Gaetano Donizetti (1797–1848)
Lucrezia Borgia (1833)
Melodramma in un prologo e due atti
Libretto di Felice Romani dal dramma omonimo di Victor Hugo
Prima rappresentazione : Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1833

Direttore d'orchestra            Yves Abel
Regia                                        Silvia Paoli
Scene                                       Andrea Belli
Costumi                                   Valeria Donata Bettella
Luci                                          Alessandro Carletti
Coreografia                             Sandhya Nagaraja
Maestro del coro                    Gea Garatti Ansini

 

Lucrezia Borgia                       Olga Peretyatko
Alfonso I d’Este                       Mirco Palazzi
Gennaro                                    Stefan Pop
Maffio Orsini                           Lamia Beuque
Jeppo Livoretto                       Cristiano Olivieri
Don Apostolo Gazella            Tommaso Caramia
Ascanio Petrucci                     Tong Liu
Oloferno Vitellozzo                Stefano Consolini
Gubetta                                    Nicolò Donini
Rustighello                              Pietro Picone
Astolfo                                      Luca Gallo

 

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
Coproduzione Auditorio de Tenerife, Ópera de Oviedo e
Teatro de la Maestranza di Siviglia

Bologna, Teatro Comunale, giovedì 12 maggio 2022, ore 18

Luci e ombre in quest’allestimento di Lucrezia Borgia, coprodotto con alcuni teatri spagnoli. Positivo il versante musicale, problematico il progetto scenico. Una regìa attentamente documentata ha messo in luce come Lucrezia Borgia, storicamente, al di là di fantasiose leggende sia stata vittima dei poteri maschili dell’epoca. Tuttavia, la realizzazione concreta della verità storica è stata infarcita di eccessi, che hanno minato la credibilità dell’operazione. L’impiego esagerato, anche se coraggioso, di atteggiamenti violenti è andato fuori rigo, specialmente in una scena. E, nel pubblico in sala, qualcuno si è esibito in proteste di sapore perbenista, anch’esse fastidiose

L’intenzione interpretativa era interessante, ma la traduzione scenica è andata fuori misura. Come quando il regista s’innamora della propria idea, al punto da sottovalutare l’imprescindibile necessità di partire dalla musica. E cioè di compenetrarsi e ancorarsi prima di tutto alla creazione musicale, per poi sviluppare il suo progetto visivo. Perché pur sempre di opera lirica si tratta, ricordiamolo. È la sintesi del giudizio sulla recente Lucrezia Borgia del Teatro Comunale di Bologna, centrata sulla regia di Silvia Paoli. La regista fiorentina ha compiuto un attento lavoro di documentazione, attingendo al materiale storiografico sul personaggio. E si è resa conto che l’immagine della nobildonna rinascimentale è stata radicalmente deformata dal dramma di Victor Hugo, Lucrèce Borgia, andato in scena a Parigi nel 1833. Dramma dal quale, in omaggio ai gusti e al clima del romanticismo, la duchessa era stata inchiodata a indelebile icona di avvelenatrice seriale, e di dissoluta praticante di sesso e intrighi. E non mancava anche l’infamia di aver subìto un incesto, ad opera del padre, Papa Alessandro VI. Come se poi fosse stata colpa sua, di Lucrezia : cornuta e mazziata…

Chiaro che un drammone di questo genere, con le sue morbosità, fosse un ghiotto boccone per ricavarne un melodramma ottocentesco in piena regola ! Ed è il letterato Felice Romani a confezionare  subito, nello stesso 1833, il libretto per la Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti. Da lì in poi, l’immagine di Lucrezia è fissata come assassina senza scrupoli, esposta a ogni perversione, che può trovar modo di redimersi soltanto nella maternità, come suggerisce il testo di Romani, mitigando Hugo. E invece Silvia Paoli, dalle sue ricerche nella storiografia specializzata, ci ricorda che Lucrezia è anzitutto una vittima. Tanto per cominciare, non sembra avesse mai avvelenato alcuno, e fu piuttosto usata e consumata dal padre, fin dall’età di dodici anni, come pedina di una disinvolta politica di matrimoni combinati in successione. Una vittima del potere maschile, violento e patriarcale. Vittima degli uomini che decidono per lei, imponendole le scelte a loro convenienti.

Olga Peretyatko (Lucrezia) Mirco Palazzi (Alfonso d'Este) Stefan Pop (Gennaro)

E questo mondo cinquecentesco, con le sue regole implacabili, nel suo progetto scenico la regista lo trasporta nel ventennio fascista, popolato di maschi in orbace, per i quali la donna in genere è subordinata al loro perverso potere. Figurarsi poi per una donna come Lucrezia Borgia, dipinta come infame, malvagia, rea, e via continuando. E di certo, nella partitura donizettiana, non mancano suggestioni inquiete e oscure, che accennano a una realtà patologica. Insomma, scopo di questa regia bolognese è di presentare Lucrezia come vittima, come donna che non è stata capita nei propri sentimenti e debolezze, e che è attorniata da un ambiente duro e dispotico. Il progetto di Paoli  – su scene di Andrea Belli, costumi di Valeria Donata Bettella, disegno luci di Alessandro Carletti, movimenti coreografici di Sandhya Nagaraja –  sarebbe stato stimolante. Ma la regista si è fatta prendere la mano, e ha inutilmente esagerato.

Un ampio mattatoio, con tanto di piastrelle insanguinate alle pareti e ganci da macello pendenti dall’alto, ha fatto da contenitore per l’intera vicenda, variando via via gli arredi interni. E questo spazio ospita, oltre ai personaggi principali, un andirivieni di donne discinte e disponibili. Dopo il prologo, l’acme si raggiunge all’inizio del primo atto, in una scena di violenza che ricorda il film pasoliniano, Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Al centro, una gabbia metallica stipata di donne seminude, come polli…

Al centro, una gabbia metallica stipata di donne seminude, come polli in una stia, e fatte oggetto di minacce e percosse. A turno, qualcuna è trascinata fuori, appesa per le mani ai ganci da macello, e sottoposta a stupri e sadismi. Troppo. E soprattutto non giustificato in alcun modo dalla partitura. Non a caso, al termine di Vieni : la mia vendetta di Alfonso, e della successiva cabaletta Qualunque sia l’evento, al calar del sipario per un cambio scena, alla replica del 12 maggio si è scatenata la vivace protesta di alcuni spettatori, anche questa oltre misura. Esagerata la regia, ma sgradevoli anche i contestatori, per l’evidente, eccessivo moralismo che li animava.

E dire che invece, sul versante dell’esecuzione musicale, lo spettacolo è apparso senz’altro apprezzabile. Consapevole e attenta è apparsa la direzione e concertazione di Yves Abel, che ha ricavato il possibile dalla modesta Orchestra del Comunale, mentre si è ben disimpegnato il Coro, istruito da Gea Garatti. Del nutrito cast, una spanna sopra è risultata la prova dei due protagonisti, Olga Peretyatko, Lucrezia, e Stefan Pop, Gennaro.

Lodevole anche il Duca Alfonso di Mirco Palazzi, incisivo nel difficile ruolo, nonostante il timbro un po’ asciutto agli estremi del registro grave.

Olga Peretyatko (Lucrezia Borgia)

Lunghi, scroscianti applausi hanno premiato la prima aria di Lucrezia, Com’è bello ! Quale incanto, con la quale Olga Peretyatko ha subito chiarito la sua piena padronanza del personaggio. Ancor prima che dal lato vocale, il soprano russo convince nel saper rendere la prismatica personalità di Lucrezia, di volta in volta ardente, smarrita, ansiosa. Il suo canto risulta, nella nostra replica, calibrato e omogeneo in ogni registro, sicuro nelle agilità, intenso e toccante in ogni situazione.

Stefan Pop (Gennaro)

Di alto livello la prestazione di Stefan Pop, nei panni di Gennaro. Fin dal Prologo, e dall’aria Di pescatore ignobile, il tenore romeno esibisce una perfetta padronanza del ruolo. Fraseggio appropriato, timbro caldo e rotondo, squillo limpidissimo, dizione impeccabile : le doti vocali ed espressive danno a quest’artista un margine di sicurezza che imprime un segno ben riconoscibile. La parte di Maffio Orsini è onorevolmente assolta dal mezzosoprano Lamia Beuque. Nutrito lo stuolo dei comprimari, tra i quali si distinguono Nicolò Donini (Gubetta), Pietro Picone (Rustighello), Luca Gallo (Astolfo), affiancati da  Cristiano Olivieri (Jeppo Livoretto), Tommaso Caramia (Don Apostolo Gazella), Tong Liu (Ascanio Petrucci), Stefano Consolini (Oloferno Vitellozzo).

Scena d'insieme
Avatar photo
Francesco Arturo Saponaro
Francesco Arturo Saponaro ha esercitato a lungo l’attività di docente in Storia della musica, e di direttore in Conservatorio. Da sempre mantiene un’attenta presenza nel campo del giornalismo musicale. Scrive su Amadeus, su Classic Voice, sui giornali on line Wanderer Site e Succede Oggi. Ha scritto anche per altre testate : Il Giornale della Musica, Liberal, Reporter, Syrinx, I Fiati. Ha collaborato per molti anni con la RAI per le tre reti radiofoniche, conducendo innumerevoli programmi musicali, nonché in televisione per RaiUno e TG1 in rubriche musicali.

Autres articles

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici