E' il clima di lavoro che ritiene indispensabile e nel quale crede fermamente. Non dà anticipazioni sui titoli della prossima Stagione, che sta preparando. Ma ha idee molto chiare su come orientare il repertorio di un grande teatro e allargare il pubblico, anche in direzione di chi non è mai stato all'opera.
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Anche se il suo insediamento ufficiale avverrà in marzo, quando si concluderà il rapporto decennale che l'ha visto a capo della Staatsoper di Vienna, il neo Sovrintendente e Direttore Artistico della Scala Dominique Meyer è già attivo nel suo nuovo teatro. Dove fra incontri istituzionali, contatti con i sindacati e presenza agli eventi musicali in corso, è impegnato soprattutto nel programmare la prossima Stagione. Sulla quale non rilascia anticipazioni. Ma chi ha modo di avvicinarlo in questo momento di transizione trova in lui una persona affabile e disposta a dialogare, in un italiano perfetto, sul mondo dell’opera e su quello italiano in particolare, che conosce e frequenta da sempre. Ed è opinione diffusa che questa profonda conoscenza sia uno dei motivi che l'hanno portato al vertice della Scala, insieme a una prestigiosa carriera di livello internazionale.
Francese, 64 anni, nato in Alsazia ma parigino di studi universitari e di adozione, dopo essersi dedicato alla carriera accademica come docente di economia e collaboratore del Ministero della Cultura, alla fine degli anni Ottanta entrò nel consiglio di amministrazione dell’Opéra di Parigi per poi assumerne il ruolo di Direttore Generale. Con lo stesso incarico passò, negli anni Novanta, all’Opera di Losanna. Nel 1999 venne chiamato al Théâtre des Champs Élysées di Parigi come Direttore Generale e Artistico. Nel 2010, fu invitato a dirigere la Staatsoper di Vienna dov' è rimasto per dieci anni, fino alla nomina attuale.
Lei ha sempre frequentato la Scala: quale e quando è stata la sua prima volta?

Non posso dimenticarlo perché l’occasione era straordinaria: fu nel 1981 per il Lohengrin diretto da Claudio Abbado con la regia di Giorgio Strehler. Da allora ho seguito gli avvenimenti più importanti dell’era Abbado, dell’era Muti e degli anni seguenti. Ma ho frequentato anche altri teatri, in particolare il Comunale di Bologna nel periodo della direzione musicale dell’allora giovane ma già affermato Riccardo Chailly, che era a capo anche dell’orchestra del Concertgebouw.
L'opera italiana è sempre stata al centro della sua attività di manager teatrale. non è così?
Sì. Fin dal mio periodo parigino, al Théâtre des Champs Élysées, ho programmato in modo particolare il repertorio italiano. Non solo quello ottocentesco ma quello barocco, meno conosciuto perché meno eseguito: mettendo in scena, per fare qualche esempio, opere di Monteverdi, Cavalli, Leo. E alla Staatsoper di Vienna ho ripreso con piacere una lunga tradizione che da sempre privilegia i titoli italiani, tant’è che attualmente coprono il sessanta per cento delle produzioni. In Italia ho continuato a frequentato con interesse i teatri lirici e sono stato chiamato a far parte di una cinquantina di giurie di concorsi di canto. Credo insomma di avere una certa familiarità con il mondo della lirica nel Paese dove l’opera è nata.
La Staatsoper di Vienna, il più importante teatro lirico europeo di repertorio, viene spesso contrapposta alla Scala considerata (secondo la definizione che ne diede Paolo Grassi) teatro d’arte.
Lei è d’accordo con questa contrapposizione?
Sono due teatri diversi fra i quali, a mio parere, non esiste alcuna contrapposizione. Anche a Vienna, infatti, si fa teatro d’arte, basta pensare ai grandi direttori, registi e cantanti che vi si avvicendano. La differenza è solo una questione di programmazione. La Staatsoper viennese infatti è aperta tutte le sere e ciò fa sì che gli spettacoli di maggior valore e successo possano entrare stabilmente nel repertorio per anni, mentre la Scala è un teatro cosiddetto ‘di stagione’ che non potrebbe adottare un simile modello. Inoltre l’orchestra dei Wiener Philharmoniker, che esegue ripetutamente quei titoli, non necessita di lunghe prove. Ricordo che Thielemann ne fece sette in tutto per l’intero Ring e Muti una sola per Le nozze di Figaro quando lo spettacolo venne portato a Okinawa
Da anni ormai, sia il pubblico sia la critica si dividono a proposito delle messinscene tra coloro che amano quelle innovative basate sull’attualizzazione talvolta esasperata del soggetto e altri che le trovano devianti rispetto al testo e alla tradizione. Lei che cosa ne pensa e quale tipo di regie predilige?
Sono convinto che le due opposte concezioni della regia teatrale, definite un modo un po’ generico l’una innovativa e l’altra conservatrice, oggi non siano più così contrastanti e inconciliabili come quando, qualche decennio fa, la prima irruppe sui palcoscenici sconcertando una parte del pubblico. Intanto va detto che anche i grandi registi del passato, da Visconti a Strehler a Ronconi e ad altri, sono stati innovatori spesso incompresi e protestati prima di conquistare le platee. La sensibilità e le esigenze del pubblico cambiano, nel tempo, e il lavoro registico si deve evolvere di conseguenza. Oggi mi sembra che le nuove messinscene, quando sono di valore, vengano accettate, comprese, applaudite. Personalmente, non prediligo questo o quel tipo di regia, dipende dal genere d’opera che si rappresenta, dal suo contesto drammaturgico. In ogni caso l’importante è che l’interpretazione musicale e quella scenica vadano nella stessa direzione
Ritiene che la Scala debba puntare su un repertorio particolare? E quali scelte saranno al centro del suo lavoro di Direttore Artistico?
Un grande teatro internazionale come la Scala deve avere un repertorio vasto e aperto, che naturalmente tenga conto della sua speciale identità e della sua splendida tradizione. Entro questa prospettiva, di per sé immensa e inesauribile, vorrei però introdurre via via qualche scelta particolare. Fra le prime, l’opera barocca e i suoi capolavori magari poco conosciuti, che alla Scala possono avere un rilievo incomparabile e un rilancio mondiale
E’ favorevole alle coproduzioni?
Le coproduzioni riducono le spese di uno spettacolo, e questo è un buon motivo per realizzarle. Quindi sono favorevole, purché nascano preferibilmente alla Scala e rispecchino l’identità del teatr
Oggi più che mai l’opera è considerata un genere che attira in prevalenza il pubblico anziano. Che cosa si può e si deve fare per attirare i giovani e più in generale un nuovo pubblico?
Il lavoro fatto di recente alla Scala per coinvolgere i bambini con spettacoli a loro dedicati e per aprire il teatro agli under trenta è ottimo. Il successo di queste iniziative ci spinge ad estenderle al massimo anche in altre direzioni. E il nostro teatro è pronto a farlo. Sono convinto che un nuovo pubblico per l’opera esista, di varie età e capace di appassionarsi all’opera pur non avendola mai frequentata finora perché il problema, come si sa, è il costo dei biglietti. Ma le alternative per favorire quel pubblico sono già in corso e andranno sempre più ampliate
Fra le sue prime dichiarazioni arrivando alla Scala, lei ha avuto forti parole di elogio per il Maestro Chailly: lo conosceva già e da vicino?
Certamente. Seguo la sua attività da sempre e ho avuto il privilegio di ospitare suoi concerti quando dirigevo il Théâtre des Champs Élysées. Ora alla Scala ci siamo incontrati più volte e fra noi si è delineata un’intesa che, ne sono certo, si rafforzerà sempre più e darà buoni frutti
Ha già incontrato anche i massimi responsabili del teatro e i sindacati entrando in contatto quotidiano con chi svolge le varie attività. Come le sembra il clima generale di lavoro?
Fin dal mio arrivo mi sono sentito professionalmente a mio agio, quasi in famiglia, trovando tutti aperti al dialogo e a prospettive di collaborazione. M’impegnerò affinché il clima di lavoro sia sotto il segno dell’armonia, nel quale credo fermamente
Sta progettando la stagione 2020-2021 ma, giustamente, non ha voluto darne anticipazioni. Le chiediamo solo a che punto è e quando verrà presentata.
La prossima stagione è in gran parte delineata, ci sono solo alcune cose da sistemare. La presenteremo, com’è tradizione del teatro, in maggio

© Teatro alla Scala (cast Romeo)