in diretta dall'Auditorium RAI Arturo Toscanini di Torino

ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
Direttore, Kent Nagano
Pianoforte, Benedetto Lupo

Béla Bartók (1881 – 1945)
Musica per archi, percussione e celesta, BB 114, SZ 106 (1937)
– Andante tranquillo
– Allegro
– Adagio
– Allegro molto

Johannes Brahms (1833–1897)
Concerto n. 1 in re minore per pianoforte e orchestra, op. 15 (1859)
– Maestoso
– Adagio
– Rondò. Allegro non troppo

Torino, in diretta dall’Auditorium RAI Arturo Toscanini, giovedì 14 gennaio 2021 ore 20.30

Il direttore statunitense Kent Nagano debutta con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino. Il programma allinea un classico del Novecento come la Musica per archi, percussione e celesta di Bartók e il Concerto n. 1 op. 15  per pianoforte e orchestra di Brahms eseguito da Benedetto Lupo.
Concerto diffuso in streaming giovedì 14 gennaio. 

 

Kent Nagano

Audio :
https://www.raiplayradio.it/audio/2021/01/-RADIO3-SUITE—IL-CARTELLONE-Orchestra-Sinfonica-Nazionale-della-Rai-e5d2fb2f-3e6e-4f5f-8ed1-022c02afa462.html

Video :
https://www.raiplay.it/programmi/osnildebuttodikentnaganoconlorchestrarai

 

Agrodolce come un premio di consolazione, ma non per questo meno meritevole in tempi di sospensione dell'attività concertistica, la proposta di un evento da seguire in streaming compensa il pubblico, almeno parzialmente, di quello che sta perdendo in questo periodo di pandemia. Speriamo, come accade nelle favole, che la stessa privazione di un bene che diamo troppo spesso per scontato – la musica dal vivo, sia quella concertistica che quella in teatro – rappresenti un monito ad apprezzare, fruire, sostenere e anche finanziare questa parte insostituibile della vita pubblica, questo patrimonio irrinunciabile attraverso il quale una società dialoga con sé stessa.

Apprezzabile, dunque, l'iniziativa dell'Orchestra della RAI di Torino di diffondere in streaming, la sera di giovedì 14 gennaio, il concerto che ha avuto come protagonisti il direttore americano Kent Nagano – al debutto su podio dell'orchestra torinese – e Benedetto Lupo, che ha sostituito il pianista austriaco Rudolf Buchbinder impossibilitato a raggiungere Torino per via delle restrizioni agli spostamenti. Il programma prevedeva l'apertura con un classico del Novecento, la Musica per archi percussione e celesta di Bartók e a seguire il Primo Concerto di Brahms per pf e orchestra (al posto del Secondo, originariamente programmato).

La Musica bartokiana è un brano di mirabile costruzione ; diremmo quasi, nell'audacia e nel rigore della costruzione, il manifesto stesso della poetica di Bartók, sospesa e forse anche scissa tra l'istanza costruttiva e quella espressiva, tra il fascino irradiato da una serie impressionante di simmetrie interne e ciò che quelle simmetrie sono destinate a veicolare. La Musica si apre infatti con una fuga a sei voci, senza controsoggetti né episodi, con il tema esposto dalle viole in quattro battute con quattro andamenti diversi (8/8, 12/8, 8/8, 7/8) che vedono l'ambitus intervallare allargarsi progressivamente fino a toccare tutti i gradi della scala cromatica. La crescente complessità del tessuto contrappuntistico, che si ispessisce inesorabilmente battuta dopo battuta, suona a livello musicale come la crescita irresistibile di un organismo animale/vegetale, che nasce dal niente davanti a noi, si sviluppa, arriva a un culmine vitale (corrispondente a un fortissimo), e poi lentamente degrada e appassisce fino a toccare, con una dinamica di pianissimo con tre “p”, la soglia di un estremo soffio vitale. Lo stesso tema di fuga innerva gli altri tre movimenti della Musica, che quindi sono legati al primo da un fortissimo nesso di tipo logico. Difficile, date queste premesse, scegliere l'angolo interpretativo ottimale per un pezzo che intimidisce l'esecutore con la sua perfezione architettonica ; ma anche inevitabile porsi la domanda se quelle stesse simmetrie, quelle ricercate corrispondenze interne, siano un “mezzo” oppure un “fine” in sé. L'urgenza espressiva che questa composizione testimonia, l'acme di una violenza fonica che per momenti sembra trascendere qualunque argine costruttivo, dovrebbero suggerire che la struttura bartokiana, seppure attraente di per sé, vada considerata il mezzo per portare alla luce un tesoro di espressività musicale, l'involucro prezioso di un contenuto ancora più prezioso. Se ci si ferma all'esterno, alla lettera del testo, appiattendo le dinamiche, arrotondando tutti gli spigoli ritmici, spappolando l'arco formale in una successione di cellule senza più tensione lineare, normalizzando gli aspri accenti dal sapore folklorico e soggiacendo volentieri al “sex appeal dell'inorganico” (Benjamin) che promana dalla pagina letta in questo modo, si offre una lettura parziale e inadeguata. Forse il presupposto interpretativo dal quale parte Nagano era quello di smaltare, “classicizzare” questa pagina, che però rilutta con tutte le sue forze a lasciarsi normalizzare, cioè a riconoscersi come un'opera accademica, pronta ad abbandonare l'humus nomade, selvatico e colorato sul quale pianta le sue radici. Edulcorare la sua asprezza significa privarla del suo sapore più autentico. In bella evidenza invece, qui come anche nel Brahms successivo, l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI nel suo insieme e nelle prime parti : di fatto, la stessa complessità dell'ordito polifonico nella partitura bartokiana mette in risalto le capacità di ciascun strumentista in senso solistico – come pure fa Brahms nel Concerto con il suo strumento feticcio, il corno.

Anche sul Primo Concerto per pianoforte. di Brahms op. 15 cala un'istanza disinnescante che tende a inquadrare questo tumultuoso lavoro giovanile, punta di diamante del concertismo romantico, nell'ottica di un imminente disfacimento, di una precoce quanto opinabile décadence. Inutile notare come sia arduo domare i materiali brahmsiani, che si affollano nel recinto formale del Concerto come cavalli selvaggi pronti, se l'occasione lo consente, a recuperare la libertà. Ma a giustificarli formalmente si paga il prezzo di spegnere quella scintilla di energia eroica e vagamente caotica che promana irresistibilmente dalla pagina. Che le cose non vadano nel verso giusto si capisce già dalle primissime battute : Brahms scrive un tema dove un trillo – che è qui un elemento strutturale, non ornamentale – funziona come una fionda che deve scaricare l'energia con uno schiocco formidabile. Il tempo staccato da Nagano, però, è tale che se mai la fionda funzionasse, il sasso lanciato cadrebbe a non più di qualche metro dal fromboliere : con il tactus così lento manca l'energia in grado di sorreggere gli amplissimi archi formali voluti da Brahms, e la magnifica costruzione del Concerto comincia a sfilacciarsi in una serie di gracili frasette mentre si dovrebbe inarcare con la prepotenza di una visione ancora eroica. Benedetto Lupo, che abbiamo ammirato mentre suonava respirando con difficoltà attraverso la mascherina, avrebbe una visione del Concerto parzialmente diversa : è chiaro che di suo avrebbe staccato un tempo più veloce per una visione meno crepuscolare di Brahms. Non ha però il tipo di suono richiesto dal Concerto : la sua emissione è squillante e quasi tagliente, forse adatta a un altro repertorio, ma non a questo dove si desidererebbe una forza morbida nel registro acuto e una grande possanza al basso. Il fatto stesso di suonare troppo breve il trillo tematico va nella direzione di una concezione del fraseggio spigolosa e strutturata a piccoli blocchi, mentre qui ciò che strega è l'amplissima gittata delle nervature costruttive e l'enorme tensione che ne deriva. L'arbitrio che individua una precoce vena decadente e persino mahleriana nel Concerto fa sì che la fine dell'esposizione, che costituisce uno dei culmini della tensione formale del primo movimento, suoni invece sfatta, estenuata, lagunare, quasi che il Primo Concerto fosse inopinatamente la colonna sonora appropriata per le atmosfere della Morte a Venezia. Il meraviglioso Adagio, che dovrebbe suonare come il pianto dell'occhio gigantesco di un dio che stilla lacrime enormi sul creato sofferente, si sfa invece in una serie di vibrazioni impressionistiche al posto del pesante e commovente ductus brahmsiano. Molto veloce e nervoso, forse a compensare l'ethos crepuscolare dei primi due movimenti, l'Allegro finale. Difficile indovinare se Nagano avesse qualcos'altro da dire che per ragioni contingenti – l'orchestra sparpagliata a distanza di sicurezza – non è uscito fuori : anche solo a guardarlo, i movimenti delle braccia e del corpo non comunicano niente che non sia l’adesione allo strato più superficiale del messaggio musicale.

 

Audio :
https://www.raiplayradio.it/audio/2021/01/-RADIO3-SUITE—IL-CARTELLONE-Orchestra-Sinfonica-Nazionale-della-Rai-e5d2fb2f-3e6e-4f5f-8ed1-022c02afa462.html

Video :
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Benedetto Lupo
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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.
Crediti foto : © Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (Benedetto Lupo al Parco della Musica – Roma)
© Felix Broede (Kent Nagano)

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