La partitura di Britten è ispirata all’estrema fatica narrativa di Herman Melville, l’autore di Moby Dick : un racconto intitolato appunto Billy Budd, che Melville scrive nel 1891, anno della sua morte. La genesi dell’opera di Britten ci conduce agli anni 1949-’51, e soprattutto alla collaborazione tra il compositore britannico, il famoso scrittore Edward Morgan Foster, e il regista-drammaturgo Eric Crozier. I tre lavorano di comune accordo a ricavare un libretto operistico da Melville, introducendo però diverse modifiche, con nuove scene e nuovi personaggi, funzionali all’economia drammaturgica e al pensiero musicale che muovono la creatività del musicista.
Lunghe e appassionate discussioni mettono a fuoco la cornice spaziale della vicenda, nel solco di Melville : una nave da guerra inglese, Indomitable, che non a caso naviga da sola in un mare sconfinato nel 1797, in caccia del nemico naviglio francese. Uno spazio claustrofobico, dove l’equipaggio vive in condizioni di estremo disagio, e per di più duramente vessato dagli ufficiali e dal codice di disciplina. Uno spazio di soli uomini ; e infatti Billy Budd è una delle quattro opere di Britten con cast esclusivamente maschile. E certo al fondo dell’ispirazione di Britten, come di Foster, e prima ancora di Melville, c’è il richiamo all’omosessualità che anch’essi vivono, e che nella società dell’epoca, con i suoi pregiudizi dominanti, di sicuro non ne agevola l’esistenza. Catapultato tra i dannati dell’Indomitable, la figura del giovane Billy Budd, coscritto a forza ma volenteroso di collaborare e farsi apprezzare, reca un’imprevista luce di buoni sentimenti, che gli guadagnano l’affetto e la simpatia di tutti. Tutti, a parte il maestro d’armi che, colpito nella sua sensualità malata dal ragazzo, si adopera per rovinarlo e farlo impiccare, non prima però di essere stato egli stesso, involontariamente e accidentalmente, ucciso dal giovane. Perché infatti il tema dominante dell’opera è quello che più volte ha ispirato Benjamin Britten : la lotta tra il bene e il male, con il sacrificio finale dell’innocente, costretto a soccombere dalle forze negative che percorrono e condizionano la società, come il musicista ben sapeva nella sua condizione di diverso.
Magistrale la lettura del direttore d’orchestra, James Conlon, fresco di nomina a commendatore della Repubblica Italiana. Profondo conoscitore del mondo espressivo di Britten, il direttore statunitense ha calibrato con sicurezza il suo progetto interpretativo. Ne è emersa una concertazione attentissima ai singolari equilibrî della raffinata partitura, che si articola in uno scambio continuo tra consonanza e dissonanza, fra tinte oppressive e squarci poetici. Percorrendone i complessi snodi, Conlon ha condotto l’orchestra dell’Opera a una resa impeccabile. Da un lato il direttore ha messo in evidenza, alternamente negli archi o nei tromboni, il peso delle sonorità di fondo che appaiono aspre, fosche, desolatamente uniformi oppure ritmate da grevi scansioni accordali, a rendere la nebbia incombente o il mugghiare delle onde con sonorità livide. Dall’altro ha dato luce ai vivaci interventi degli strumentini, che di frequente intervengono a comporre una tavolozza di mutevoli effetti coloristici. E anche il coro, istruito da Roberto Gabbiani, ha svolto la sua parte alla perfezione, contribuendo a rendere la plastica temperatura drammaturgica della magnifica musica di Britten.
La compagnia di canto ha esibito una prova mirabile, anche nelle seconde parti e nei comprimari, troppo numerosi per poterli citare. E i tre interpreti dei ruoli principali ostentano una rara capacità di penetrazione e di coinvolgimento emotivo. Specialmente il tenore Toby Spence, nei panni del capitano Vere, impressiona nel rendere ogni ambiguità, ogni piega del suo personaggio. La vocalità, e insieme la recitazione di Spence, disegnano impeccabilmente le sfumature della sua psiche : erudito e sensibile, di animo integerrimo e garbato, alla fine però il capitano non sa sciogliere il dilemma nella scelta tra il bene e il male, e si adegua all’ingiustizia delle regole, non avendo il coraggio di infrangerle. Come spesso accade nella realtà, appunto. Billy Budd è affidato al baritono Phillip Addis, che canta e interpreta benissimo la bellezza interiore del protagonista, con la sua bontà impenetrabile alle cattiverie, e la generosità che si spinge sino a benedire il capitano che fa eseguire la condanna. Tutta l’energia altruista del marinaio, con l’attraente fisicità che turba e sollecita il malvagio Claggart, emergono nitidamente dal luminoso canto di Addis. Da parte sua, il basso John Relyea è irreprensibile nel ruolo del maestro d’armi John Claggart, specie di commissario di bordo, personaggio perverso che, sensibile alla bellezza di Billy Budd ma più ancora alle tenaglie del male che lo possiede, congiura subdolamente per distruggerlo. E infatti John Relyea, al quale la partitura assegna nel primo atto un monologo che ricorda il Credo di Jago, disegna con proprietà e con sicuro margine tutti i chiaroscuri che gli competono.
Geniale il progetto visivo, guidato dalla regia di Deborah Warner. Disadorno lo spazio scenico, disegnato da Michael Levine con l’aiuto decisivo delle luci di Jean Kalman, e dei costumi di Chloe Obolensky. L’area è delimitata semplicemente da fitte pareti di cime pendenti su tre lati, a indicare la dimensione coercitiva dell’Indomitable. Il movimento verticale dei ponti di palcoscenico di volta in volta presenta la tolda con i marinai costretti a lustrarla, le vertiginose manovre alle cime dei mimi acrobati (manovre spettacolari, concepite da Kim Brandstrup), lo spiegamento delle vele nell’imminenza della battaglia, il dormitorio della ciurma ridotto a una fitta distesa di amache, la cabina del capitano, e così via. Col minimo di materiali, Deborah Warner inventa i luoghi del movimento frenetico della massa, come quelli degli incontri riservati e delle riflessioni solitarie. Memorabile la sovraeccitazione creata dalla scena di preparazione a uno scontro bellico che non ci sarà, per la delusione dell’equipaggio, e dalla scena del tentativo di ammutinamento (vero incubo latente per gli ufficiali dell’Indomitable) all’esecuzione di Billy Budd. E il tutto traduce alla perfezione le pulsioni, i significati, le intenzioni della musica di Britten.