In grande rilancio sotto la guida superesperta del nuovo Sovrintendente Cristiano Chiarot, il Maggio Musicale Fiorentino si è assicurato anche un Direttore Musicale d’indiscutibile valore: è Fabio Luisi, 58 anni, genovese, che lungo una prestigiosa carriera maturata sul podio delle maggiori orchestre internazionali, aveva già avuto questo ruolo alla Semperoper di Dresda, al Metropolitan di New York e all’Opera di Zurigo. Dopo l’esordio, giovanissimo, al Festival della Valle d’Itria la sua attività artistica si è svolta per diverso tempo prevalentemente all’estero, fino al suo ritorno in Italia segnato dal debutto alla Scala, da un felice rapporto continuativo con la Filarmonica e ora dalla nomina al Maggio, successore di Zubin Mehta che ne è Direttore Emerito a vita. In questa intervista racconta il suo percorso artistico, l’arrivo a Firenze e i progetti futuri: ”Da tempo”, premette, “mentre alcuni direttori italiani lasciavano il nostro Paese, io che ne sono stato a lungo lontano desideravo fare una scelta in controtendenza. Il Maggio mi è sembrata quella giusta.
Questo incarico sembra infatti segnare l’ importante approdo stabile in Italia della sua carriera svoltasi, fino a ieri, prevalentemente all’estero. È così?
È così. I motivi per cui la mia attività mi ha portato a lungo altrove non sono dipesi tanto da una mia scelta precisa quanto dalle occasioni che mi sono state offerte. In Austria, in Germania, in Svizzera, negli Stati Uniti. Occasioni interessanti che ho sempre colto con entusiasmo
Vuole ricordarle
Dopo gli studi musicali a Genova, la mia città, ebbi la possibilità di seguire i corsi di direzione d’orchestra che Milan Horwat, rappresentante della vecchia scuola mitteleuropea, teneva a Graz. Ne nacque un legame duraturo con quella città musicale. Ma già dal 1980 ero di casa al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, l’esperienza che mi ha formato e arricchito di più. Dove, a fianco di Alberto Zedda e di Rodolfo Celletti , scoprii il Belcanto e l’opera romantica. A Martina sono salito sul podio per la prima volta nel 1984 con il Requiem di Cimarosa. E in seguito vi sono tornato per una dozzina di stagioni, finchè nel 2015 ne sono diventato il Direttore Musicale. In area tedesca, prima di avere il privilegio di essere chiamato a sostituire Giuseppe Sinopoli alla Semperoper di Dresda, mi feci le ossa all’inizio degli anni Novanta alla Staatsoper di Berlino, importante teatro dove si lavorava su un grande repertorio ma con poche prove. E attraverso un impegno durissimo, vi conquistai padronanza musicale e fiducia in me stesso, che mi permisero negli stessi anni di debuttare anche a Monaco e a Vienna. Quando nel 2007 arrivai alla Semperoper trovai un clima diverso trattandosi di un teatro, certo per merito di Sinopoli, assai più simile a quelli dell’Europa occidentale per tradizione e metodi di lavoro.
In America quando ha debuttato?
Nel 2000, invitato dalla New York Philharmonic, e l’anno dopo alla Chicago Symphony . L’incontro con le grandi orchestre americane fu straordinario: la loro professionalità è fuori discussione, tutto si svolge in modo più dinamico e veloce rispetto alle compagini europee di pari valore ma i risultati non sono meno apprezzabili. Ne ebbi la conferma quando nel 2005 venni chiamato al Metropolitan, prima come direttore ospite e poi come principale, trovando sempre l’orchestra preparatissima fin dalle prime prove. Al Met ho lavorato negli ultimi dodici anni e l’ho lasciato con dispiacere, ma anche con la certezza di potervi tornare
Infine, dal 2012, è direttore stabile a Zurigo.
Un teatro interessante, che da un lato guarda al mondo tedesco propenso alle messinscene nuove e dall’altro si rifà alla tradizione italiana nella fedeltà alle opere classiche e nella scelta delle compagnie di canto. Anche qui mi sono trovato molto bene, tanto che ho rinnovato il mio impegno fino al 2022.
Il suo ritorno in Italia è avvenuto principalmente attraverso la Scala.
Sì, nel 2010 ho debuttato nell’opera e sul podio della Filarmonica, con la quale si è creato un bellissimo rapporto. È un’orchestra magnifica, che mi ha colpito in particolare per la brillantezza tutta italiana che sa conferire a compositori come Strauss. Vi torno con entusiasmo per uno o due concerti all’anno. Collaboro anche con l’Accademia scaligera, che prepara gli strumentisti e i cantanti di domani, un compito appassionante.
Ora inizia il suo rapporto stabile con il Maggio: che cosa l’ha convinta ad assumere questo ruolo, in un momento di crisi dei nostri teatri?
Conoscevo l’orchestra, estremamente esperta sia nel repertorio operistico sia nel sinfonico e portata da Zubin Mehta a livelli eccellenti. Mi ha attratto anche l’idea di un festival capace di progetti originali com’è sua tradizione, ad esempio il riproporre il Novecento italiano accostandolo alla musica contemporanea e alle novità. Senza trascurare il repertorio classico, bensì impegnandosi nel dargli una lettura diversa (è una delle lezioni che ho imparato a Martina Franca). La stagione che precede il festival è più popolare, ma sempre basata sull’unicità delle proposte e sulla loro qualità. Quanto alla crisi dei nostri teatri, sappiamo bene come non riguardi il loro livello artistico, che resta tra i migliori d’Europa, ma la mancanza di leggi che li tutelino e li sostengano economicamente come appunto avviene in quelli europei. Faccio uno degli esempi a me più noti: l’Opera di Zurigo riceve il 40 per cento dalla regione, il 30 dai privati e il resto dagli incassi, può dunque permettersi ottime produzioni e musicisti ospiti adeguati. Credo che nessun teatro italiano sia in condizioni così favorevoli. Occorre una mobilitazione del mondo musicale per ottenere i riconoscimenti che meritano.
Come intende il suo ruolo al Maggio?
Sarà ovviamente un ruolo musicale, a stretto contatto con il sovrintendente e il direttore artistico ai quali spettano gli altri compiti. Ma nell’ottica di un lavoro di squadra, che mi sembra la direzione presa nel nuovo corso del teatro e che coinvolge chi vi lavora a tutti i livelli. La grandezza di un’istituzione teatrale non dipende solo dalle scelte artistiche ma da come vengono realizzate. E su questo versante mi sento molto ottimista.
I suoi primi impegni sul podio fiorentino?
Nell’ormai prossima stagione lirica dirigerò, in febbraio, La favorite di Donizetti, mai rappresentata a Firenze nella versione originale francese: un tributo alle opere di Belcanto. Sempre in febbraio dedicherò due concerti a Richard Strauss, che è fra i compositori da me prediletti. E prima ancora, celebrerò Capodanno con la Nona di Beethoven. Per quanto riguarda il Maggio 2018, lo inaugurerò con Cardillac di Hindemith, aprendo il filone della grande musica del Novecento che percorrerà l’intero festival. Infine, in settembre, proporrò la Trilogia popolare verdiana insieme al regista Francesco Micheli, un progetto interessante.