Franco Alfano (1875–1954)
Risurrezione (1904)
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Cesare Hanau tratto dal romanzo "Risurrezione" (Воскресение) di Leo Tolstoy (1899)
Prima rappresentazione : 30 novembre 1904 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino.

Direzione musicale : Francesco Lanzillotta
Regia Rosetta Cucchi
Scene : Tiziano Santi
Costumi :  Claudia Pernigotti
Luci :  Ginevra Lombardo su progetto di D.M. Wood
Maestro del Coro :  Lorenzo Fratini

Katiusha :  Anne Sophie Duprels
Dimitri : Matthew Vickers
Simonson :  Leon Kim
Sofia Ivanovna : Francesca Di Sauro
Korablyova/Vera : Ana Victoria Pitts
Una vecchia serva :    Nadia Pirazzini
Matryona Pavlovna/Anna :  Romina Tomasoni
Capo Guardiano :   Gabriele Spina

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Allestimento del Wexford Festival Opera

Firenze, Teatro del Maggio, domenica 19 gennaio 2020

 La stagione 2019–2020 del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino consisteva essenzialmente di opere di repertorio in esecuzioni di repertorio e quindi offriva pochi motivi di interesse già prima che l’emergenza del corona virus, interrompendola a metà, la impoverisse ulteriormente. Ora è fortemente a rischio anche il regolare svolgimento del festival primaverile, che invece sembrava poter riportare il Maggio agli antichi fasti. Di quel che è sopravvissuto della programmazione originale soltanto due titoli meritavano un viaggio a Firenze. Il primo era Fernand Cortez di Gaspare Spontini, andato in scena ad ottobre, di cui wanderersite.com ha già riferito. L’altro era Risurrezione di Franco Alfano, andato in scena a gennaio : nell’affollamento di spettacoli e concerti di quei giorni non avevamo trovato il tempo di scriverne e ne provavamo un po’ di rimorso. Ora l’interruzione di ogni attività musicale offre il tempo di rimediare con una riflessione a posteriori, che sarà il caso di dedicare non tanto all’allestimento, su cui non c’è molto da dire, quanto all’opera in sé, che è indubbiamente interessante : non un capolavoro assoluto ma di un’opera importante per la musica italiana nel momento di passaggio tra diciannovesimo e ventesimo secolo.

Anne-Sophie Duprels (Katiuscha)

Franco Alfano oggi è noto ai più quasi esclusivamente per il completamento della Turandot di Puccini, che gli fu chiesto dall’editore Ricordi e che certamente non rappresenta la sua vera personalità artistica, in quanto dovette basarsi sugli abbozzi di un compositore molto diverso da lui e cercare di imitarne lo stile. Non sarà allora superfluo ricordare che il vero Alfano è un altro. Nato a Napoli nel 1875, fu uno dei cinque musicisti della cosiddetta “generazione dell’80”, che volevano rinnovare la musica italiana, rimasta indietro rispetto a quanto avveniva nel resto d’Europa per colpa – essi sostenevano – del predominio assoluto del melodramma. In realtà anche quei cinque giovani compositori (oltre ad Alfano erano Respighi, Pizzetti, Malipiero e Casella) avrebbero finito con lo scrivere delle opere, cercando però di sfuggire alla soffocante tradizione melodrammatica italiana e seguendo ognuno una propria strada, alcuni guardando indietro a Monteverdi e un po’ anche all’opera buffa napoletana, altri ispirandosi all’opera contemporanea francese e tedesca.

Alfano fa parte di questi ultimi, sebbene sia talvolta considerato il compositore della “generazione dell’80” più legato al passato, poiché, essendo il meno giovane, vi si può ancora riconoscere qualche traccia della cosiddetta Giovane Scuola, almeno in Risurrezione, che fu la sua prima opera, se si prescinde da un paio di tentativi risalenti ancora al periodo degli studi. Ma è giusto concentrare l’attenzione sulla novità di Risurrezione più che sulle superficiali somiglianze con il passato. Già dice molto la volontà di Alfano di darsi una formazione cosmopolita. Iniziò gli studi al conservatorio di Napoli, sua città natale, dove ebbe tra i suoi maestri Paolo Serrao, che fu insegnante anche di Giuseppe Martucci, Francesco Cilea e Umberto Giordano, il che dà l’idea della effervescente varietà di tendenze presenti nell’ambiente musicale napoletano in quegli anni. Giovanissimo si trasferì a Lipsia e poi a Berlino, dove completò gli studi e compose le prime due opere, una mai rappresentata, l’altra rappresentata nel 1898 a Wroclaw con buon successo, ma mai ripresa.

Nel 1899 andò a Parigi, dove tra l’altro compose due balletti per le Folies Bergère (!). A Parigi vide anche la riduzione teatrale del romanzo Risurrezione di Tolstoj fatta da Henry Bataille e se ne entusiasmò al punto da mettersi subito a lavorare ad un’opera tratta da quel soggetto, su un modestissimo libretto di Cesare Hanau, completandola in pochi mesi tra Parigi, Berlino, Mosca e Napoli. La prima rappresentazione ebbe luogo a Torino nel 1904 con grande successo, tanto che nel 1951 Risurrezione raggiunse e superò la cifra oggi inimmaginabile di mille rappresentazioni, ma proprio allora la sua fortuna cominciò a declinare rapidamente. In anni relativamente recenti è tornata qualche rara volta sui palcoscenici : si ricordano le riprese di Verona (1981), Palermo (1990) e Montpellier (2001, in forma di concerto), quindi quella del 2017 al festival di Wexford, nello stesso allestimento scenico proposto ora anche a Firenze.

Lascia costernati che in occasione di queste due ultime riprese una parte della critica abbia considerato Alfano un compositore verista e, sulla base di questo presupposto totalmente erroneo, abbia cercato in Risurrezione proprio quello che Alfano aveva voluto evitare, giudicandola di conseguenza priva della immediata e gesticolante forza teatrale di Cavalleria rusticana e povera di quelle ampie melodie “all’italiana” che restano indelebilmente impresse nella memoria. Ma Alfano non è affatto un verista. Basterebbe leggere quel che egli scrisse già nel 1896 a proposito del suo primo tentativo operistico, Miranda : ”Influenze ? Né di Puccini né di Mascagni, sì di Grieg e di Massenet”.

Tale affermazione di un artista appena ventunenne potrebbe anche apparire un po’ ingenua, ma Alfano non era affatto ingenuo. Nei suoi viaggi aveva scoperto la musica di Richard Strauss, Debussy e Rimskij-Kosakov ed era fortemente deciso a sottrarsi all’influsso non solo di Puccini e Mascagni ma di tutto il melodramma italiano. Già la scelta del romanzo di Tolstoj è un indizio molto significativo, sebbene molti l’abbiano sottovalutato, adducendo che Umberto Giordano aveva già scelto soggetti russi prima di lui : ma Fedora in realtà è tratta da un dramma del francese Victorien Sardou, l’autore preferito dalla librettistica italiana dell’epoca, e anche Siberia è di concezione piuttosto tradizionale e comunque non poté influenzare Alfano, perché fu rappresentata nel dicembre 1903, quando Risurrezione era già praticamente finita.

Una fondamentale novità di Risurrezione è il libretto in prosa – non era la prima volta in assoluto ma era comunque una scelta innovativa – e questo è sintomatico della volontà di Alfano di rinunciare alle ampie forme melodiche della tradizione italiana a favore di un flusso musicale e drammatico continuo : la voce passa senza cesure da un declamato molto duttile a brevi spunti cantabili, con un’adesione sottile e penetrante alla psicologia dei personaggi. Impossibile interrompere con applausi a scena aperta !

Il linguaggio armonico è totalmente nuovo per l’epoca, almeno in Italia. “Le alterazioni in partitura sembrano indicare una tonalità – come ci ha detto il direttore Francesco Lanzillotta – ma spesso l’accordo di tonica che confermerebbe la tonalità non arriva mai, o arriva solo alla fine del segmento musicale, creando così un senso di sospensione tonale”. A questo si aggiunga l’uso di scale modali ed esatoniche e si avrà il quadro di un’armonia estremamente moderna per il 1904.

L’orchestra non "ha più nulla a che vedere con i modi ricorrenti dell’accompagnamento delle voci” ma svolge “un vero e proprio commento, che sta a ridosso della vocalità e che conserva un suo ruolo indipendente” (Emilia Zanetti). Quest’orchestra crea situazioni e ambientazioni di sapore decisamente moderno, come l’angoscia della protagonista che attende invano l’uomo amato e la violenza e la volgarità della vita nella prigione : tali momenti, che corrispondono rispettivamente al secondo e al terzo dei quattro brevi atti di Risurrezione, sono indubbiamente quelli più nuovi dell’opera, per la modernità dell’idea teatrale e soprattutto della realizzazione musicale.

Atto II : Matthew Vickers (Dimltri) e Anne-Sophie Duprels (Katiusha)

Il secondo atto si svolge all’esterno di una piccola stazione ferroviaria, nel gelo di una notte russa. Inizia con una cupa e minacciosa introduzione sinfonica e l’orchestra resta sempre determinante, tanto che si potrebbe facilmente immaginare di eliminare le voci e trasformare quest’atto in un pezzo sinfonico. In scena domina Katiusha (gli interventi della vecchia contadina Anna sono assolutamente marginali) e l’atto è quasi interamente un suo monologo interiore, mentre attende nella più terribile agitazione Dimitri, l’uomo che non ha più rivisto dopo la loro unica notte d’amore e da cui aspetta un figlio : ma riuscirà a vederlo solo da lontano, mentre sale sul treno in compagnia di un’altra donna. Da sottolineare una breve e bellissima parentesi lirica, dal tono molto intimo, quasi cameristico : basterebbe questo a smentire la debolezza e la genericità di cui qualcuno ha accusato le melodie di Alfano.
Al sottile scavo psicologico del secondo atto si contrappongono nel terzo la sguaiata volgarità e la sottesa violenza che dominano nello stanzone della prigione, in cui vivono ammassate le carcerate, tra cui è la protagonista stessa. È passato del tempo dall’atto precedente, Katiusha per vivere è stata costretta ad esercitare la prostituzione, che l’ha cambiata e indurita, al punto che non ha più nulla dell’eroina operistica tradizionale e quasi non la si distingue dalle compagne di sventura, che la prigionia ha ridotto ad uno stato primordiale, con l’unico desiderio di un po’ vodka per stordirsi. È una scena molto forte, che non ha nulla a che vedere col terzo atto della Manon Lescaut di Puccini, nonostante le due situazioni presentino alcune superficiali analogie, e semmai prelude a successive scene di carcere, come quella della Lady Macbeth del distretto di Mzensk di Šostakovič. Si cambia registro nell’ultima parte dell’atto, quando il principe Dimitri va a trovare in carcere Katiusha, per chiederle perdono e portarla via con sé.

Atto III : Anne-Sophie Duprels (Katiusha) e Matthew Vickers (Dimitri)

Questa situazione potrebbe dar adito ad un trattamento più tradizionalmente melodrammatico, invece vira verso esiti nuovi, perché la reazione della protagonista è coerente con i cambiamenti che avevamo visti in lei nella prima parte dell’atto : Dimitri non riesce a risvegliare l’amore della donna, che non è più sensibile al suo sentimentalismo e tanto meno al suo rimorso giunto fuori tempo massimo ma lo insulta e lo deride, come se fosse ubriaca o impazzita, per cadere infine in un’allucinazione in cui rivive i tempi felici.

Sono questi i due atti per cui Risurrezione merita oggi di essere riascoltata con attenzione, mentre il primo atto è un prologo necessario ma piuttosto anonimo e il quarto è un epilogo di notevole pregio musicale ma drammaturgicamente debole : potrà sembrare ingeneroso addossarne la responsabilità a Tolstoj, ma le utopie sociali e gli ideali religiosi spirituali che permeano l’ultima parte del suo romanzo sono ben poco adatti al teatro.

In mezzo ai prigionieri, Anne-Sophie Duprels (Katiusha)

Questo dislivello tra gli atti centrali e gli altri due è stato accentuato a Firenze dalla regia di Rosetta Cucchi, che era asciutta e complessivamente adeguata alle situazioni teatrali e musicali nelle scene della stazione e della prigione, mentre era banalmente tradizionale e soprattutto generica e confusa negli altri due atti. Simile il discorso per le scene essenziali di Tiziano Santi e i costumi anonimi (ma questo non sempre è un difetto) di Claudia Pernigotti. Molto ben calcolate le luci Ginevra Lombardo sul progetto di quelle create da D.M. Wood per il festival di Wexford, da cui – come si è già detto – proveniva quest’allestimento.
La debolezza della messa in scena veniva in qualche modo riscattata dalla direzione di Francesco Lanzillotta, che ha colto con acume e sensibilità la modernità non solo dell’orchestrazione ma della funzione stessa dell’orchestra in Risurrezione. La sua direzione attenta e precisa ha valorizzato splendidamente i momenti di maggiore raffinatezza della scrittura di Alfano e ha districato anche quei momenti in cui l’orchestra tende ad essere troppo densa, ottenendo un’ottima risposta da parte dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e del Coro, preparato da Lorenzo Fratini.

Romina Tomasoni (Matryona Pavlovna/Anna) e Anne-Sophie Duprels (Katiusha)

La protagonista Katiusha è quasi ininterrottamente in scena per tutta la durata dell’opera e l’interprete non solo non ha un attimo di tregua ma deve affrontare momenti vocalmente assai impegnativi. A tutto questo si aggiunge la difficoltà di trasformarsi vocalmente ed interpretativamente ad ogni atto, seguendo il doloroso percorso esistenziale di Katiusha, che è inizialmente una giovinetta ingenua e innamorata, poi diventa una donna abbandonata e disperata, quindi si degrada a prostituta e infine approda alla redenzione. Tenendo conto di tali e tante difficoltà, va valutata più che positivamente la prova del soprano francese Anne Sophie Dupreis : al di là di un timbro non particolarmente accattivante e di certe diseguaglianze di registro, va ammirata la sua completa identificazione col personaggio, grazie ad un fraseggio intenso ed emozionate, cui si aggiungeva l’apporto fondamentale di notevoli doti di attrice. Le faceva ottimamente da “spalla” Romina Tomasoni nel duplice ruolo della Governante e di Anna, mentre il tenore Matthew Vickers e il baritono Leon Kim non hanno fatto molto per valorizzare gli altri due protagonisti, Dimitri e Simonson, che comunque sono due figure piuttosto pallide rispetto alla protagonista. Nel complesso ben realizzati gli oltre venti (!) personaggi minori.

Il pubblico, che alla prima era stato piuttosto scarso e freddo, era più folto e soprattutto molto più caloroso alla replica domenicale cui abbiamo assistito.

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Mauro Mariani
Mauro Mariani ha scritto per periodici musicali italiani, spagnoli, francesi e tedeschi. Collabora con testi e conferenze con importanti teatri e orchestre, come Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Maggio Musicale Fiorentino, Fenice di Venezia, Real di Madrid. Nel 1984 ha pubblicato un volume su Verdi. Fino al 2016 ha insegnato Storia della Musica, Estetica Musicale e Storia e Metodi della Critica Musicale presso il Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma.

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