Gaetano Donizetti (1797–1848)
Lucie de Lammermoor (1839)
Opéra en trois actes di Alphonse Royer e Gustave Vaëz dall'omonimo italiano (1835) di Salvatore Cammarano
Prima esecuzione : Parigi, Théâtre de la Renaissance, 6 agosto 1839
Revisione sulle fonti originali a cura di Jacques Chalmeau © Ricordi

Direttore Pierre Dumoussaud
Regia Jacopo Spirei
Scene Mauro Tinti
Costumi Agnese Rabatti
Light designer Giuseppe Di Iorio
Assistente alla regia Alessandro Pasini

Henri Ashton Vito Priante
Edgard Ravenswood Patrick Kabongo
Lord Arthur Bucklaw Julien Henric
Gilbert David Astorga
Raimond Roberto Lorenzi
Lucie Caterina Sala

Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna

 

Bergamo, Teatro Sociale, Domenica 26 novembre 2023, Ore 15.30

La folla era allineata contro il muro, parcheggiata simmetricamente contro le balaustre. All'angolo delle strade vicine, giganteschi manifesti ripetevano in caratteri barocchi :
"Lucie de Lammermoor…".

Gustave Flaubert, Madame Bovary, seconda parte, cap.XV

 

Tutti i lettori di Madame Bovary ricorderanno questo passaggio, uno dei più famosi del romanzo, in cui l'eroina assiste al Théâtre des Arts di Rouen, a una rappresentazione dell'opera di Donizetti il cui nome non viene néanche citato da Flaubert. Sebbene l’opera Lucia di Lammermoor, rappresentata per la prima volta a Napoli il 26 settembre 1835, sia stata proposta in Francia al Théâtre Italien di Parigi il 12 dicembre 1837 con grande successo, è stata Lucie de Lammermoor, adattata dall'originale italiano da Alphonse Royer e Gustave Vaëz e rappresentata per la prima volta al Théâtre de la Renaissance di Parigi il 6 agosto 1839, a essere rappresentata ovunque in Francia fino alla metà del novecento, secondo la prassi per cui l'opera lirica dovrebbe essere sempre e ovunque cantata in francese, e mai in lingua originale.

Oggi le cose sono molto diverse, ed è l'originale italiano che viene più spesso rappresentato sui palcoscenici nazionali o regionali, con poche eccezioni, anche se Lucie de Lammermoor ha concluso l'ultimo Festival d'Aix (Oropesa/Osborn/Sempey, dir. Rustioni) come una sorta di curiosità estetica, anche se poco più di mezzo secolo fa era la versione ordinaria, la norma ampiamente condivisa. Abbiamo sempre l'impressione che le cose che viviamo siano fissate per l'eternità, mentre il mondo è in perenne cambiamento e mobilità.

Per gli italiani, questa versione francese dell'opera di Donizetti è ovviamente una pura e comprensibile curiosità, presentata nella cornice più intima del Teatro Sociale di Bergamo-Alta con un cast molto dignitoso dominato dall'Henri di Vito Priante, dall'Edgard di Patrick Kabongo e dalla Lucie di Caterina Sala, reduce da un brutto raffreddore. Pierre Dumoussaud ha diretto l'orchestra Gli Originali, che come suggerisce il nome suona su strumenti d'epoca, e Jacopo Spirei ha curato la regia dello spettacolo, approfittando del fatto che nell'adattamento francese Lucie è l'unica donna in un mondo di uomini per ribadire che gli uomini sono (quasi) tutti bastardi.

Il Festival Donizetti ha un canale televisivo (su abbonamento), il Donizetti Opera Tube, dove si trovano gli streaming delle varie opere dell'edizione 2023, tra cui questa produzione di Lucie de Lammermoor, ma non solo. 

Un’opera che non è semplice traduzione

Ci sono alcune differenze evidenti tra la versione originale e l'adattamento francese, nel cast, nel peso dei personaggi ma anche in alcune arie. La più evidente è l'aggiunta di un personaggio, Gilbert (tenore), che svolge il ruolo di cattivo e traditore, scagnozzo di Henri. Allo stesso tempo, scompaiono la confidente di Lucia, Alisa, e lo scagnozzo di Enrico, Normanno, mentre il ruolo di Raimond viene ridotto rispetto a quello di Raimondo nella versione originale ( il suo duetto con Lucia viene tra l’altro tagliato) Inoltre, la prima aria di Lucia, que n'avons-nous des ailes, è tratta da Rosmonda di Inghilterra e non utilizza quindi il testo di Regnava nel silenzio della versione originale.

Essendo stato incaricato dal Théâtre de la Renaissance, Donizetti aveva più libertà che se avesse lavorato per l'Opéra, e il Théâtre de la Renaissance, aperto da poco, stava cercando di orientarsi verso la presentazione dell'opera lirica senza andare contro i privilegi dei grandi teatri di Stato (Opéra, Opéra-Comique, Théâtre Italien), mentre le dimensioni più ridotte della sala permettevano di non dover spendere cifre esorbitanti per gli spettacoli. Programmando questa Lucie de Lammermoor al Teatro Sociale, il Festival Donizetti cerca di riprodurre le condizioni originali.

È la stessa storia con la stessa divisione in atti, ma il libretto non è una traduzione dell'originale italiano. La presenza di Gilbert, che sembra proteggere gli amanti ma allo stesso tempo serve Henri, il fratello di Lucie, per trarre vantaggio da entrambe le parti, non solo cambia un po' la trama, ma incupisce l'atmosfera generale, rafforzando la solitudine della coppia di innamorati e rendendo Lucie ancora più preda degli intoppi familiari. Infine, come abbiamo già accennato, si tratta di un'opera in cui Lucie è l'unico ruolo femminile, che si confronta con un mondo esclusivamente maschile, ed è innamorata di una specie di emarginato. L'affresco non è propriamente roseo. Nemmeno l'originale lo era, ma la versione francese è forse ancora più cupa. Questa storia è stata talvolta paragonata a Romeo e Giulietta (una coppia che cade vittima dell'odio familiare), ma almeno nell'opera di Shakespeare la coppia si ritrova al momento della morte : qui, ognuno dei due muore da solo.

La produzione del Festival Donizetti

Caccia alla donna

A partire da questo materiale cupo il regista Jacopo Spirei ha pensato un allestimento che lo è altrettanto, ma tanto scarno quanto pesante, il che può sembrare contraddittorio. Combina infatti un'idea centrale in qualche modo assertiva con risorse teatrali piuttosto leggere rispetto alle altre due produzioni del 2023.

La leggerezza dell'allestimento si traduce in una scenografia fatta essenzialmente di tele dipinte (scene di Mauro Tinti) e in uno spazio scenico complessivamente ridotto, come in una produzione un po' frugale o, per dirla in modo più elegante, ridotta all'essenziale. C'è un filo conduttore che attraversa la scenografia, un tronco d'albero, ai piedi del quale si incontrano o cadono tutti i personaggi, da Edgard a Lucie e Henri,

Questo tronco, una sorta di punto di riferimento permanente che tiene insieme il filo della trama, è circondato da una varietà di atmosfere : alcuni alberi nel primo atto (siamo in una foresta), panchine (da chiesa?) nel secondo atto per la scena del matrimonio, due atmosfere nel terzo atto, prima un lungo tavolo che segna i festeggiamenti post-matrimonio, e poi per la scena del cimitero una carrozza sfasciata e cadaveri di donna nell'ombra.

Non c'è una sinfonia vera e propria all’inizio, e fin dall'introduzione musicale con il coro dei cacciatori, il regista imbastisce un gioco di illusioni con una coppia di amanti che viene presto sorpresa da altri uomini che isolano la giovane donna, dove si scopre che, come nella caccia, la ragazza è stata usata come esca e si trova ad affrontare tre uomini, tra cui quello con cui si pensava avesse una relazione. Comincia come una sorta di pantomima che preannuncia la storia che la coppia Lucie-Edgard sta per affrontare (una coppia nascosta e sorpresa da altri)  che poi si sviluppa in “caccia in Scozia” dove le prede sono le donne, che preannuncia la tesi della regia.

La caccia iniziale è quindi una caccia alle donne : alla fine ne vengono riportate quattro, isolate, legate al famoso albero, e il gruppo di cacciatori le porta poi nella foresta per consentire lo svolgimento della "scena di esposizione" tra Henri e Gilbert.

Ritorno dalla caccia

Poi gli uomini (il coro in realtà) tornano, senza giacca e con i vestiti vagamente sformati, e capiamo che la caccia è stata felice e con prede offerte… le quattro donne sono con il gruppo, distrutte e presto brandite come trofei da Henri, il capo della banda, e Gilbert, il giustiziere in stile mafioso (con il revolver tra le bretelle, ecc.). L'atmosfera è chiara : Spirei paragona Ashton a un boss mafioso spietato.

Vito Priante (Ashton) capobranco

Ritroveremo queste donne nel terzo atto, nell'ultima scena, cadaveri ammassati su un cumulo di terra dietro la macchina sfasciata, come abbandonati in una landa desolata dove la malavita regola i suoi conti e fa sparire i suoi misfatti.
È questo il senso della regia : Lucie è persa in un mondo di predatori e mafiosi, dove il fratello è l'organizzatore e il padrone.

Caterina Sala (Lucie)

Poi Lucie appare, isolata, un po' smarrita e già fragile : si sfregia, in una sorta di dono sacrificale che stabilisce la sua situazione e il suo destino.
In questo mondo sinistro, Edgard non appartiene chiaramente allo stesso universo : è vestito (costumi di Agnese Rabatti) con jeans e giacca di pelle, il che non corrisponde affatto al codice del mondo che circonda Lucie : predatori, certo, ma più o meno vestiti… i vestiti non sempre fanno l'uomo.
Edgard è quasi un giovane di "banlieue", fuori dai circoli del potere, fuori dai circoli dell'interesse personale. Spirei gioca anche sull'origine congolese del tenore francese Patrick Kabongo, che agli occhi di Henri e della banda diventa un doppio paria sociale e razziale, in evidente contrasto con Arturo, l'Arturo liscio e pulito che abbiamo visto nella scena precedente ingoiare senza batter ciglio le promesse del futuro cognato.

La coppia di emarginati : Patrick Kabongo (Edgard), Caterina Sala (Lucie)

In un mondo violento e terribilmente conformista, e soprattutto conforme a un'idea di ragazza di buona famiglia che deve obbedire ai maschi sorridendo (preferibilmente), questo contribuisce ancora di più a individuare la situazione di una Lucie del tutto fuori dal comune, fuori dall'immaginabile per un'orda di maschi bianchi…
Tutto questo fa pensare a un lavoro che illustra una sorta di comprensione immediata, visiva : leggiamo un'atmosfera, leggiamo la natura dei personaggi e capiamo le intenzioni del regista.
Oltre a questi elementi immediatamente percepibili, non emerge molto altro da questo lavoro, che non si discosta molto dalla visione abituale dell'opera, e i movimenti del coro sono ridotti al minimo.
L'ingresso del coro bell'atto secondo ricorda quello del coro dei nobili in Tannhäuser nel secondo atto, Freudig begrüssen wir die edle Halle, qui trattato non come assemblea di nobili, ma piuttosto di fedeltà al boss mafioso.
E Spirei ha marcato l'atteggiamento di una Lucie riluttante, nonostante la costrizione a cui è ridotta e le "prove" accumulate del tradimento di Edgard, un modo per mostrare che la sottomissione non cancella la verità del cuore.

I revolver sostituiscono le spade : Patrick Kabongo (Edgard), Vito Priante (Ashton), Julien Henric (Sir Arthur), Caterina Sala (Lucie)

Per il resto, anche se i revolver sostituiscono le spade, non c'è molta differenza con la prassi abituale – per l'intervento finale di Edgard e gli ensemble che concludono l'atto…
Il terzo atto inizia con il duetto di Henri e Edgard intorno al grande tavolo, che sarà il perno centrale di tutta la prima parte dell'atto. Ricordiamo che è diviso in due parti, la "scena della pazzia" da un lato e la morte di Edgard dall'altro.

In realtà, la struttura temporale dell'opera è piuttosto semplice : il primo atto funge da prologo alla tragedia : l'esposizione e l'allontanamento di Edgard per rendere possibili i progetti familiari di Henri (nella versione francese, Henri è a conoscenza delle relazioni amorose della sorella ; nell'originale italiano, ne viene a conoscenza da Normanno).

Atto secondo, David Astorga (Gilbert), Vito Priante (Ashton) e ancora l'albero…

Il secondo atto si svolge alcuni mesi dopo e, mentre la prima scena con Gilbert prepara il resto dell'opera, il seguito si svolge quasi in continuità, dall'inizio del matrimonio alla tragica fine di Edgard. Il matrimonio viene celebrato nel secondo atto e nel terzo, come in tutti i matrimoni, si festeggia mentre gli sposi "si ritirano". È durante questo "ritiro" che Lucie pugnala Arthur e torna in scena (la scena della follia).
La scena successiva si svolge alla fine della stessa notte : il tempo è compresso quasi come in una tragedia. Praticamente il secondo e il terzo atto si svolgono in moltomeno di 24 ore.

Festa di matrimonio

Il palcoscenico è delimitato da un tavolo centrale, che è un tavolo da banchetto, una pedana per la danza e presto un podio su cui Lucie canterà, con solo uomini intorno al tavolo : Spirei torna così all'idea iniziale : la solitudine di Lucie tra gli uomini, qui piuttosto spaventati dallo spettacolo che offre, non della sua follia, ma del fatto che ha ucciso il marito, con il vago timore che finisca il lavoro pugnalando anche loro…

Caterina Sala (Lucie) circondata dai maschi…

Le scene finali, che dovrebbero svolgersi vicino alle tombe di Ravenswood, si svolgono in un ambiente molto "marcato": un rottame d'auto e un cumulo di terra su cui giacciono le quattro donne del primo atto.

Patrick Kabongo (Edgard) e gli "altri".

Questo è il luogo dove gli scagnozzi di Ashton fanno tutto il lavoro sporco, dove i corpi dei criminali vengono fatti sparire. Edgard si trova lì senza dubbio perché il mondo di Ashton ha cancellato tutto il passato e tutta la memoria, e il giovane si trova ora solo in mezzo ai selvaggi.

A conferma di questa logica, il coro, che dovrebbe essere empatico nei confronti della sofferenza di Edgard (testo e musica lo sottolineano), canterà l'empatia e mimerà la derisione, il sarcasmo e la violenza, così che per tutta la parte finale, tra gli interventi di Raimond, il suicidio di Edgard e il rimorso di Henri, è il gruppo – il coro – che ora sembra andare a ruota libera, cercando di dare fuoco al rottame con Edgard dentro, infischiandosene di Raimond e di Henri, come se la violenza maschile fosse ora autorizzata a fare tutto ciò che vuole, con l'immagine finale che mostra il coro che parte per altre avventure sporche, lasciandosi dietro un cadavere e due uomini distrutti.

Patrick Kabongo (Edgard)

L'impressione dominante è quindi quella di una messa in scena in cui la tesi viene stra-evidenziata con lo stabilo con una certa insistenza : si capisce infatti la caccia alla donna del preludio, ma la scena finale in cui si regolano i conti con un rottame e quattro cadaveri di donne violentate, corrisponde alla tesi senza aggiungere nulla di più a quanto sapevamo dal preludio.

Le idee non mancano, ma sono mal realizzate, al limite della caricatura da cattivo film, senza approfondire la natura dell'opera. Nel programma, Spirei solleva intelligentemente la questione della follia di Lucie.

Caterina Sala (Lucie)

In realtà, è forse più di estremizzazione del dolore che di estremizzazione della follia che si dovrebbe parlare, il che permetterebbe anche di riaprire la questione di quelle scene di follia femminile che sono disseminate nelle opere, che sembrano essere state classificate una volta per tutte nella categoria della follia, perché la questione del dolore femminile si vende meno bene, ricollocando il personaggio in una sorta di normalità. La follia è tutto ciò che viene attribuito anche all'isteria femminile e ai suoi eccessi.  Questo è il modo in cui gli uomini guardavano le donne nell’ottocento…

Ma quello che poteva essere un bel lavoro sul personaggio è qui la solita visione (camicia da notte grondante di sangue ecc…) senza andare molto oltre.
Un incontro meno convincente dell’atteso con quest'opera, nonostante un'idea iniziale che avrebbe potuto essere seducente, ma che non viene mai approfondita e rimane costantemente nell’effetto facile e in superficie.

Gli aspetti musicali

Le voci

 Poiché una parte significativa della produzione di Donizetti è stata eseguita in francese o addirittura presentata per la prima volta in francese, il ruolo del Donizetti Festival è quello di far conoscere queste opere meno eseguite e meno conosciute, soprattutto perché la pletora di opere del compositore bergamasco e il repertorio relativamente limitato eseguito fanno sì che ogni edizione offra la sua parte di opere nuove e sconosciute. È proprio il caso di questa edizione, che presenta due opere completamente sconosciute al pubblico, come descritto in precedenza.

La produzione della Lucie "francese" prevede che i cantanti cantino in francese, cosa mai facile per gli italiani, soprattutto se abituati alla versione italiana. I caratteri della lingua francese impongono talvolta uno stile di canto chiaramente diverso dalle versioni italiane. Questo vale anche per Verdi. L'opera ha indubbiamente un suono diverso e richiede ai cantanti un lavoro molto diverso su fraseggio, pronuncia e accenti. Insistiamo abbastanza spesso in ogni nostra recensione l'importanza che deve essere data al testo qualsiasi sia la lingua dell'opera, ma quando si è abituati a cantare una Lucia italiana, può essere difficile passare a Lucie. Nel cast riunito, gli sforzi di tutti, francofoni e non, sono da applaudire, perché nel complesso il francese è, se non impeccabile, rimane almeno chiaro, comprensibile e ben controllato nei colori e nelle linee.

Come già sottolineato, la differenza con la Lucia italiana è dovuta da un lato alla minore importanza data a Raimond rispetto a Raimondo nell'originale italiano, dall'altro alla scomparsa dei personaggi di Alisa e Normanno, che giustifica la creazione del personaggio di Gilbert, l'anima dannata di Henri, figura del tradimento poiché finge di aiutare Lucie ed Edgard mentre manovra per il suo padrone Henri Ashton. È anche merito di una Lucie più drammatica e con acuti più marcati.

Raimond è Roberto Lorenzi, il cui ruolo è notevolmente ridotto rispetto all'originale italiano (in particolare manca l'intero duetto con Lucie); con la sua nobile voce di basso, ben proiettata e sufficientemente potente per questa sala un po' più intima, dà un'interpretazione molto accettabile e potente del personaggio, con una pronuncia abbastanza chiara della lingua francese.

 

Julien Henric (Arthur), Caterina Sala (Lucie) Coro dell'Accademia della Scala

Nel ruolo di Sir Arthur, lo sfortunato fidanzato di Lucie e marito di brevissima durata, troviamo Julien Henric, che abbiamo già sentito a Ginevra e su altri palcoscenici e che ha sempre dimostrato qualità eminenti. La voce è ben equilibrata e ben controllata, con una bella linea, un timbro particolarmente chiaro e luminoso, una dizione impeccabile e una presenza scenica invidiabile che conferiscono a questa voce tenorile un vero e proprio scintillio, non privo di nobiltà.

Vito Priante (Ashton) David Astorga (Gilbert), Coro dell'Accademia della Scala

Sostituendo i ruoli di Alisa e Normanno nella versione originale, il ruolo di Gilbert il cattivo è affidato a David Astorga, che se la cava egregiamente, soprattutto grazie al suo sforzo di colorare la voce e di conferirle un aspetto insinuante e cinico, in un francese perfettamente limpido. La voce del tenore è chiara, forte e ben proiettata, il che gli conferisce una bella presenza scenica.

Edgard è il tenore francese Patrick Kabongo.
Ci sono tre tenori, Gilbert il cattivo, Sir Arthur la vittima delle bugie di Henri e vittima della disperata follia di Lucie, ed Edgard l'amante infelice. Ognuno di loro deve quindi avere un colore molto diverso.
Abbiamo visto che Gilbert è il cinico insinuante, Arthur il brillante, un po' ingenuo, e rimane il "primo tenore", Edgard il lirico puro, che deve avere sia la brillantezza e la delicatezza di chi ama ed è amato a sua volta, sia la tragica disperazione di chi è stato manipolato e alienato. L'eleganza di Kabongo colpisce immediatamente.

Patrick Kabongo (Edgard)

Il suo canto è marcatamente elegante, come quello di uno stilista che cura ogni parola, ogni inflessione, ogni modulazione, con un controllo costante del respiro e una preoccupazione per l'emissione che non gli viene mai meno. Ma forse un po' troppo “curato” in realtà, perché si sente che la concentrazione sul canto a volte mette in ombra l'incarnazione.
Infine, anche in questa sala di medie dimensioni, la voce non ha sempre il volume necessario. Sembra più un Almaviva rossiniano che un Edgard a cui manca un po' di brillantezza.  È un po' un peccato, perché il suo canto molto cesellato riesce a commuovere davvero alla fine dell'opera nella sua ultima aria, unito al modo in cui la messa in scena costruisce il personaggio, che passa dall'essere emarginato dal "destino" a diventare una sorta di "vittima designata" dagli altri. Il tutto rende un profilo complessivamente più profondo degli altri. Un cantante da seguire si sicuro con attenzione.

Vito Priante (Ashton)

Vito Priante nel ruolo di Henri Ashton completa questa galleria di uomini. La messa in scena lo ritrae come ci si aspetta, come un maschio dominante più attento agli interessi del clan (e ai propri) che a quelli della sorella, che in fondo vive il destino delle figlie di famiglia nell’Ottocento, vittime obbedienti e sottomesse.
Ma è dal punto di vista vocale che è assolutamente notevole sotto ogni punto di vista : innanzitutto il suo francese impeccabile, con i suoi accenti marcati, la sua dizione cesellata, il suo senso della parola e il peso che il colore dà alla parola, e poi l'autorità offerta dal volume, dall'emissione, dalla proiezione e dalla disinvoltura sulla scena. È allo stesso tempo un mostro freddo e, alla fine, riesce persino a commuoverci quando appare distrutto. È senza dubbio la star della serata, che si aggiudica un trionfo particolarmente meritato.

Caterina Sala (Lucie)

Caterina Sala era appena stata colpita da un forte raffreddore che le aveva impedito di esibirsi per buona parte della prima. È tornata in scena e, anche se la voce non è completamente ristabilita, ritroviamo il suo timbro abbastanza cristallino e il vigore di un volume che ci aveva già stupito nell’Elisir d'Amore al Festival del 2021. Forse avremmo potuto desiderare una voce più leggera per Lucie (Lucie è infatti più leggera di Lucia), ma questa è più che altro una questione di gusti. Caterina Sala, che ci ha impressionato con la sua presenza scenica e la sua forza micidiale ne L'Elisir, ci colpisce qui con il suo senso drammatico, la sua presenza e la sua forza emotiva, che la rendono una Lucie convincente e toccante, non un fragile uccellino in mezzo a maschi dominanti, ma una donna, vittima e impotente, che mette la sua disgrazia davanti a tutti fino alla follia. Dal timbro ricco, la sua aria della follia, priva delle cadenze aggiunte dalla tradizione, a cui ha dovuto rinunciare una settimana prima (era stata raddoppiata in buca), è cantata con grande grinta e sensibilità, anche se le note più alte sono forse meno tenute, ma senza mai essere evitate. Molto impegnata sul palcoscenico, capace di momenti potenti e a volte avvincenti, ha solo bisogno di lavorare un po' di più sulla dizione francese, non sempre chiara, almeno non quanto quella dei suoi colleghi italiani in scena. È uscita da quella che era in definitiva una prima per lei con tutti gli onori, senza mai vacillare, convincendo saldamente senza portare il pubblico in delirio.

 

Coro e direzione musicale

Il coro dell'Accademia del Teatro alla Scala, preparato da Salvo Sgrò, è particolarmente attento al ritmo, al tempo e al colore, anche se manca un po' di pratica in francese per essere sempre perfettamente chiaro nell'espressione.

Pierre Dumoussaud

Pierre Dumoussaud, alla guida dell'orchestra Gli Originali, conferma di essere un direttore d'opera di qualità. Dopo il suo convincente Hamlet all'Opéra di Parigi, dirige con vigore e vero senso sinfonico, ma anche con una certa delicatezza, una partitura che è tutt’altro che routine. Sa dare alla sua lettura la trasparenza desiderata, facendoci sentire le raffinatezze di una scrittura che non sempre è stata giudicata per il suo vero valore. A volte è tradito nelle sue intenzioni e nella sua resa da un'orchestra Gli Originali che sembra meno preparata ai pericoli dell'esecuzione : i fiati e i legni non sono sempre intonati e non hanno sempre la precisione e l'accuratezza desiderate ; il risultato sono alcune imprecisioni in cui il direttore non ha nulla da fare, ma piuttosto un insufficiente lavoro tecnico preparatorio prima delle prove. Resta il fatto che la direzione di Dumoussaud è comunque riuscita a riservare alcuni momenti elegiaci molto belli e a trasmettere la ricchezza e lo spessore della partitura con un vero senso del dramma. La sua direzione sa come sostenere i cantanti e soprattutto non conferisce mai alla resa quella pesantezza che a volte si sente : qui rimane limpida e anche luminosa.

Caterina Sala (Lucie), Patrick Kabongo (Edgard)

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