Il Festival Verdi 2024 ha proposto un nuovo allestimento del Ballo in maschera, pensato per il Teatro Giuseppe Verdi di Busseto e coprodotto con il Teatro Comunale di Bologna e la Fondazione Rete Lirica delle Marche (Teatro della Fortuna di Fano, Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno). Daniele Menghini rilegge l’opera in modo assai personale con una chiave interpretativa che connota in modo deciso l’allestimento : il protagonista è “un sovrano stravagante, un despota illuminato. Poeta, drammaturgo, letterato, amante del Teatro, dell’Opera e delle Arti, assassinato forse perché troppo libero. È questo che può accadere quando un artista sale sul trono e indossa la corona. Riccardo è un uomo libero che vive costantemente sul precipizio dell’eccesso. Fuori dalla regola. Vive il potere come sovvertimento dell’ordine, l’amore come ricerca del limite, la vita come tensione verso la fine.”
Durante la sinfonia un palloncino passa in proscenio, da sinistra verso destra, poi viene fatto esplodere con uno schiocco sonoro : esistenza leggera, quindi,fluttuante nell’aria come un palloncino, la vita che scorre in un attimo, che finisce all’improvviso e senza avvertire.La scena fissa di Davide Signorini è una scatola di tavole verticali color oro con segni nerastri che fanno pensare a un incendio recente ; sulla destra un paio di gradoni sullo stile di un’agorà o di un piccolo parlamento, oppure di una corte provinciale, mentre sulla sinistra un trono su un alto podio che poi diventa, per esigenze di libretto, una tomba / porta degli inferi e di nuovo un trono ricoperto di teschi. I ricchi ed elaborati costumi di Nika Campisi sono storici, rispettando pur con licenze l’epoca del compositore, e sono completati da un pesante trucco. Le luci di Gianni Bertoli hanno parte essenziale nel creare le atmosfere volute dal regista, il quale spinge su quelle linee interpretative di cui si è detto, magari non sempre completamente a fuoco rispetto al plot e al testo, ma comunque sempre capaci di convincere lo spettatore e avvincerlo visivamente.
Si apre il sipario e si è già in una festa di corte lasciva, i segni di morte sono costanti nel corso dell’intera rappresentazione : la mascherata piratesca per lo scherzo a Ulrica, Riccardo e Amelia che si coprono il volto di biacca nel giurarsi amore, uno scheletro lungo sugli scranni (quasi una “Calamita cosmica”) con in testa un cappellino conico carnevalesco, i putti che pendono dal soffitto e che da messaggeri d’amore diventano emblemi di morte, i teschi che ricoprono il trono durante il ballo in maschera dove gli abiti sono gli stessi dell’inizio, a chiudere un cerchio la cui unica uscita è la morte. La caducità dell’esistenza che sembra durare un attimo, che come un palloncino può sfuggirci dalle mani o scoppiare all’improvviso. E se la vita diventa allora un equilibrio sull’abisso, che festa sia, pur coi segni del lutto sempre presenti, anche in scena, a ricordarci la caducità del tutto.
Quanto al profilo musicale Fabio Biondi sceglie una tinta morbida, che favorisce il canto e privilegia quei toni elegiaci che apparentemente non contrastano con la messa in scena ; una direzione più giovanile che introspettiva, che non indugia sul lato notturno della partitura.
Giovanni Sala è pienamente nel personaggio, sempre in abiti di maschere, un Riccardo che domina la scena e su cui si impernia tutto il discorso registico : gli occhi febbrili, lo sguardo impaurito, un uomo (prima che un governatore) sovrastato dagli eventi e incapace di contrastarli ; il tenore ha un canto spontaneo e ricco di armonici, sfoggia un fraseggio rifinito, musicalmente sicuro e capace di rendere appieno anche vocalmente il suo carattere teatrale. Caterina Marchesini è Amelia, unghie rosso fuoco e abiti rigorosi ; la voce è piena, timbrata, ferma lungo tutto l’arco dell’opera ; l’emissione è controllata e attenta a rendere le pieghe più recondite di un personaggio che l’allestimento potrebbe tendere a mettere in secondo piano. Lodovico Filippo Ravizza è Renato, in ogni momento l’opposto di Riccardo, tanto che si presenta in giacca e cravatta, austero e misurato tanto quanto l’altro è eccessivo ; ma, se gli opposti si attraggono, il loro legame è fortissimo, fisico in quell’accarezzarsi delle mani nel loro duetto del primo atto ; il baritono è vocalmente maturo e padrone del ruolo. Danbi Lee è l’inquietante Ulrica, sempre sospesa tra un modo e l’altro, legame con quell’abisso su cui tutti dondolano prima di cadere all’improvviso ; vocalmente una Ulrica della migliore tradizione, dalla voce possente ma composta e dotata di un materico registro grave, che l’interprete ha l’intelligenza di non enfatizzare inutilmente. Licia Piermatteo è una segretaria-valletto smagliante e sorridente, unica a non comprendere quella transitorietà che è la vita : Oscar è esuberante e vivace, estraneo a ogni dolore e ansia che tormenta Riccardo, mai si rabbuia neanche quando nel gioco scorge il dramma, pensando che sia un aspetto ludico o passeggero con la sua voce timbrata e squillante.Giusti nei ruoli Giuseppe Todisco (Silvano), Agostino Subacchi (Samuel) e Lorenzo Barbieri (Tom). A completare il cast Francesco Congiu nel doppio ruolo di Un giudice e Un servo d’Amelia, quest’ultimo vestito con un rapper contemporaneo a mescolare i tempi e le epoche. Ottima la prova del Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani.