Vincenzo Bellini (1801–1835)
Bianca e Fernando (1826, rev. 1828)
Melodramma in due atti
Libretto di Domenico Gilardoni revisionato da Felice Romani
Versione revisionata per l'inaugurazione del Teatro CqrloFelice di Genova il 7 aprile 1828

Direttore d’orchestra     Donato Renzetti
Regia, scene e costumi  Hugo de Ana
Assistente alla regia        Filippo Tonon
Assistente alle scene       Nathalie Deana
Assistente ai costumi     Cristina Aceti
Luci                                   Valerio Alfieri
Maestro del coro             Francesco Aliberti

Bianca                    Salome Jicia
Fernando              Giorgio Misseri
Filippo                  Nicola Ulivieri
Carlo                      Alessio Cacciamani
Clemente              Giovanni Battista Parodi
Viscardo               Elena Belfiore
Eloisa                    Carlotta Vichi
Uggero                  Antonio Mannarino

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice

Genova, Teatro Carlo Felice, venerdì 19 novembre 2021.

A quasi due secoli dallo spettacolo che inaugurò il teatro, Bianca e Fernando di Vincenzo Bellini torna sulle scene del teatro Carlo Felice, affidato alla direzione musicale di Donato Renzetti e all’allestimento scenico di Hugo de Ana.
L’opera convince grazie ad una compagnia musicalmente omogenea e a una messa in scena che restituisce con eleganza una ordinaria vicenda dei melodrammi del primo ottocento.
Il Carlo Felice rende omaggio nel migliore dei modi ad una pagina del maestro di Catania che meritava di essere riscoperta.

“Incoraggiato dall’esito di questo lavoro((Adelson e Salvini, prima scolastica prova operistica di Bellini composta nel 1825)), Bellini si diede a comporre la musica di un’opera seria che il duca di Noja, governatore del Collegio di musica e sopraintendente dei reali spettacoli, gli chiese per il San Carlo. Bianca e Gernando, messa in scena il 30 maggio del 1826, ebbe un immenso successo, anzi il re che assisteva alla rappresentazione, divenne uno dei più entusiastici ammiratori del maestro siciliano. […]

Chiamato a Genova nel 1828 per l’apertura del teatro Carlo Felice, Bellini, trovando impossibile nella ristrettezza del tempo comporre una nuova opera, fece ritoccare dal Romani il libretto di Bianca e Gernando, vi aggiunse quattro nuovi  pezzi, e lo diede alle scene (7 aprile 1828), con ottimo successo, sotto il titolo di Bianca e Fernando.”
(I nostri maestri del passato di O. Chilesotti,
Milano, 1882, pg.461–463)

Queste poche righe sintetizzano con efficacia la storia e la natura di Bianca e Fernando di Vincenzo Bellini. É noto come perfino gli illustrissimi operisti d’inizio ottocento fossero spesso obbligati, lavorando su commissione e a strettissimo giro, a ricicli o auto imprestiti. Se in taluni casi, maxime il Barbiere di Siviglia, le vie insondabili del Genio portavano comunque alla creazione del capolavoro, nella maggior parte degli altri ne sortiva un compito a dir tanto onesto, che faticava a scrollarsi di dosso la carenza di drammaturgia e teatro dettata dalla fretta e la sensazione dell’ennesimo esercizio calligrafico. Seguiva ad andar bene, dopo l’accoglienza fuorviante dettata dal momento, un rapido oblio che si rivela spesso una condanna troppo severa per quelli che, se non capolavori, sono almeno da considerare opere minori di grandi artisti per cui restar stupiti da taluni momenti.

Bene ha fatto, dunque, il teatro Carlo Felice a rimettere in scena quest’opera che, per l’appunto, tenne a battesimo nel 1828 la nuova sala che costituiva finalmente per la città un degno palcoscenico operistico. Scritta per Genova, vi era tornata solamente una volta, nel 1978, in quel Politeama Margherita che assicurava almeno un palcoscenico in mancanza del Carlo Felice((Lo spettacolo, con al regia di S. Sequi e la direzione musicale di G. Ferro vide in cartellone i nomi della Deutekom, di Hollweg, Dara e Federici tra gli altri)).

Certo, parecchi sono i punti deboli del titolo. Innanzitutto la vicenda, che altro non è se non un catalogo di luoghi comuni che si susseguono giustapposti senza solido collante, e finiscono per scadere nella banalità. Il fuggiasco che torna al suol natio, l’amante ingannata, l’agnizione famigliare, il falso annuncio di morte a questo punto li abbiamo già visti e sentiti nelle opere dei decenni precedenti e un giovane Bellini che li accosti timidamente sulla base del modello rossiniano non può fare miracoli. Ci illudiamo che l’ingresso di Fernando tenga il passo di quello di Gualtiero((Protagonista de “Il Pirata” del Bellini stesso, primo eroe romantico dell’ottocento operistico italiano)) o ne sia, almeno, la prova generale….niente da fare, le polveri sono bagnate e la temperatura non sale. Ascolteremo alcune sparpagliate melodie che anni dopo confluiranno nei capolavori della maturità ma, paradossalmente, si potrebbe dire che l’effetto è quello di farci capire perché proprio in quei capolavori sembrano momenti di debolezza.

 

Fernando e Viscardo nel primo atto dell’opera (Giorgio Misseri e Elena Belfiore)

Eppure ne valeva la pena : mano a mano che si susseguono le scene, dall’ingresso di Bianca si respira aria (semi)nuova, la musica cresce e la vicenda prende forza, l’aria del soprano nel secondo atto è un punto fermo dell’opera. Nel successivo duetto tra i due protagonisti il confronto col modello strutturale rossiniano è sostenuto a fatica ma esce nel finale la genuina tinta belliniana.

Il meglio deve ancora arrivare : l’opera spicca il volo nel secondo atto con le scene ottava e nona. Prima l’aria e cabaletta di Fernando ci mettono finalmente sulla strada giusta : questo è il Bellini che sta cercando e trovando la chiave della vocalità di Giovanni Battista Rubini. L’altra gemma, come detto, arriva subito dopo nella prigione del vecchio padre Carlo duca di Agrigento. Con un’introduzione da pelle d’oca che osa competere per un momento con l’inizio del secondo atto di Fidelio e un’aria melodicamente degna del Bellini maturo. Musicalmente la serata finisce qui, e ci basta !

Bianca e Eloisa nel secondo atto dell’opera (Salome Jicia e Carlotta Vichi)

In casi come questi, dove l’interesse risiede quasi esclusivamente nell’archeologia musicale, il regista ha davanti una strada piuttosto stretta per cercare di rendere credibile lo svolgimento della vicenda. Dalla fantasia di Hugo de Ana prende vita una scena geometrica dominata dalla sfera lunare e dalle sue fasi, con una divisione netta tra i personaggi principali buoni vestiti di bianco, e i malvagi vestiti di nero, tutti indossando costumi molto belli. Minimi richiami all’originale ambientazione siciliana, mappamondi e sfere luminose, il solito pianoforte ridotto in rovina a sottolineare il tormento interiore della protagonista. Genericamente disposti gli interpreti e il coro, niente di fastidioso per il pubblico, l’azione scorre innocua, poche immagini restano impresse nella memoria, tra queste soprattutto la scena del carcere. Resta il dubbio se da tali immagini riesca a scaturirne, e qual sia, una vera a propria idea registica.
Netta e precisa, la solida direzione di Donato Renzetti alla testa dei validi complessi di casa, non cerca fronzoli. Rigore metronomico, sostegno ai cantanti nei passaggi più scabrosi, soprattutto quelli che interessano la vocalità tenorile, tenuta dell’insieme senza sbandamenti. La direzione necessaria che assicura agli interpreti di poter tirar fuori il meglio dai rispettivi ruoli.
La georgiana Salome Jicia veste i panni di Bianca con sicurezza, mettendo in luce una presenza vocale importante nel registro centrale della voce. Al centro il timbro è bello, ricco di armonici, la voce le permette di emergere nei momenti di maggior intensità e gestire in maniera adeguata i passaggi di agilità.
Nei panni di Fernando, creato a Napoli per Giovanni Battista Rubini e vestito alla prima di Genova da Giovanni David, Giorgio Misseri ha voce leggera ed omogenea almeno sino agli estremi acuti, dove la voce si indurisce faticando a tenere posizione e volume. Emerge dal suo canto un continuo lavoro sul fraseggio che gli consente di costruire un personaggio vario e sensibile che regge la lunga ed impegnativa parte sino al termine senza cedimenti.

Filippo (Nicola Ulivieri)

Nel ruolo del cattivo di turno, Nicola Ulivieri è un pregevole Filippo((si parla sempre di tenori ma, se per le recite di Napoli e Genova è usuale ricordare i creatori del ruolo di Fernando, occorre nondimeno rammentare che per le stesse occasioni il ruolo del basso cantante venne affidato a Luigi Lablache e Antonio Tamburini!)), ed ha occasione di mettere in evidenza il bel timbro, pur faticando in alcuni passaggi di agilità. Detto dell’elevata qualità complessiva dei ruoli secondari, è giusto citare tra essi almeno l’eccellente Carlo di Alessio Cacciamani per quella scena del carcere in cui ha modo di eccellere per morbidezza, timbro e musicalità rendendola il momento più commovente della serata, accolta al termine da meritati e prolungati applausi per tutti gli interpreti.

Applausi finali per tutta la compagnia
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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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