sparse in un’opera fluviale quale è quella di Collodi. Ci sono tutti i personaggi, cantanti. Poi c’è la Fata turchina: fondamentale che sia un’attrice, che racconta e raccorda fra loro le scene per favorire la comprensione dei bambini e la loro attenzione.
La storia di Pinocchio è sì una favola, ma è anche cruda, terribile. Lei nella scrittura musicale si è mantenuto sul soave?
No. Per esempio il terzetto col gatto e la volpe è tutto giocato su armonie di settima diminuita, che sono particolarmente inquietanti e danno il senso del raggiro. Poi ci sono le cantilene cromatiche. E Lucignolo è dipinto dalla musica come un personaggio sporco. Del personaggio di Geppetto, che trovo molto positivo perché dà sempre fiducia a Pinocchio, metto in risalto tutta la tristezza. Poi c’è una sorta di leit-motiv che è la cavatina di Pinocchio, “Salve a tutti son Pinocchio, sono quasi un bel marmocchio…”.
Un bravo ristoratore mi disse, un giorno, di tenere in alta considerazione il giudizio dei bambini, perché il loro palato è raffinatissimo e individua subito le cose cattive. È così anche in musica? Cosa significa comporre per i bambini?
Significa conquistarli. E far capire loro il senso della unicità del teatro in musica, che non scimmiotta altre forme di comunicazione visuale come il cinema e la tv, ma che è una forma d’arte unica, un linguaggio peculiare che mette tutto insieme: la musica, il canto, il coro, la direzione d’orchestra, le scene, i costumi, le luci, un unicum insostituibile, che non ha eguali, e che è un’invenzione italiana, peraltro. Da bambino fui portato dai miei nonni all’Opera di Roma a vedere il Barbiere di Siviglia. Dirigeva Giulini, Eduardo de Filippo faceva la regia, c’erano Berganza, Alva, Montarsolo…io mi ricordo ancora l’impressione magica del sipario che si apre, Luigi Alva che ne esce e canta “Ecco ridente in cielo…spunta la bella aurora…”. Ecco, io stavo lì con la bocca spalancata. Mi piacerebbe che la magia del teatro contagiasse uno, dieci, cento bambini delle migliaia e migliaia che sono previste a Bari.
Nella tradizione novecentesca di Weill, Hindemith, Henze, Britten, i bambini sono attivamente coinvolti come cantori o esecutori, e, come spettatori, lo sono anche nell’attuale format Aslico di Opera Education, nel quale cantano stando in platea: nel suo Pinocchio invece sono spettatori e basta?
Sì, i miei bambini sono spettatori e basta, non ho voluto coinvolgerli perché cantassero o recitassero. Per conquistarli al teatro in musica ho ritenuto di dar loro una vera opera scritta apposta per loro, che possa essere un punto di partenza per tornare in un futuro a vedere la Traviata o il Barbiere di Siviglia o la Valchiria. A me interessava scrivere un’opera in cui ci fosse un percorso unitario, univoco e corrispondente a quella che è la realtà del teatro d’opera.
Come si crea il pubblico di domani in un Paese come il nostro, dove l’educazione musicale, già scarsa durante l’obbligo, sparisce del tutto alle superiori?
..e dove gli studenti non sanno niente di Verdi, né conoscono le Sinfonie di Beethoven…
Proprio.
Creando una dimestichezza, creando una consapevolezza. Fare le tradotte, le “spedizioni punitive” di classi intere buttate in sala senza che nessuno sappia cosa stia vedendo è deleterio. È importantissimo che i ragazzi vadano a teatro con consapevolezza, conoscendo almeno la storia. Ecco perché a Bari, per una piena comprensibilità dell’opera, ci sarà la Fata turchina a raccordare fra loro le scene, e poi i sopratitoli. E quando ci saranno le prove, mi assicurerò che i cantanti, come diceva Riccardo Muti, “sputino le parole”, per avere una chiarezza di articolazione. Proprio per questo ho previsto un canto sillabato, piuttosto che vocalizzato.