The Circus
proiezione del film muto con la colonna sonora originale eseguita dal vivo
prima esecuzione assoluta della partitura del 1928 restaurata da Timothy Brock

Regia, soggetto, sceneggiatura, editing e musica Charlie Chaplin
Fotografia Roland E. Totheroh
Operatori Jack Wilson, Mark Marlatt
Assistente alla regia Harry Crocker
Art director Charles D. Hall
Produzione United Artists, USA 1928

Il vagabondo Charlie Chaplin
Il padrone del circo Allan Garcìa
La sua figliastra, acrobata equestre Merna Kennedy
Rex, un funambolo Harry Crocker
Il vecchio pagliaccio Henry Bergman
Il trovarobe Stanley J. Sanford
Il mago George Davis

FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direttore Timothy Brock

Ruggero Leoncavallo (1857–1919)
I Pagliacci (1892)
Dramma in un prologo e due atti
Libretto del compositore
Prima assoluta il 21 maggio 1892, Teatro dal Verme, Milano

Direttore Timothy Brock
Regia Alessandro Talevi
Scene Alessandro Talevi, Madeleine Boyd
Costumi Anna Bonomelli
Luci Marco Giusti
Video artista Ludmila Gabusi
Maestro d’armi Ran Arthur Braun
Assistente alla regia Danilo Rubeca

Nedda / Colombina Rebeka Lokar
Canio / Pagliaccio Fabio Sartori
Tonio / Taddeo Fabiàn Veloz
Peppe / Arlecchino David Astorga
Silvio Tommaso Barea
Contadini Alessandro Pucci, Andrea Cutrini

Coro lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del coro Martino Faggiani
Pueri Cantores “Zamberletti”
Maestro del coro Gian Luca Paolucci
Banda Salvadei
FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana

 

 

nuova produzione dell’allestimento 2015 dell’Associazione Arena Sferisterio

Macerata, Arena Sferisterio, domenica 7 agosto 2022, ore 21

Particolarmente intrigante il dittico che il neo-direttore artistico Paolo Pinamonti ha ideato per la stagione 2022 dell’Arena Sferisterio, composto dal ben noto Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e da un capolavoro del cinema muto come The circus di Charlie Chaplin, proposto con esecuzione dal vivo della colonna sonora originale del 1928, recuperata e restaurata da Timothy Brock e suonata dall’Orchestra Filarmonica Marchigiana in prima mondiale. I due lavori sono affini per le tematiche affrontate e stimolano il confronto tra il nascente cinema (nel momento in cui Leoncavallo componeva la sua opera) e il grande repertorio lirico nel quale il cinema affondava le radici ; la loro esecuzione ravvicinata, inoltre, consente di rileggere in chiave novecentesca la partitura di Leoncavallo che, contaminando più generi teatrali e musicali, piuttosto che guardare esclusivamente al verismo anticipa successive acquisizioni culturali.

Il film di Chaplin è un assoluto capolavoro di divertimento e tenerezza, nel quale si narrano le vicende del vagabondo che, inconsapevolmente, si trova a essere la star comica di un circo che però alla fine abbandona, rinunciando all’amore che prova per la figliastra del proprietario nel momento in cui si accorge che lei evidentemente nutre un sentimento forte per il funambolo, giungendo addirittura ad adoperarsi per favorire la loro relazione.

Il direttore artistico Pinamonti ha voluto che come accompagnamento musicale alla proiezione del film muto fosse suonata, piuttosto che la partitura composta da Chaplin successivamente, quella originale del 1928, formata da un’antologia di cinquantuno pezzi scelti da Chaplin stesso, insieme all’allora direttore musicale del Chinese Theatre di Hollywood, Arthur Kay ; in essa si susseguono diversi tipi di musica, da Grieg a Wagner, da Gounod a Berlin fino allo stesso Leoncavallo dei Pagliacci. Va riconosciuto senza ombra di dubbio che i brani si accordano perfettamente alla sequenza delle immagini, aumentando il pathos del film e offrendo così una esecuzione/proiezione di enorme suggestione.

 

Per la messa in scena di Pagliacci Alessandro Talevi è partito dal precedente allestimento in Arena del 2015, adattandolo però al nuovo dittico (allora era insieme a Cavalleria rusticana) e ripensandolo quindi in modo radicale. Siamo alla fine degli anni Quaranta in un paese qualsiasi, le case e i luoghi pubblici come la chiesa sono identificati per i mobili e i perimetri disegnati per terra, ma appaiono privi di pareti, per cui ogni privata vicenda si svolge sotto gli occhi di tutti, così come realmente accade nei piccoli paesi di provincia. Quella di ambientazione è l’epoca in cui irrimediabilmente il cinema ha messo in crisi le arti teatrali, tanto che il Prologo non riesce a distogliere i presenti dall’attenzione verso il grande schermo. Persino l’arrivo del carro degli attori ambulanti non cattura l’interesse dei paesani, i quali, annoiati, addirittura se ne vanno durante la rappresentazione della commedia dell’arte, che appare datata e ormai superata, per poi tornare solo quando la tragedia reale arriva a superare quella narrata sul palcoscenico, come accade nel contemporaneo con la spettacolarizzazione della cronaca nera più truce (il regista chiude l’opera con una totale carneficina).

Talevi è bravo a muovere le masse e a impostare il gesto e l’espressione dei singoli, al punto che lo spettatore è catturato dalla narrazione stringente. La scenografia, come detto, è funzionale al racconto e si estende per tutta la lunghezza del palcoscenico ; i costumi favoriscono la datazione dell’ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi, indugiando in modo efficace sulle ristrettezze economiche degli attori. Adeguate le luci, come anche i frammenti video durante l’opera, che legano ancor più The circus e Pagliacci tra loro.

Impianto scenico

Se l’operazione di recupero ed esecuzione della partitura da parte di Timothy Brock è perfetta, altrettanto non si può dire della conduzione dello spartito di Leoncavallo, riuscendo con difficoltà la direzione a raccordare palco e buca e a imprimere la giusta forza al suono, mancando anche di marcare, nel finale, il doppio registro tra commedia farsesca e tragedia, così da trasmettere allo spettatore un certo senso di straniamento ; alla vaghezza ritmica e all’imperfezione degli attacchi si accompagna infatti il poco carattere impresso ai diversi momenti della partitura, risultando in tal modo il tutto dal punto di vista musicale piuttosto uniforme e monotono.

Rebeka Lokar è Nedda, dimessa nell’abbigliamento e rassegnata nel contegno : l’amore per Silvio pare portare uno squarcio di sereno nel grigiore del suo quotidiano ma lei stessa, per prima, intuisce non trattarsi di un bel tempo duraturo, per cui la voce indugia su efficaci toni malinconici, pur seguendo fedelmente le note in partitura ; il soprano ha timbro forse non troppo suggestivo ma gli acuti sono squillanti e ben sorvegliati e le sfumature del ruolo (liriche, sentimentali, sognanti) sono belle e rese in modo incisivo.

Rebeka Lokar (Nedda) Fabio Sartori (Canio)

Fabio Sartori è un Canio con voce solida e squillante, la cui incisiva espressività marca “Vesti la giubba”, a cui il pubblico tributa un trionfo. Fabiàn Veloz è Taddeo, attorialmente coinvolto dalla parte e musicalmente corretto, caratterizzato da una linea di canto scorrevole e morbida. Meno in evidenza il Peppe di David Astorga. Del corretto Silvio di Tommaso Barea si sono apprezzati il timbro e gli acuti incisivi,a marcare l’amore sincero del personaggio interpretato. A completare il cast i contadini Alessandro Pucci e Andrea Cutrini, il Coro lirico marchigiano ben preparato da Martino Faggiani e i Pueri Cantores Zamberletti preparati da Gianluca Paolucci.

Il Coro Lirico Marchigiano
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Francesco Rapaccioni
Giornalista pubblicista dal 1996, segue con grande passione il teatro in genere e prosa e lirica in particolare, recensendo spettacoli e concerti sia in Italia che all'estero per testate nazionali e locali. Da anni conduce trasmissioni radiofoniche culturali su circuiti nazionali e regionali. Legge e viaggia in modo compulsivo e, al tempo stesso, dirige un piccolo teatro a San Severino Marche, in provincia di Macerata. Dopo alcuni anni negli Stati Uniti, vive oggi stabilimente in Italia, nelle Marche, dove si occupa anche di promozione culturale e turistica del territorio. Ma sempre con uno sguardo attento e curioso a ciò che accade nel mondo.

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