Associare il Nabucco ai fatti che hanno portato alla prima guerra d’indipendenza italiana sa infatti di stereotipo ; farlo citando espressamente Visconti, ma senza trasporne sul palcoscenico la minuziosa ricerca storica, risulta inoltre piuttosto superficiale. L’allestimento è tuttavia visivamente convincente : la magniloquenza del cubo centrale rotante con le sembianze del teatro alla Scala e l’accuratezza di costumi soddisfano l’occhio e rispondono perfettamente alla grandeur che caratterizza gli spettacoli in Arena. Sarebbe sfoggio del tutto gratuito di erudizione sottolineare le non poche sviste storiche, visto l’intento dichiaratamente non filologico del regista : quel che realizza è un piacevole capriccio di temi risorgimentali per un libretto di ambientazione biblica, cui si adatta non senza forzature.
Gli ebrei oppressi diventano gli italiani soggiogati alla dominazione degli austriaci, gli assiri di Nabucodonosor-Francesco Giuseppe. Gli stessi italiani, proprio sulla mesta soavità corale del Va pensiero, portano a teatro la propria sottomissione diventando a loro volta i giudei di un ottocentesco Nabucco alla Scala. Teatro nel teatro, mise en abîme, rilettura in un contesto altro ; gli ingredienti per una rilettura “nuova” ci sono, ma sono affastellati in un’idea drammaturgica fragile, che non arriva a raccontare un sottotesto convincente e che non fa emergere un’idea di fondo dall’elegante libretto di Solera.
Il cast dà vita a un Nabucco nel complesso dignitoso, musicalmente poco entusiasmante ; del resto la difficoltà acustica dell’Arena è ben nota e penalizza non poco orchestra e solisti. Spicca il timbro scuro e intenso di Amartuvshin Enkhbat, Nabucco possente che – ancorché privo di physique du rôle – risulta a suo agio nella parte, accurato nella dizione e nell’intenzione. Ottima prova anche per Rafal Siwek, stentoreo Zaccaria, basso dalla voce smaltata e ricca di armonici. L’Abigaille di Susanna Branchini lascia piuttosto indifferenti non spiccando per doti vocali né per interpretazione drammatica ; tende inoltre a farsi sopraffare dall’orchestra e pare non avere nulla del demoniaco proprio della complessa eroina verdiana. Più interessante Carmen Topciu nel ruolo di Fenena, voce cristallina e credibile piglio drammatico, che si manifesta nello splendido terzetto con Abigaille e Ismaele, musicalmente molto ben riuscito. Decisamente deludente invece Ismaele, interpretato da Luciano Ganci, tenore dalla bella voce ma dall’intonazione approssimativa e assai precaria.
Il coro, personaggio collettivo principale in Nabucco, porta avanti la sua parte più che egregiamente, a tratti affaticato dall’affollamento di comparse ed elementi scenografici. Un fatale fraintendimento con il direttore giunge proprio sull’akmè dei versi « Arpa d’or de’ fatidici vati », svista che riesce a inficiare l’aria corale – altrimenti splendidamente interpretata – anche nell’inevitabile bis, richiesto a furor di popolo. Anche il direttore Jordi Bernàcer si rivela completamente all’altezza del suo ruolo, con una direzione precisa ed energica, a tratti ruvida per venire a patti con il difficile ambiente acustico. Il sangue e il vigore del rude capolavoro verdiano sono comunque presenti e resi con efficacia.