Franz Joseph Haydn (1732–1809)
Die
Schöpfung (1798)

Gabriel/Eva : Mandy Fredrich (soprano)
Uriel : Bernard Richter (tenore)
Raphael/Adam : Markus Werba
Mezzosoprano : Veta Pilipenko

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del coro : Lorenzo Fratini

Direttore : Zubin Mehta

Firenze, Teatro del Maggio, 24 novembre 2021

 

 

 

Firenze, Teatro del Maggio, 24 novembre 2021

Zubin Mehta, dopo aver combattuto vittoriosamente la grave malattia che lo aveva colpito alcuni anni fa, ha ripreso a dirigere a ritmi anche più intensi di prima, degni d’un giovanotto, in barba ai suoi ottantacinque anni. È tornato alla Scala, dove mancava da anni, è tornato a Napoli, è tornato a Palermo, non è tornato purtroppo a Roma. Senza contare i suoi impegni all’estero, particolarmente intensi in Germania, oltre a quelli con le due orchestre di cui è direttore emerito, la Los Angeles Philharmonic e la Israel Philharmonic. Ma il centro della sua attività resta Firenze.

Mandy Fredrich (Soprano) Zubin Mehta

A Firenze Mehta è stato direttore musicale dell’Orchestra del Maggio Musicale dal 1985 al 2017, diventandone poi direttore onorario ma in pratica svolgendo le funzioni di direttore principale, poiché in questa stagione dirige tre opere e molti concerti (senza contare quel che dirigerà durante il prossimo festival del Maggio, di cui non è stato comunicato ufficialmente il programma). Cose note. Ma è bene ricordarle. È invece una novità di questi giorni l’intitolazione a suo nome del nuovo auditorium fiorentino : un atto di amore e stima immensi di Firenze nei confronti del direttore indiano.

Questa nuova sala – che ha una capienza modulabile da 500 a 1.200 posti circa – sorge accanto al Teatro del Maggio (1800 posti) e viene così a completare il progetto dell’architetto Paolo Desideri per il Parco della Musica fiorentino. Per l’inaugurazione, che avrò luogo il 21 dicembre, Mehta dirigerà la Messa di Gloria di Puccini e la Sinfonia n. 7 di Beethoven alla presenza del Presidente della Repubblica e di altre autorità. I biglietti sono stati messi in vendita ad un prezzo inaudito per un concerto sinfonico, almeno in Italia : 400 euro (i più economici 100 euro). Ma il giorno dopo il concerto sarà replicato a prezzi nomali, con il Te Deum di Bruckner in aggiunta a Puccini e Beethoven. Il giorno dopo ancora, l’infaticabile Mehta tornerà sul podio per la prima del Fidelio, che verrà rappresentato nell’auditorium, mentre l’adiacente teatro dell’opera a gennaio chiuderà per lavori che dureranno fino a settembre e riguarderanno soprattutto le dotazioni tecniche del palcoscenico, rimaste finora incomplete, tanto che era possibile allestire soltanto spettacoli piuttosto lineari e semplici.

Dunque è un periodo di grande effervescenza per il Maggio Musicale Fiorentino. Al punto che dai sindacati sono arrivate al sovrintendente Alexander Pereira delle proteste per i ritmi troppo serrati delle prove e degli spettacoli, che rischierebbero di compromettere il risultato artistico. Ma sembra un timore infondato. Lo dimostra anche l’ultima volta che Mehta è salito sul podio : era il 24 novembre e con i complessi artistici fiorentini ha diretto Die Schöpfung (La creazione) di Haydn nel Teatro del Maggio, che finora ospitava sia le opere che i concerti.

Mehta – non bisogna dimenticarlo – è nato a Bombay ma si è formato musicalmente a Vienna nella classe di un docente mitico quale Hans Swarowsky, quando a Vienna regnava Karajan. Insomma è un musicista viennese, formatosi nel solco dell’antica tradizione viennese e cresciuto nel rispetto della venerabile eredità del classicismo viennese di Haydn, Mozart e Beethoven, di cui l’ex capitale dell’impero asburgico continua a considerarsi l’autentica depositaria. Dunque è uno degli ultimi rappresentanti di quella grande scuola e conserva una visione del classicismo come equilibrio perfetto, senso della misura, distacco dalle passioni, bellezza immacolata. Di conseguenza immerge La creazione – un capolavoro che riassume in sé quel glorioso periodo della storia della musica – in un’atmosfera luminosa, priva di ombre e di dubbi, confortevole sia per l’orecchio che per lo spirito.

Oggi abbiamo una concezione un po’ diversa di Haydn, soprattutto come risultato delle esecuzioni che qualche anno si definivano “filologiche” e oggi “storicamente informate”. Ormai pochi continuano ad usare la definizione un tempo corrente di “papà Haydn”, creata quando si pensava a lui come a un compositore bonario e sorridente, in fin dei conti semplice e prevedibile. No, Haydn non è affatto così, è un compositore geniale, che rinnova continuamente le forme musicali ed è sempre ricco di sorprese, perché si può forse prevedere cosa farà nelle due battute immediatamente seguenti ma è difficile arguire cosa farà subito dopo. Provare per credere. Dall’alto dei suoi ottantacinque anni Mehta può permettersi di restare fedele ad una concezione del classicismo che oggi appare in via di superamento, ma d’altronde siamo abbastanza adulti per sapere che anche la nuova concezione che della musica di quel periodo sta affermandosi oggi sarà a sua volta superata tra una o due generazioni.

Venendo a questa esecuzione della Creazione, un primo appunto che si potrebbe fare a Mehta è di aver usato un’orchestra e un coro troppo ampi per una composizione del Settecento, ma non sarebbe giusto, perché alla prima esecuzione pubblica del 1798 a Vienna furono impiegati centoventi musicisti, tra coristi e strumentisti. Mehta ne ha impiegati un po’ di più, ma questo è giustificato dal fatto che la sala di Firenze è molto più vasta del Burgteather di Vienna. Quest’ampio organico dà alla sua interpretazione un respiro grandioso ed energico, fin da quella straordinaria pagina sinfonica che è l’Introduzione con La rappresentazione del caos : un momento di “visionaria grandezza”, in cui “il disordine cosmico trova riscontro musicale nella dissonanza e nel cromatismo”, per non dire “di un acuto marasma modulante, di una mutevolezza ritmica e di un’articolazione fraseologica franta e stravolta” (Giovanni Carli Ballola). Tali dissonanze e cromatismi e tale marasma non erano però messi in risalto da Mehta, che invece curava in modo superbo – qui come nel resto della Creazione –  la trasparenza del suono, il dosaggio delle dinamiche e l’equilibrio tra le varie sezioni dell’orchestra, secondo una concezione del classicismo come armoniosa perfezione. Proseguendo su questo binario non metteva troppo in evidenza le imitazioni delle voci della natura, per mantenere l’inalterabile levigatezza del discorso musicale : così quasi non si avvertivano il canto degli uccelli e il ruggito del leone né le meravigliose descrizioni di quel che sembrerebbe impossibile rappresentare con i suoni, come il silenzioso e maestoso volo dell’aquila che si eleva verso il sole. Insomma Mehta sembra condividere – anche per ragioni anagrafiche – le idee della musicologia degli scorsi decenni, che affermava che “tutto ciò appare oggi come secondario e deteriore” (Nino Pirrotta).

Non sono dunque questi dettagli ad interessare Mehta, che mira piuttosto ad illuminare la grandiosità di quest’affresco sonoro, che contiene una serie ininterrotta di pagine stupende, di bellezza veramente angelica, quando la narrazione delle sei giornate della creazione è affidata agli arcangeli Gabriel, Uriel e Raphael. Poi subentrano Eva ed Adamo, per i cui duetti Haydn guardò indubbiamente al Singspiel della sua epoca : Mehta si trova a sua agio anche in queste pagine che esprimono la gioia innocente dei nostri progenitori, rappresentati nel paradiso terrestre prima del peccato originale, d’altronde fin dai suoi esordi una delle sue opere preferite è proprio un Singspiel, Il ratto dal serraglio.

I solisti erano complessivamente di ottimo livello. Il soprano Mandy Fredrich non ha affatto un’esile voce settecentesca e ha quindi le riserve di potenza e di colore adatte alle dimensioni dell’orchestra di Mehta, ma è anche flessibile e ricca di sfumature : nel complesso la si direbbe più adatta all’astrattezza sovrannaturale di Gabriel che alla concretezza umana di Eva. Bernard Richter – tenore mozartiano che si fa valere anche in Mahler o Debussy – era un impeccabile Uriel. Accanto a questi due giovani, che non sono ancora non molto noti in Italia ma si sono già fatti apprezzare su importanti palcoscenici europei, stava Markus Werba, che invece in Italia è ormai di casa : il baritono austriaco è un po’ chiaro per Raphael ma perfetto per Adam. Bene anche il mezzosoprano Veta Pilipenko nei suoi brevi interventi nel l’ultimo numero di quest’oratorio.

Ottima la prestazione dell’orchestra, sempre tersa, luminosa, colorata, e del coro preparato da Lorenzo Fratini, che era disposto non soltanto sul fondo ma anche su due pedane che abbracciavano l’orchestra. La qualità dei complessi artistici fiorentini è ben nota, ma questa volta si sono superati, anche perché avevano già eseguito diverse volte Le stagioni sotto la bacchetta di Mehta negli anni scorsi.

Sala non pienissima ma grande e meritato successo

Markus Werba, Mandy Fredrich, Zubin Mehta, Bernard richter, Veta Pilipenko, Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
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Mauro Mariani
Mauro Mariani ha scritto per periodici musicali italiani, spagnoli, francesi e tedeschi. Collabora con testi e conferenze con importanti teatri e orchestre, come Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Maggio Musicale Fiorentino, Fenice di Venezia, Real di Madrid. Nel 1984 ha pubblicato un volume su Verdi. Fino al 2016 ha insegnato Storia della Musica, Estetica Musicale e Storia e Metodi della Critica Musicale presso il Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma.
Crediti foto : © Cristina Andolcetti / Maggio Musicale Fiorentino

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