Intanto è stata interessante la scelta di Gardiner, considerata la sede del concerto, di proporre il testo nella versione italiana, predisposta nel 1801 dall’abate Giuseppe Càrpani. Una versione di impeccabile riuscita che, vivente Haydn, già nel primo decennio dell’Ottocento fece conoscere il capolavoro ai pubblici delle principali città italiane. Niente spazio, quindi, ai puristi che vorrebbero sempre e soltanto la lingua originale. Ché poi, in questo caso, originale non è, perché l’abituale testo tedesco è una traduzione dal vero originale, che è inglese. John Eliot Gardiner è dunque tornato sul podio di Santa Cecilia per dirigere La Creazione, l’oratorio di Franz Joseph Haydn che, dalla sua apparizione a fine secolo XVIII, si è consolidato tra i monumenti della vita musicale.
Forte dell’immensa esperienza nella musica antica, della consueta cura nella valorizzazione di parole e significati, della buona conoscenza della lingua italiana, il direttore britannico ha esibito una lettura memorabile della partitura, e del suo libretto in versione italiana. Proprio il testo, infatti, è stato scolpito con plastica resa espressiva, grazie all’intelligenza e alla sensibilità dei cantanti. E, accanto a quella dei solisti, va sottolineata la bella prova dei complessi dell’Accademia, che hanno corrisposto egregiamente alle intenzioni interpretative di Gardiner : l’Orchestra , con un suono limpido, morbido, avvolgente, ma anche con grandiosi affondi, e il Coro (preparato da Piero Monti), altro protagonista nel suo particolare itinerario, tra momenti delicati o apertamente incisivi.
Già dall’affresco iniziale, nella descrizione del Caos, e poi nel passaggio dalle tenebre alla luce, emerge l’attenzione di Gardiner ai minimi dettagli. E il primo recitativo dell’arcangelo Raffaele, intensamente scandito dal basso Roberto Lorenzi (poi Adamo nella parte finale dell’Eden), lascia il segno con quella chiusa appena sussurrata sul verso “o in lievi fiocchi d’illibata neve”. Quasi un madrigalismo cinquecentesco, territorio del resto ben noto al maestro inglese, come si conferma nell’aria seguente “Rotolando i spumanti marosi”, sempre di Raffaele, alla quale il timbro caldo e pastoso di Lorenzi riesce egualmente a garantire una sillabazione sempre raffinata ed espressiva.
Via via, nell’incedere del racconto e della musica, si definiscono i chiaroscuri dell’interpretazione di Gardiner, che a ogni passo palpita di capacità comunicativa, di introspettiva finezza. Straordinaria è la prova del soprano olandese Lenneke Ruiten nel ruolo di Gabriele (sarà poi Eva nell’episodio finale), parte nella quale esibisce una dizione perfetta, e soprattutto una vocalità impeccabile nel fraseggio e nel dosaggio delle tinte. Si sente che la Ruiten è un’interprete attiva specialmente nella musica da camera, terreno nel quale molto si ottiene con la misura e l’intelligenza. E infatti si disimpegna con sicura eleganza anche nelle colorature e nei da capo variati, come nell’aria “Dell’occhio al diletto”, dove il suo bel gusto si conferma anche nei pianissimo. Ascoltandola, si comprende subito perché il maestro l’abbia voluta nel cast ; ancora da rimarcare, a proposito, la specifica cura che il direttore inglese rivolge all’esecuzione dei da capo.
Molto lodevole anche il tenore Giovanni Sala, che ha dato voce al personaggio di Uriele, esibendo un timbro luminoso e convincente in ogni frangente espressivo. La duttilità del suo fraseggiare gli ha procurato gli accenti appropriati già nell’aria iniziale “Al brillar degl’almi rai”, così come lo squillo necessario a dipingere l’ascesa del sole in “Ecco in un mar di luce”. Il contributo di Sala si è aggiunto alla tavolozza di colori voluta da John Eliot Gardiner, che ha edificato una concertazione sapientemente dosata nella messa a punto del monumentale polittico, in una sagace articolazione tra passaggi perentori e ripiegamenti più lirici e delicati. E il suo messaggio è giunto con limpidezza al pubblico, che ha premiato con lunghe ovazioni direttore, solisti, e complessi dell’Accademia.