L’Aida di Valentina Carrasco è ambientata in un Egitto desertico e coloniale : sulle dune aranciate della scena essenziale e atemporale di Carles Berga, consentono la datazione temporale gli splendidi costumi di Silvia Aymonino, sempre apprezzata costumista, ma qui in una delle sue migliori prove. Caftani neri per i sacerdoti, completati da turbanti e mascherine da cui spuntano lunghissime e sottili barbe bianche ; caftani bianchi per le sacerdotesse ; raffinati abiti inizio Novecento in stoffe preziose per Amneris e la sua corte ; tuniche coloratissime con copricapi in tinta per gli Etiopi, completati da trucco tribale e tatuaggi monocromatici ad avambracci e mani. La regista descrive una terra incontaminata, dove una natura desertica domina sovrana e l’uomo si muove e vive in sintonia con essa ; poi prevale lo spirito del predatore colonialista, un popolo vuole sottometterne un altro in modo da predarne le sue risorse naturali : tubi di ogni dimensione si snodano sopra le dune per l’estrazione e la captazione del petrolio. Il momento del trionfo diventa così il trionfo dell’imperialismo, il trionfo del petrolio, il trionfo dell’oro nero, la costruzione di un oleodotto e di un impianto di raffinazione, lo stoccaggio di barili e la conseguente riduzione in schiavitù di una popolazione (la danza dei moretti è istigata dalla loro fame e dal rincorrersi per rubare qualche avanzo commestibile arraffato alla tavola di Amneris).
La diversa collocazione temporale non cambia i rapporti di forza tra i personaggi e, anzi, aggiunge un nuovo, pregnante significato alla rappresentazione. Fondamentali per l’economia della messa in scena le splendide luci di Peter van Praet, davvero un indescrivibile capolavoro, e le coreografie evocative di Massimiliano Volpini.
Francesco Lanzillotta, direttore musicale del Macerata Opera Festival, sottolinea la cupa drammaticità di alcuni passaggi, senza mai cedere a un banale patetismo, e cura l’intimità di quelle pagine per le quali Aida resta nel cuore dello spettatore (il terzo atto è forse il migliore dei quattro in una resa musicale di buon livello complessivo): sonorità rarefatte, colori tenui, trasparenze eteree e pianissimi suggestivi ben resi pur in un enorme spazio aperto. Chi ama davvero Aida sa che non è opera di trionfi e marce.. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è evidentemente a suo agio e rende una prestazione notevole sia nelle parti solistiche sia nel complesso in un convincente flusso sonoro amalgamato e disteso come un placido fiume di oro nero incandescente e infiammato, ben accompagnata dalla Banda Salvadei, schierata nel secondo atto a un lato del grande palcoscenico.
Maria Teresa Leva è Aida, forse più a suo agio negli spazi chiusi piuttosto che nel grande Sferisterio all’aperto : la voce è espressiva e di bel colore, capace di indagare soprattutto i numerosi momenti di intimo ripiego ma, soprattutto nel registro grave, risulta un po’ piccola e a tratti resta a fatica udibile.
Luciano Ganci dà a Radamès vigore fisico e forza vocale : acuti squillanti e ben timbrati, grave sonoro e vellutato, accenti convincenti e sinceri.
Veronica Simeoni è una sofisticata e snob Amneris : il mezzosoprano porta a casa una prova che cattura il pubblico soprattutto perché scolpisce il verso in modo sicuro e tornito e il pubblico non perde una sillaba del suo canto, sia parole che fraseggi : perfettamente a suo agio nel ruolo dal punto di vista attoriale, vocalmente affronta con mestiere e intelligenza un ruolo forse non perfettamente nelle sue corde quanto a peso vocale. Marco Caria è un Amonasro di classe : non barbaro urlante ma re altero e appassionato. Al convincente Ramfis di Alessio Cacciamani si affianca il Re di Fabrizio Beggi, altrettanto convincente pur nel ridimensionato ruolo quasi di “khedivé”. Perfetta la Sacerdotessa di Maritina Tampakopoulos dalla voce piena e sonoro il Messaggero di Francesco Fortes. Notevole la prova del Coro Lirico Marchigiano, preparato ottimamente da uno specialista quale Martino Faggiani.
Un plauso ai ballerini, i cui interventi, in diversi momenti dello spettacolo, hanno aumentato l’emozione, il fascino e i significati dell’allestimento (si pensi in particolare a quando si rotolano sulle dune avvolti in mantelli di velo arancio, stessa tonalità del deserto). L’inserimento come comparse di un simbolico gruppo di“100 cittadini” ha richiamato l’edizione del centenario, ricordato i 100 consorti che consentirono l’edificazione dello Sferisterio e, ci auguriamo, sottolineato l’importanza della presenza dei cittadini in uno scambio virtuoso con le istituzioni politiche e il mondo culturale.
Sferisterio esaurito, molti applausi a scena aperta, un trionfo nel finale, pubblico visibilmente soddisfatto.