Piero Rattalino
La tecnica di Chopin
Con cenni di storia e teoria, ed esercizi di tocco
Presentazione di Fedele Confalonieri
Zecchini Editore

Indice sommario

Presentazione di Fedele Confalonieri : Il pianista come atleta e il pianista come sportivo
Introduzione : Dióskouroi
CHOPIN E LISZT
Appagamento ed eccitazione – Due poetiche, due stili, due tecniche- La magica sestina di Jean-Jacques : il pollice – Seguito della sestina : gli scavalcamenti – Ma Chopin era un grande pianista ? – Il mito della tradizione – La fonte inquinata – La fonte (quasi) limpida – Il dovere di contestualizzare
Parte I : Der Wanderer
VAGABONDAGGI NELLA TEORIA
Il sotto voce può attendere – Due dinamiche e due timbriche – Precisazione metodologica – Il virtuosismo facile – I due tipi della forma sonora – Musica strumentale come melodramma – La macchina e le sue trappole – La scelta della forma sonora – La funzione storica di Beethoven – Lo stile della recitazione – Gli stili : romantico, iper-romantico,  universale – Che cosa è il tocco – Classificazione dei tocchi – Problemi storici conseguenti alla classificazione – Il ladro gentiluomo – Dall'artigianato alla scienza – Diamo una occhiata alla ideologia – La posizione classica della mano – Dalla tecnica di posizione alla tecnica di movimento – La mano di Carlo Vidusso – Le misteriose mani da serpente – Punto d'appoggio e rotazione – I rimbalzi – La mano disossata – Funzionalità delle dita – Le cinque note secondo Chopin – Ascesa e caduta del flessore profondo – Il padrone dei tocchi – Segnare il passo e camminare – La miscelazione dei tocchi – Pelle e feltro – Gli accenti – Mani separate e Hauptstimme – Lento e forte – Metronomo e ritmi variati – Tempo ontologico e tempo psicologico-fisiologico – Il legato e il pedale di risonanza – La simil-orchestra – Il Wanderer e l'Ernäner
Parte II : Der Emährer
ESERCIZI ED ESEMPI
Esercizio preliminare – Cinque dita, cinque note – Le suddivisioni chopiniane della tecnica – Eterodossia tecnica in un capolavoro giovanile – Elogio della acciaccatura – Gli studi e la mano da serpentE – Caccia al lupo – Il capolavoro assoluto – Questioni di stile – Un mondo nuovo – Postludio in guisa di congedo
Riepilogo : Athena
SPIEGAZIONI E AGGIUNTE
Una tavola degli esercizi – L'allenamento del braccio – L'allenamento dell'avambraccio – L'allenamento della mano – L'allenamento delle dita – Posizioni e tocchi di combinazione e di miscelazione – I tocchi e le articolazioni del suono – Le scale inutili – Le scale utili : tre quesiti – Confiteor
Indice dei nomi
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Codice : 978–88-6540–284‑9
29,00 €

Piero Rattalino, La Tecnica di Chopin, Zecchini Editore (2020)

Esce per i tipi della Zecchini di Varese (2020) l'ultimo lavoro di Piero Rattalino, La tecnica di Chopin. Con cenni di storia e teoria, ed esercizi di tocco. Il libro descrive in modo dettagliato la tecnica di Chopin, con un'accurata classificazione dei “tocchi”. La trattazione include anche una parte teorica, che contiene riflessioni sul senso musicale. Rattalino sostiene infatti la necessità di parlare della musica facendo ricorso a immagini che richiamino la vita reale, dunque attribuendo alla forma musicale un contenuto preciso.


Come rivendica l'autore stesso con ironia, un libro di Piero Rattalino è concepito innanzitutto in quanto “forma”, cioè quasi alla maniera di una performance artistica che implica passo giusto, sapiente alternanza di stadi di tensione, arte consumata del coup de théâtre e dell'intrattenimento brillante ma, allo stesso tempo, anche un sincero, candido, toccante amore per la musica e in particolare per il pianoforte, un modo innamorato di guardare al proprio oggetto di studio che finisce per essere coinvolgente di per sé. La lunghissima esperienza nel campo dell'insegnamento, della teoria musicale, della storia del pianoforte e dell'interpretazione pianistica non ha tolto niente alla freschezza di approccio di questo grande maestro, che si avvicina ogni volta al suo campo d'elezione – l'universo del pianoforte – con immutata curiosità e desiderio di approfondimento. Il bagaglio di conoscenze che Rattalino mette a servizio della sua inesausta domanda ai segreti della musica e del pianoforte non smette di venire incrementato da un libro all'altro, ed è troppo noto e confermato da una lunga serie di riconoscimenti per dovercisi soffermare.
Ultimo arrivato di una nutrita serie di contributi critici che rappresentano il pane quotidiano di molti pianisti, musicologi e anche – questa, forse, la cifra più preziosa e personale di Rattalino – semplici amanti della musica, La tecnica di Chopin. Con cenni di storia e teoria, ed esercizi di tocco (Zecchini, Varese 2020) fa il punto su alcune importanti questioni che riguardano la tecnica pianistica e i meccanismi dell'esecuzione pubblica. Il libro parte con una constatazione malinconica : « il recital, cioè la musica dal vivo affidata a un solista », scrive Rattalino, « sta diventando sempre più un evento di rappresentanza, non di propagazione della musica ». Inventato da Liszt negli anni '40 dell'Ottocento,  e destinato a determinare una « svolta epocale nel concertismo », il recital rischia a parere dello studioso di trovarsi oggi a un « capolinea », che potrebbe essere determinato da una sopravvenuta inadempienza rispetto alle esigenze di una società interessata da una mutazione epocale. Difficile approfondire le cause di un cambiamento tanto netto rispetto al passato, e ancora più difficile prospettare possibili rimedi a un problema che minaccia, con l'eventuale prossima sparizione del recital, di privare la società nel suo complesso di un ganglio così vitale per le dinamiche culturali. La soluzione prospettata da Rattalino con grande pragmatismo sarebbe di diffondere le esecuzioni online, e può darsi che prima o poi la sua profezia venga adempiuta e le performance in streaming restino tutto quello che sopravvive di una venerabile istituzione come il recital – al quale però, non va dimenticato, è legata anche la parte fondante della storia dell'interpretazione musicale. Ma questa, diciamo così, sarebbe per Rattalino una sorta di extrema ratio, cioè l'unica soluzione praticabile se quella sorta di teoria-pedagogia-strategia dell'esecuzione da lui esposta in questo libro non dovesse dare i risultati sperati.
Scendendo nel dettaglio degli argomenti trattati, le direttive d'azione qui prospettate sono due : una strettamente tecnica, alla quale è legata l'indagine minuziosa sulla tecnica pianistica di Chopin ; l'altra centrata sull'atto dell'esecuzione nel suo complesso, quindi puntata anche su questioni di stile e perfino di costruzione del senso musicale. La disamina della tecnica chopiniana comprende un confronto tra la mano « da serpente » di Chopin e un'altra celebre mano, quella « disossata [con] le dita di velluto » di Sigismund Thalberg. Sullo sfondo di tale contrapposizione tra normali bipedi della tastiera giganteggia solitario Liszt, che a giudicare dai resoconti dei cronisti dell'epoca doveva disporre nelle mani dell'intero Regno animale vertebrato e invertebrato. In questa sezione Rattalino fa delle interessanti osservazioni sul carattere non tradizionale della tecnica del « grande esploratore » Chopin, contrapposta a quella lisztiana : « Liszt crea la tecnica romantica inglobandovi la tecnica classica [da cui] Chopin si stacca nettamente. Liszt scarta la soluzione del problema della indipendenza e uguaglianza delle dita che era stata quella della classicità ma ne mantiene il principio, a cui offre una diversa e pur sempre utopica soluzione. Chopin rifiuta il principio e guarda alla tradizione come a un relitto storico, non come antenato del presente ». In relazione con l'impostazione “serpentina” della tecnica chopiniana, nell'ultima parte del libro l'autore potrà sostenere che « le scale, fatte come si fanno di solito, e cioè giornalmente, sulla estensione di quattro ottave con salita e discesa, con le mani a distanza di ottava, e veloci e forti quanto più possibile, sarebbero da bandire dalla didattica pianistica ». In questa parte dedicata alla tecnica chopiniana è inclusa anche una minuziosa classificazione dei diversi possibili “tocchi”  derivati dall'impostazione “da serpente” o “disossata”, con relativi effetti musicali. Pochi eguagliano la competenza e la capacità di Rattalino di descrivere lo specifico tecnico di quel complicato sistema di leve che costituisce la mano e il braccio di un pianista, e infatti la sua analisi è inarrivabile quando si tratta di mettere in reazione i vari “tocchi” con il tipo di effetto che si vuole ottenere. Sarebbe stata interessante, a questo punto, una discussione sulla pertinenza musicale degli “effetti”, che determinerebbero retroattivamente il tipo di tocco da adottare. Visto infatti che è l'effetto voluto a determinare il tocco e non viceversa, forse si sarebbe potuta legare la trattazione dei “tocchi” alla resa stilistico-espressiva dei singoli passaggi, allargando quindi il discorso allo specifico interpretativo e corredandolo magari di qualche esempio “positivo” o “negativo”. Ma questo non è un libro di teoria dell'interpretazione, e la parte di lavoro che sta a monte dell'atto esecutivo, cioè la domanda ermeneutica dell'interprete verso il testo, viene data per presupposta.
Rispetto ai tre momenti in cui si articola per Rattalino l'atto esecutivo – poetica, stile, tecnica – il libro si sofferma in modo privilegiato sul terzo, includendo però un'apertura significativa al secondo, quello dello stile. A tale proposito l'autore, proseguendo una tendenza emersa anche nelle sue esibizioni pubbliche accanto alla moglie Ilia Kim, ritiene che la semplice forma della musica, le “ingegnose combinazioni di bei suoni, il loro concordare e opporsi, il loro sfuggirsi e raggiungersi, il loro crescere e morire”, in una parola il bello musicale come “forme sonoramente mosse” (Hanslick), non basti, o non basti più (la distinzione non è di poco conto…), ad assicurare la sopravvivenza della musica dal vivo. Per esorcizzare quella che ritiene una sopravvenuta difficoltà degli ascoltatori a decrittare la pura forma musicale, lo studioso invita a « parlare della musica facendo ricorso a immagini semplici che richiamano il quotidiano », magari poi ampliando il discorso « aprendolo a paralleli con le altre arti », e dà il buon esempio invitando gli ascoltatori a cogliere nello Studio op. 10 n. 2 di Chopin « il pigro volo di un grasso pasciuto moscone in una calda giornata d'estate ». Se non è il manifesto di un Nuovo Contenutismo, ci manca poco. Dietro le pieghe dell'invito a considerare la musica sulla base di immagini concrete sta infatti per Rattalino un tornante storico prodottosi verosimilmente a seguito della svolta postmodernista, che ha messo in crisi non solo i singoli approcci formalistici (un pianismo come quello di Maurizio Pollini, per esempio, o una direzione d'orchestra come quella di Claudio Abbado), ma proprio il paradigma ermeneutico che individua il senso musicale, da Hanslick in poi, nelle pure strutture sonore considerate al netto di qualunque rinvio a elementi extra-musicali. Questa parte costituisce il cuore concettuale del libro. Rattalino scrive infatti che il Novecento, che era stato modernista e quasi unanimemente formalista, si è « concluso », archiviato dalla inopponibile dialettica della Storia : « la teoria e la prassi dell'interpretazione sono state viste nel Novecento come il culmine di una perfezione raggiunta dopo più di un secolo di progressi, e quindi come un insieme di canoni, immutabili, da conservare in perpetuo ». Lo schema hegeliano di un “Progresso” interpretativo lineare, responsabile di quanto fu percepito dai suoi protagonisti come un cammino segnato da una serie di acquisizioni irreversibili (i « canoni » di cui parla lo studioso), è entrato in crisi in parallelo con il crollo del paradigma storicistico e la scomparsa dei principali punti di riferimento ideologici e ideali. In un libro di qualche anno fa, L'interpretazione pianistica (2008), Rattalino aveva stilato il certificato di esaurimento della fase “modernista” dell'interpretazione pianistica sulla base di un parametro solo apparentemente diverso : era infatti finita, a suo parere, la corsa collettiva dell'interpretazione pianistica come ricerca della “autenticità” musicale. I « canoni da conservare in perpetuo » di cui parla in questo libro possono essere infatti… canonici se corrispondono all'“autenticità” di una composizione intesa in senso forte ; un'autenticità corroborata, si vorrebbe dire, da una vistosa serie di implicazioni ideologiche e di filosofia della storia. L'“autenticità” musicale concepita in questo modo, un modo che potremmo definire platonico o meglio ancora parmenideo, una volta raggiunta non può logicamente essere abbandonata.
Quello dell'autenticità in musica, tuttavia, è un problema complesso, che meriterebbe un adeguato approfondimento perché investe l'aspetto nodale del confronto tra l'universo culturale sempre mutevole dell'interprete e quello storicamente fissato dell'opera – tanto più in un circuito musicale come il nostro, che frequenta ossessivamente le opere del passato e dunque subordina fatalmente la “scoperta” del nuovo alla “reinterpretazione” a oltranza del già noto. Ci limiteremo dunque a osservare che non saremmo altrettanto pronti a decretare terminata per raggiungimento del traguardo l'appassionante corsa collettiva verso l'“autenticità”, se non altro perché sembrerebbe che la stessa mal riposta fiducia di averla raggiunta, con conseguente accantonamento dell'esaltante tensione interpretativa che aveva assunto nel Novecento anche dei tratti fideistici, ci stia privando oggi di interpretazioni veramente persuasive. L'arbitrio, la mancanza di necessità, la sprovvedutezza culturale, perfino una certa disinvoltura rispetto alla complessità e profondità dei problemi esecutivi, l'indifferenza verso le implicazioni filosofiche e morali dell'atto ermeneutico, hanno sostituito quell'appassionante gara collettiva ormai tramontata – i cui condottieri, tuttavia, sono ancora oggi punti di riferimento irrinunciabili – con una rosa di pallide figure cui si stenta a riconoscere una qualunque legittimità. Oltretutto, come riconosce altrove lo stesso Rattalino, quei punti di riferimento, cioè i grandi pianisti del Novecento – i Neoclassici, Cortot, Lili Kraus, Richter, Arrau, Gulda, fino a Benedetti Michelangeli, Brendel e Pollini –, giusta il valore esemplare delle loro esecuzioni, sono molto difficilmente superabili dai pianisti attuali.
La crisi dunque c'è, e parrebbe addirittura irreversibile, se il posto che negli anni '50 del Novecento era occupato da Horowitz e Rubinstein è oggi ricoperto da pianisti infinitamente più modesti come Lang Lang e Yuja Wang. Se questo è un problema, e lo è, si tratta di immaginare delle soluzioni. Il Nuovo Contenutismo proposto da Rattalino evoca a tale proposito una reviviscenza dell'alleanza tra linguaggio e musica, tra logos e melos, che fu alla base della poetica ottocentesca della musica a programma e individua nella musica la necessità di un contenuto preciso, piegando le strutture formali all'illustrazione di un dato, in origine, extra-musicale. La capacità di attribuire alla musica un “contenuto”, per lo studioso, potrebbe far uscire il recital dallo stato di impasse in cui si trova. In questo senso, e con una certa audacia, sostiene Rattalino che « Chopin non è estraneo alla musica a programma », e conduce a questo scopo due analisi “contenutistiche” dello Scherzo op. 20 e della Ballata in sol min. op. 23. È strano, però, che non citi il solo brano quasi apertamente programmatico scritto da Chopin : il Gran Duo da concerto per violoncello e pianoforte, scritto in collaborazione con l'amico violoncellista Auguste Franchomme, la cui forma contiene espliciti rimandi – una sorta, quindi, di “programma” – alla trama dell'opera Robert le diable di Giacomo Meyerbeer.
La giustificazione teorica del Nuovo Contenutismo si trova a p. 42 del libro, e funziona alla maniera di un brevissimo manifesto : « la forma sonora cambia, il puramente umano resta ». Questo passo meriterebbe un approfondimento e una critica lunga e argomentata : il « puramente umano » di cui parla Rattalino – ancorché l'affermazione sia in via di principio condivisibile – rischia di risultare riduttivo rispetto alla portata latamente culturale del senso nella musica “assoluta”, dove strati diversi di sollecitazioni – emotive, intellettuali, immaginifiche, filosofiche, sentimentali, fisiche – interferiscono fra loro e moltiplicano le risonanze della pagina anche nel senso di una non immobilità del puramente umano, che si curva sulle varie composizioni con intenzioni e presupposti che cambiano storicamente. La discussione dovrebbe toccare anche la contrapposizione qui disegnata tra la “forma”, cioè le strutture musicali, da un lato, e il “puramente umano” – il contenuto ? – dall'altro, come due universi tendenzialmente incommensurabili. Ma al di là della reale separabilità dei due aspetti dell'esperienza musicale, il problema attuale a nostro vedere riguarda proprio la sopravvenuta incapacità dell'ascoltatore medio di ritrovare il puramente umano nella forma musicale : una capacità che una volta costituiva una competenza largamente diffusa nel pubblico e oggi pare tristemente ridotta a una variante genetica in via di estinzione.
Come che sia, se cioè il problema sia risolvibile o meno con un ritorno della poetica della musica a programma che aiuti il pubblico a capire la forma, ci sentiamo di scommettere che, sebbene ridimensionato nella sua capacità di influenza culturale e nella stessa portata dei suoi effetti, il recital sopravviverà perché, come direbbe Walter Benjamin, l'hic et nunc dell'esecuzione dal vivo, l'esistenza unica e irripetibile dell'opera d'arte nel luogo in cui si accade, è irrinunciabile. Sia infatti che si insegua il miraggio dell'“autenticità”, magari applicando i principi dell'esecuzione storicamente informata (che Rattalino avversa), sia che il criterio esecutivo sia più sfumato e orientato sui presupposti dell'ontologia ermeneutica, è nell'esecuzione pubblica che la musica trova la sua aura, l'«unicità » che la connota e « si identifica con la sua integrazione nel contesto della tradizione ». Soltanto nella fruizione dal vivo, sostiene Benjamin, l'opera d'arte ritrova il suo legame con la magia e diventa per noi l'«apparizione unica di una lontananza », la traccia che rimanda a un'esperienza di tipo religioso : « il modo originario di articolazione dell'opera d'arte dentro il contesto della tradizione trovava la sua espressione nel culto. Le opere d'arte più antiche sono nate, com'è noto, al servizio di un rituale, dapprima magico, poi religioso. Ora, riveste un significato decisivo il fatto che questo modo di esistenza, avvolto da un'aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione rituale. In altre parole, il valore unico dell'opera d'arte autentica trova una sua fondazione nel rituale, nell'ambito del quale ha avuto il primo e originale valore d'uso ».
Malgrado i nostri timori e per eterogenesi dei fini, l'epoca della riproducibilità tecnica del recital potrebbe paradossalmente rovesciarsi alla fine in quella che riscopre l'irrinunciabilità della sua epifania dal vivo.

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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.

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