Programma
Ludwig van Beethoven (1770–1827)

Sinfonia n°9 per solisti, coro e orchestra in re minore op. 125 "Corale"

Hanna-Elisabeth Müller, soprano
Okka von der Damerau, mezzosoprano
Benjamin Bruns, tenore
Hanno Müller Brachmann, basso

Orchestra e Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Maestro del coro : Ciro Visco

Direzione musicale : Kirill Petrenko

 

 

Roma, Auditorium Parco della Musica, sabato 6 aprile 2019

Per la terza volta dal 2010, Kirill Petrenko sale sul podio dell'Orchestra Nazionale dell'Accademia di Santa Cecilia a Roma, questa volta non più come un promettente direttore d'orchestra, ma come il prossimo direttore musicale dei Berliner Philharmoniker, con un programma con cui inaugurerà la prossima stagione, la Nona sinfonia di Beethoven. Di fronte ad una sala strapiena e attentissima, scatena uno di quei trionfi di cui si parlerà negli annali. In sostanza, questa nona sinfonia da antologia ci rivela ancora dei segreti, e i complessi di Santa Cecilia, orchestra e coro (quest'ultimo minacciato anche di tagli e sul punto di scioperare) hanno dimostrato di essere all'altezza dei complessi più celebri d’Europa. Una serata fenomenale.

Se servisse rispondere alle Cassandre che dicono di respirare l'aria di Berlino (Berliner Luft cara a Paul Lincke)((Paul Lincke è il compositore di Frau Luna, considerata la prima operetta berlinese, di cui è tratto Berliner Luft, l'inno di cuore dei berlinesi))  e aggiungere altri elementi alla discussione circa le presunte preoccupazioni che aleggerebbero nei corridoi della Filarmonica sul cosiddetto ristretto repertorio del nuovo maestro incaricato, ecco la risposta attraverso l’esecuzione di un pilastro del repertorio tradizionale dell'orchestra e della musica classica in generale : un'orchestra e un coro, i solisti e un pubblico in adorazione, trafitto nel cuore da un'esecuzione che farà data. In effetti, colpire nel segno con un’opera certamente meravigliosa, ma anche conosciuta e scontata, riuscire a ridestare interesse come se fosse una novità è un risultato che non inganna.

Per cercare di comprendere la coerenza del percorso dedicato a Beethoven nel 2019 da Kirill Petrenko, occorre partire dal Fidelio di Monaco di Baviera a gennaio e febbraio, passare alla Missa Solemnis più umanistica che religiosa di febbraio, per arrivare a questa materia incandescente, sia tesa sia piena di speranza, che diventa la Nona sinfonia sotto la direzione di Kirill Petrenko. È necessario, infine, sottolineare l'ironia (tragica…) di ascoltare un simile testo a Roma, ad un mese dalle elezioni europee (un'Europa di cui la Nona è l'inno ufficiale) in cui l'estrema destra spera di riuscire ad affermarsi in un'Europa dove i nazionalismi stanno diventando protagonisti e a cui questo concerto dà una risposta che è tutto un programma. "Seid Umschlungen, Millionen, Diesen kuss der ganzen Welt ! … "(("Abbracciatevi, moltitudini !
Questo bacio vada al mondo intero Fratelli"
)), anche se accostare le misere discussioni di piccoli protagonisti del teatrino della politica all'alta aspirazione di Beethoven rende loro decisamente troppo onore.

Petrenko, per cui ogni silenzio della partitura è fortemente marcato ed equilibrato, si ferma proprio dopo "Gott" ("der Cherub steht vor Gott …"). È spesso incombente la presenza di Dio in questo testo : come non pensare alla Missa Solemnis e alle sue angoscianti domande ? La risposta qui arriva dalla Gioia creatrice, che per Schiller e Beethoven non è una semplice gioia degli uomini, ma una specie di Gioia mistica che deve necessariamente unire gli uomini.

Ripensando a Barrie Kosky che spiega nell'intervista che ci ha concesso ((Intervista in francese : https://wanderer.legalsphere.ch/interview/a‑la-komische-oper-les-fantomes-sont-tres-heureux/)) che Fidelio dovrebbe sempre essere eseguito in un forma di concerto, poiché non riusciamo a portare in scena un teatro di idee, siamo qui nella naturale conclusione del teatro delle idee Beethoveniane, che il percorso di Kirill Petrenko da gennaio ad aprile voleva illustrare. Questa coerenza, questo percorso, questa unità di intenzioni e approccio, si sono rivelati pienamente, brillantemente nel concerto di questa sera. Ecco la comparsa di un mondo di idee superiori, che si oppone al mondo in cui noi, piccoli uomini, viviamo. E queste idee, la musica travolgente di questa sera ce le ha manifestate e ha fatto in modo che si siano impadronite di noi.

Non so perché, le immagini del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, a minima distanza da noi, mi sono tornate in mente, questo capolavoro dai colori scintillanti e generosi, tutto in movimento, dai dettagli sorprendenti, e tanto, tanto umano. Perché la Nona diretta da Petrenko è un'esplosione di misticismo umano, scandita dai timpani che diventano come tanti segni di avvertimento, e questa sinfonia è un intreccio di inquietudini, tempeste, momenti di dolcezza, di pacificazione, e di speranza che si intersecano, e Petrenko ci fa ben intendere questi scontri facendoci percepire l’inquietudine del momento come inquietudine dell'umanità innalzato a livello cosmico.

È questa dialettica tra l’angoscia e la speranza, tra l’attenzione e l’azione che colpisce fin dall’inizio, con l'Allegro ma non troppo del primo movimento che inizia in modo misterioso, su due semplici note suonate all’inizio dal corno (un Alessio Allegrini abbagliante per tutta la serata), e poi dai secondi violini e dai violoncelli in un dialogo tra momenti tesi e tormentati (uso dei timpani, sempre evidenziati da Petrenko nel corso della sinfonia) e altri in cui si prende fiato, tutto con una incredibile fluidità, con dei legni straordinari. Spesso sentiamo dire che Petrenko è un direttore "preciso", e in effetti l'orchestra suona senza sbavature, ma ancor più importante è la precisione di ogni nota, il modo in cui è tenuta e modulata, e l'incredibile varietà di colori conferiti al singolo suono prolungato e che quindi può svilupparsi per toni cangianti in pochi attimi. Petrenko esalta qui la complessità della composizione di Beethoven, sottolineando sia la chiarezza dell'esposizione iniziale sia quella del tema, e poi tutte le variazioni a cui è sottoposto, non solo nella tonalità ma anche nel colore. Non c'è una drammaturgia evidente, come in altre sinfonie, c'è un'esposizione animata (= dell'anima), in tutte le sue comparse, le sue esitazioni e i suoi cambiamenti di umore. È semplicemente straordinaria per varietà e allo stesso tempo per profonda unità.

Lo scherzo, molto vivace, presto, posto come secondo movimento e prima dell'Adagio, è un caso unico nelle sinfonie di Beethoven (ma non nelle sue sonate) e risulta ancora più drammatico e teso, come se preparasse già il richiamo iniziale del basso nel quarto movimento "Amici miei, non queste note ! Intoniamone altre, più felici e più gradevoli. "((O Freunde, nicht diese Töne ! Sondern lasst uns angenehmere anstimmen, und freudenvollere.))

L'adagio (adagio molto e cantabile) non è un movimento "lento" nel senso tradizionale del termine. E’ evidentemente più largo ma scorre fluidamente in un continuo movimento e si differenzia rispetto ai primi due movimenti, ancorati alla tragedia del mondo reale e al quarto che si innalza al mondo dell'Ideale. È forse in questo adagio che si ascolta meglio il lavoro dell'orchestra, in particolare attraverso la perfezione delle transizioni, la modulazione dei volumi, il controllo del suono e l'intreccio dei motivi. Ogni strumento diventa qui un solista (il fagotto esemplare…) e l'insieme esprime un sentimento un po' disincantato. Le variazioni sul tema principale vengono realizzate con stupefacente fluidità grazie al gioco degli archi, guidati dallo splendido violino solista dell'orchestra Roberto González Monjas, che diventano di straordinaria leggerezza – ah ! i pizzicati della terza variazione – e dove i legni sono per parte loro abbaglianti. Tutta la parte finale è sognante, con ottoni che sussurrano e questi archi che si spengono in una sorta di moto perpetuo. L'impressione è quella di una tenerezza un po' distaccata, di una malinconia che prende l'ascoltatore : qui non vi è nulla di troppo, nient'altro che un equilibrio miracoloso, una specie di calma prima della tempesta del quarto movimento, legato al terzo senza interruzione. Petrenko ci ha abituato a lunghe interruzioni tra un movimento e l’altro che rappresentano vere e proprie meditazioni tra ogni movimento, ma qui al contrario passa bruscamente da quest'atmosfera che si spegne lentamente all'esplosione che ci ricorda i primi due movimenti, perché il direttore lavora costantemente sui contrasti che rendono evidenti gli echi della musica, e quindi creano la drammaturgia dell'insieme. Il suono dei violoncelli e soprattutto dei contrabbassi che sostengono è semplicemente favoloso. Tutto questo inizio crea una drammaturgia quasi teatrale che si sviluppa tramite variazioni infinitesimali di tono e volume, qualcosa di inquietante o addirittura cosmico si appresta, e in contrasto ecco il tema della Inno alla Gioia di Schiller, apparentemente così semplice. Siamo calati nel teatro del mondo, e in questo teatro compaiono le voci.)). La tensione drammatica all'inizio esplode in maniera forse ancora più forte, ma il colore rimane quello del primo movimento. Il movimento è talmente ampio che sembra prospettare un vero e proprio terremoto disegnato da timpani imponenti che creano il colore e scandiscono tutto il tempo con momenti tellurici particolarmente marcati e sorprendenti, persino esplosivi. Dobbiamo sottolineare l'eccezionale esecuzione dell'orchestra (i legni, il flauto!) che segue passo dopo passo il direttore, senza esitazione, senza imprecisioni, con un impegno e una concentrazione esemplare, ogni elemento trasformato in un vero e proprio virtuoso, ad ogni frase, con Petrenko che variando il tempo da un momento all'altro richiede virtuosismi ineguagliabili : è al tempo stesso chiaro ed energico senza mai essere pesante ; fluidità e leggerezza impadronendosi di questa dimensione travolgente e varia, dove non vi è un momento in cui il respiro, epico e lirico allo stesso tempo si fermi, con variazioni di volume, ritmo e intensità (i crescendo …) che si alternano in un attimo e regalano a questi momenti una vivacità mozzafiato. Più che la tragedia del primo movimento, è qui che viene esaltata la vita umana nel suo corso disperato, che scorre in modo vertiginoso non verso l'abisso ma verso l'elevazione : c'è la tensione, ma anche qualcosa di più : "S’alza il vento!… Tentiamola la vita!" ha detto Paul Valéry nel Cimitero marino... Questa interpretazione è supportata con tale maestria da un’orchestra eccezionale che si esprime con autentica poesia, come passando dal epico al lirico da un verso all'altro per raccontarci il mondo intero. Perché questo scherzo energico e vitale non è, tuttavia, privo di una tenerezza che prelude a quanto si ascolterà nel movimento successivo.

La questione della vocalità è essenziale e al tempo stesso problematica per Beethoven, che non scrive per le voci nelle stesso modo agile con cui scrive per gli strumenti. I lunghi ripensamenti per Fidelio, la lunga gestazione della Missa Solemnis, i progetti stessi di questa Nona che originariamente erano per due sinfonie, una vocale, l'altra puramente sinfonica, poi trasformate in una sola, allo stesso modo le esitazioni per un’entrata del basso con un recitativo che rimprovera ai primi movimenti di essere troppo vicini a uno stato di disperazione e preferisce proiettarsi verso la Gioia. Come se la voce superasse nell’incantesimo evocativo la musica "pura" e l'aspetto "corale" letteralmente e figurativamente fosse l'unico possibile per evocare la Gioia mistica, che affratella, desiderata da Beethoven. Cantare insieme significa esprimere l'idea di fraternità e solidarietà. La voce è così imperativa in un tale programma ideologico, per coronare l’idea di fondo.

Le prestazioni dei solisti sono impressionanti, in particolare l'entrata particolarmente difficile del basso in cui Hanno Müller-Brachmann, un cantante più specializzato nel genere dell’oratorio che dell’opera, riesce con grande eleganza a superare le insidie della parte ​​e produrre un suono chiaro dalla dizione esemplare. Gli interventi dei solisti sono brevi, ma comunque singolarmente difficili. Il tenore Benjamin Bruns (già impegnato nella Missa Solemnis di Monaco di Baviera) è particolarmente controllato con la sua emissione chiara e dizione impeccabile, anche nel modo di modulare il suono con impeccabili agilità : basso e tenore sono le due voci cui spetta un assolo, le voci femminili risuonano assieme con parti acrobatiche in cui Hanna-Elisabeth Müller emerge per il suo timbro giovanile, pur un po’ metallico ma comunque potente e controllato ; Okka von der Damerau ha nell’ambito del quartetto vocale un ruolo di sostegno come i contrabbassi suonano a supporto dei violoncelli menzionati sopra. Il suo timbro caldo, sempre presente, mai ostentato, impreziosisce il colore generale.

Il coro di Santa Cecilia, diretto dal maestro Ciro Visco, ha offerto una straordinaria prova, con un impegno costante, le voci femminili protagoniste per fiati e intensità rare. È indubbiamente una bella risposta artistica alle intenzioni di ridurre le forze (- 40!) che ha rischiato di causare uno sciopero, per fortuna rinviato ad altra data. La situazione delle istituzioni culturali in Italia è fragile e la Direzione cerca con ogni mezzo di ridurre i contratti permanenti. L'assenza di un politica culturale (ormai da anni) in un Paese la cui cultura è indubbiamente uno dei beni più importanti è un vero e proprio crimine. Il coro ha dunque partecipato allo spettacolo malgrado tutto in maniera potente, vigorosa, particolarmente commovente, senza sbavature, presentandosi al meglio per l’impegno di questo importante concerto. Naturalmente le forze di Santa Cecilia eseguono la Nona sinfonia quasi ogni anno (2010, 2012, 2013, 2014, 2015, 2016) e sono state dirette in questo lavoro dalle bacchette leggendarie del secolo scorso, da Mengelberg a Furtwängler, da Giulini a Sawallisch, da Markevich a Böhm, ma questo non ha generato pregiudizi, si leggeva sui loro volti il segno di un momento d’eccezione per il quale avevano dato tutta questa sera, a riprova, se necessario, della qualità di livello europeo più alto dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Se c'è una dote di Kirill Petrenko che pochissimi evidenziano, questa è la sua capacità di comunicare. E’ conosciuto il suo desiderio sistematico di evitare i media, ma ci si dimentica della sua abilità nel comunicare con le orchestre, la sua gentilezza meticolosa, che spesso riesce a ottenere l'impossibile dai musicisti, con il suo senso del dettaglio che rivela un atmosfera, un colore, il suo modo di unire tutti gli strumentisti e cercare nel cuore dell'orchestra il minimo suono (pensare a come viene utilizzato il triangolo in questa sinfonia). Il suo modo di lavorare sul gruppo, per farlo aderire compatto alla sua visione, non è una strategia ma semplicemente un modo di essere, semplice, modesto, gentile e soprattutto testardo. Il calore con cui l'orchestra nel suo complesso l’ha accolto, l’ha applaudito, ha pestato i piedi in ritmo per lui, il calore stesso con cui lui ha omaggiato i solisti e abbracciato il primo violino è stato emblematico di una particolare qualità relazionale. La felicità era visibile su tutti i volti, la felicità di aver esplorato nuovi abissi.

In effetti, l'approccio di Kirill Petrenko è indiscutibilmente nuovo, in linea con una nuova generazione di direttori (Petrenko ha 47 anni), vi è un rispetto scrupoloso della scrittura di Beethoven, senza fronzoli, e una fluidità eccezionale che non diventa mai velocità fine a se stessa : il primo movimento ci porta su di un percorso all’opposto di quello di un Furtwängler, e l’insieme si ricollega alla recente lettura Missa Solemnis con cui egli traccia, come abbiamo detto, una stretta connessione. Un collegamento il cui punto comune è la volontà di restare ancorati ad un livello "umano". In questo senso, dal Fidelio in poi, ci mostra un approccio all’universo di Beethoven profondamente segnato dall'idea di umanesimo illuminista, in cui l’invocazione al Divino sembra piuttosto formale per quanto l'uomo è esaltato. Questo approccio quasi hegeliano (Hegel è il suo esatto contemporaneo, nato come lui nel 1770, e morì quattro anni dopo di lui) esalta la grandezza degli uomini nella storia, dando ad una umanità mitizzata la dimensione del trascendente. La "trascendenza dell'umano", ecco quello cui si arriva, per tramite di un'interpretazione che rifiuta compiacimento e sdolcinatezze, che non aggiunge nulla alla partitura per dargli una valenza che avrebbe ridotto il ruolo dell'uomo, mentre qui è l'Uomo che è centro. Stavo cercando da qualche settimana quello che ha dato alla sua Missa Solemnis questo colore davvero nuovo, la Nona mi ha appena dato la risposta.

Crediti foto : © Musacchio, Ianniello & Pasqualini : le foto del concerto sono quelle del 4 aprile 2019

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