Tancredi, la prima opera seria che procurò largo successo al grande Pesarese, ha inaugurato il Festival, ed è stata proposta allestendo in successione, nello stesso spettacolo, i due finali concepiti da Rossini, quello tragico e quello lieto. Un’idea della direzione artistica, messa a fuoco d’intesa con Sesto Quatrini, il direttore d’orchestra, e con Andrea Bernard, il regista dell’allestimento. Un’idea, è stato ben chiarito, lontana da ogni pretesa filologica e musicologica ; e quindi lontana anche dallo storico precedente del Rossini Opera Festival, a Pesaro, di alcuni decenni fa. Stavolta si è pensato di cogliere la vicenda di Tancredi, eroe dell’antica Siracusa, e la sua storia suggestiva, trasferendola al giorno d’oggi sotto una luce di percettibile sensibilità. Per l’opera Tancredi, a breve distanza Rossini compone due finali. In ordine cronologico, quello lieto è il primo, e va in scena il 6 febbraio 1813 alla Fenice di Venezia. Subito dopo il musicista redige l’altro finale, quello tragico con la morte di Tancredi, che appare al Teatro Comunale di Ferrara il 21 marzo, sempre del 1813. Ci sarebbe poi un ulteriore finale di poco successivo, per Milano, che in realtà è solo un’elaborazione di quello veneziano.

A Martina Franca, per inquadrare l’opera nel significato del Festival e del motto di quest’edizione, Guerre e pace, si è attinto al vario materiale musicologico dei due finali per ricavarne un efficace riassemblaggio drammaturgico : immaginario, ma significativo… Sicché il protagonista dapprima muore ; poi, per un poetico colpo di scena, riprende vita e corona il proprio amore. La regia di Andrea Bernard ha collocato l’intreccio in un parco giochi sfigurato dalla guerra, e marcato da reticolati e macerie che dividono e contrappongono. Soluzione originale è l’inserimento di un bambino figurante – Carlo Buonfrate, spesso presente in scena, e sempre disinvolto – che davanti alla morte di Tancredi prorompe in un sonoro “no” e, munito del pupazzo di Superman, restituisce vita al protagonista e al suo desiderio d’amore. Funzionale la scenografia di Giuseppe Stellato, col suo panorama di rovine e i costumi indovinati di Ilaria Ariemme, il tutto attraversato dalle luci eloquenti di Pasquale Mari.

La direzione d’orchestra di Sesto Quatrini ha decisamente segnato il percorso drammaturgico dell’intero allestimento, in una concertazione che dipana un itinerario consapevole e ben calibrato. Sicché gli intensi chiaroscuri espressivi e gli impasti timbrici della partitura emergono via via tra espansioni diverse, nelle quali si avvicendano accensioni energiche e ripiegamenti amorosi. Il tutto è da Quatrini governato con vigile senso della misura, e gusto raffinato : la temperatura drammatica rimane sempre alta, la compagnia di canto è guidata duttilmente. E alla sua limpida visione interpretativa si unisce una sicurezza di braccio che tiene ben in pugno la redini di un’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala non sempre ineccepibile.

Debuttando nel ruolo del titolo, il mezzosoprano Yulia Vakula offre una prova impeccabile. La giovane cantante russa ha sfoggiato una vocalità di compatta brunitura, ideale per il personaggio, con bel velluto e amalgama timbrico ; e ha declinato la sua parte con nitida sillabazione e accenti appropriati, marcando un’autorevole presenza scenica.

Al suo fianco, come Amenaide, il soprano Francesca Pia Vitale ha esibito anch’ella una dimensione drammaturgica di alta qualità, sia vocale sia interpretativa. Il suo canto persuade ed emoziona, per la musicale e limpida naturalezza con cui esprime le diverse pieghe, a volte accorate a volte risolute, del personaggio, che è sempre declinato con padronanza tecnica e convincente espressività.
Dave Monaco ha risolto onorevolmente il ruolo di Argirio. Ruolo di alto cimento, perché impegna l’interprete tra le impervie difficoltà del belcanto. E il tenore bresciano (ma di origini siciliane) le discioglie con padronanza, grazie al fraseggio sempre appropriato, al timbro omogeneo, e all’intrepido slancio nel registro acuto. La figura di Orbazzano è stata affidata al basso Adolfo Corrado che, con autorevole vocalità ed energica presenza scenica, ha disegnato tutta la penetrante tracotanza del personaggio. Nelle seconde parti, il contralto Hinano Yorimitsu e il mezzosoprano Giulia Alletto si sono dimostrate pienamente all’altezza, anche nelle rispettive arie soliste, dimostrando belle qualità musicali e compiuta scioltezza attoriale. Al suo debutto operistico, si è fatto apprezzare il Lucania e Apulia Chorus, preparato da Luigi Leo. Unanime, entusiastico consenso finale.