Gaetano Donizetti (1797–1849)
Lucrezia Borgia (1833)
Melodramma in un prologo e due atti di Felice Romani da Lucrèce Borgia di Victor Hugo (1833)Prima esecuzione : Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1833Al festival Donizetti Opera 2019 viene eseguita la versione del Théâtre Italien di Parigi del 31 ottobre 1840

Edizione critica a cura di Roger Parker e Rosie Ward © Casa Ricordi, Milano con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti

Direttore Riccardo Frizza (22 e 24 novembre) / Carla Delfrate (30 novembre)
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Movimenti coreografici Marta Negrini
Lighting design Marco Alba
Assistente alla regia Tecla Gucci 

Don Alfonso Marko Mimica
Donna Lucrezia Borgia Carmela Remigio
Gennaro Xabier Anduaga
Maffio Orsini Varduhi Abrahamyan
Jeppo Liverotto Manuel Pierattelli
Don Apostolo Gazella Alex Martini
Ascanio Petrucci Roberto Maietta
Oloferno Vitellozzo Daniele Lettieri
Gubetta Rocco Cavalluzzi
Rustighello Edoardo Milletti
Astolfo Federico Benetti

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo in coproduzione con la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatri di Piacenza e la Fondazione Ravenna Manifestazioni

 

Bergamo, Teatro Sociale, 20 novembre 2019 (Rappr. "Under 30")

Nell'offerta annuale del Festival Donizetti, c'è sempre un'opera di riferimento e quest'anno è Lucrezia Borgia, composta molto rapidamente (prima rappresentazione nel dicembre 1833 alla Scala) dopo lo spettacolo di Victor Hugo (prima rappresentazione nel febbraio 1833). Il soggetto, la pittura di una donna di fama sulfurea, detta incestuosa (con il padre Alessandro VI e suo fratello Cesare), professionista dell’avvelenamento, si sposò tre volte in nome delle alleanze politiche del momento. Che la storiografia oggi ristabilisca una verità più simpatica sul personaggio non cancella una tradizione che il dramma di Victor Hugo ha ampiamente alimentato.
La vita di Lucrezia Borgia è quella di una donna in mezzo a un mondo di uomini, oggetto di  matrimoni politici, destino abituale della donna di corte di allora che deve difendersi da sola a caro prezzo. Questo è ciò che la produzione del giovane regista Andrea Bernard cerca di mostrare senza pero sempre convincere.

 

 

Immagine iniziale

Non ucciderai, non commetterai adulterio, non fornicherai…
Non praticherai la magia, non userai veleni, non farai morire
il figlio per l’aborto né lo ucciderai appena nato

Didaché, II,2

Questo il motto sotto il quale si svolge l'immagine iniziale dello spettacolo. Ma il riferimento nel libretto di Felice Romani non è religioso, non è il personaggio storico di Lucrezia Borgia di per sé, ma è chiaramente Victor Hugo. Quindi sembra difficile o addirittura contraddittorio cercare di riabilitare un personaggio che avvelena un gruppo di giovani per vendicarsi mentre cerca di proteggere suo figlio Gennaro, probabilmente (almeno la messa in scena lo suggerisce) figlio incestuoso di Lucrezia e Papa Alessandro VI, suo padre.
Certo, nella storia, Lucrezia Borgia è stata vittima di manovre familiari e probabilmente non è l'orribile depravata avvelenatrice della leggenda, ma resta il fatto che il dramma di Victor Hugo sfrutta gli angoli di quella leggenda sottolineandone l'immoralità che la censura ha occupato molto Donizetti dal 1833 in poi. Lucrezia Borgia è forse una vittima degli uomini, ma si vendica e con quale crudeltà !
D'altra parte, sia Sylvia ne L'Ange de Nisida che Leonor de Guzmán ne La Favorite corrispondono molto meglio ad esempi di donne vittime sacrificate da poteri maschili (che si tratti della chiesa o del potere del re) che la Borgia, che sa gestire eccome il potere che le rimane.

Andrea Bernard, regista trentaduenne, già premiato con l'European Opera Directing Prize, sta probabilmente cercando, a nome delle idee che stanno agitando oggi le società contemporanee, di mostrare nella Lucrezia di Donizetti ( e di Victor Hugo) la vittima degli uomini e quella che deve difendersi. Egli cerca quindi di dimostrarlo a tutte le forze e talvolta in modo discutibile.
Che Victor Hugo (e Felice Romani nella sua scia) stia cercando di dimostrare che dietro l'avvelenatrice professionista, c'è la madre-belva che farà di tutto per proteggere il suo piccolo è ovvio. Nessun essere umano è al 100% malvagio. L'umanità della Borgia è la sua maternità.

Una società maschile e maschilista, con Orsini (Varduhi Abarahamyan) in mezzo (terzo dalla sinistra)

Anche Andrea Bernard nota un fatto ovvio e semplice : Lucrezia è l'unica donna nell'opera, non c'è nemmeno una confidente né la tradizionale serva . Intorno a lei c'è un mondo di tanti uomini, tutti personaggi e non comparse, è uno delle specificità dell'opera : c'è il Duca e Rustighello il suo servo esecutore dei lavori sporchi , Gennaro e Maffio Orsini, legati da una forte amicizia e tutti i loro amici Vitellozzo, Petrucci, Liverotto, Gazella, Gubetta, la spia di Lucrezia .
Tutti gli uomini sono nemici di Lucrezia, il duca suo marito perché crede di essere tradito, Orsini per vendicarsi, Gennaro perché tutti i suoi amici la odiano. Questa è la situazione con cui sta lottando Lucrezia, la madre ferita.
E la messa in scena fa vedere la maternità come ossessione con la questa presenza della culla (poi delle culle) la prima delle quali è stata rotta dalla banda di amici di Gennaro. Delitto che dopo la vendetta non rimarrà impunito : l'ultima immagine delle spettacolo è una sorta di pietà di Lucrezia che tiene tra le braccia il suo Gennaro, nel cuore di una brughiera cosparsa di culle rotte, mentre il giorno sorge alla fine della lunga notte che fu l'opera, come se la morte di Lucrezia avesse risolto tutto e restituito al giorno "tutta la sua purezza" come dice Racine nella sua Phèdre.

 

 

Lo spettro "cristico" accarezza Orsini (Varduhi Abrahamyan) indicando il destino crudele…

 

Andrea Bernard fa vedere molti segni facilmente traducibili dallo spettatore, sull'amore di Lucrezia, sul suo destino, sulla sua famigli a, sulla sua coppia, ma ci si può chiedere se era necessario, ogni volta che l'odore della morte si librava, far apparire questo spettro (un uomo mezzo nudo, polveroso, assomigliando vagamente a Cristo, come a sottolineare che qualcosa di minaccioso stava per accadere),  così caricaturale che potevamo farne a meno.

Allo stesso modo, nella prima scena, Lucrezia Borgia è vista appoggiata sulla culla del piccolo Gennaro, per poi lasciarlo dormire e in quel momento il Papa si avvicina lentamente con la tiara per rapire il bambino con il suo grande abito da cerimonia. Un modo per far vedere che il Papa Borgia (Alessandro VI), padre di Lucrezia, è anche il padre del bambino e vuole portarlo via dalla madre per rispedirlo nell'anonimato di un lontano esilio. L'immagine è chiara, ma forse un po' troppo evidenziata e pesante. Si sa che intorno a Lucrezia Borgia si aggirano e la morte e l'incesto…

Il quadro generale

Il palcoscenico è abbastanza nudo : le scene di Alberto Beltrame sono "essenziali" nel senso che il tutto rimane assai semplice, una zolla di terra  e il disegno di una stanza di corto, coperta da un soffitto mobile a cassettoni, a volte isolata da un tulle, che è il luogo delle origini, quello in cui Lucrezia, nella privacy, allattava inizialmente il suo bambino, e che il Papa ha violentato rubando il bambino. Il soffitto mobile diventa anche il muro esterno del palazzo col nome BORGIA inciso ed è contro questo nome che Gennaro toglie la B per lasciare "ORGIA", che ne precipiterà la perdita. Il tutto in un'atmosfera sempre notturna.
Non si tratta di identificare luoghi precisi : anche se il prologo si svolge a Venezia e i due atti a Ferrara, si tratta di mostrare un'atmosfera notturna uniforme di violenza, sesso e odio che permea l'intera opera. Andrea Bernard e il suo scenografo scelgono (giustamente) per uno spazio unico e ostile, per evitare il pittoresco che potrebbe distrarre dal dramma. Inoltre, le possibilità tecniche del teatro e l'alternanza di spettacoli impediscono scenografie troppo grandi o troppo monumentali e di difficile manipolazione : la scelta di scene "essenziali" e leggere è anche una scelta imposta dalla tecnica.

Nella sua visione dell'insieme, Andrea Bernard introduce anche un rapporto amorevole tra Maffio Orsini e Gennaro, approfittando della ripristino del duetto del secondo atto che scomparve dopo la prima del 1833 e durante tutte le rielaborazioni dell'opera e le 9 revisioni successive.
E' un'occasione per Andrea Bernard di introdurre un rapporto d'amore con Orsini (la scena è abbastanza carina tra l'altro e ben costruita, con gesti teneri abbozzati e timidezza) che è interessante in quanto può giustificare la scelta di Gennaro di seguire il suo amico/amore morente durante la parte finale. E 'anche in linea con una visione di oggi dove queste amicizie esaltate (che nella mitologia iniziano con Oreste e Pilade) indicano spesso altri tipi di relazioni allora "vietati" sulle scene.
Riccardo Frizza scelse di restaurare la scena, anche se la versione del Théâtre Italien del 1840, che segue, non la prevedeva. Questa versione dà più importanza al tenore, approfondisce gli aspetti pasicologici e gli regala il suo arioso finale tra le braccia della madre (Madre se ognor lontano), già utilizzato a Londra (1839) e a Milano nella versione ripresa nel 1840, aumentando la tensione drammatica di questa scena finale dove la disposizione prevista da Andrea Bernard (la madre, il figlio morente, e lo "spettro" insieme, avrebbero senza dubbio avuto più forza se avesse spinto fino ad un'immagine di Pietà che è chiaramente il riferimento.

Xabier Anduaga (Gennaro) Carmela Remigio (Lucrezia Borgia)

Le idee ci sono, ma con segni a volte inutili, aneddotici, senza andare davvero fino a fondo mentre cerca di associare a queste visioni una società che assomiglierebbe alla nostra : paradisi artificiali, orge, stupri (Gennaro cerca di violentare Lucrezia) compongono il quadro di una società (e soprattutto di una gioventù) dell'ozio, una società viziata, dove il crimine sembra pagare e di cui Gennaro è anche il prodotto.  Anche i costumi di Elena Beccaro resistono alla temporalità, e tra ieri e oggi sceglie una via di mezzo : ci sono oggetti come il bastone da golf del Duca chiaramente contemporaneo e per i costumi preferisce forme ambigue nere, ad eccezione di Lucrezia spesso in giallo, con tutta la simbologia che questo colore associa al potere, ma anche al tradimento e alla menzogna.
Nel complesso, nonostante le idee interessanti e una volontà ovvia di chiarire lo spirito dell'opera, il lavoro di Andrea Bernard non sembra essere completamente compiuto e segnato qualche volta di certa superficialità..

La questione musicale di Lucrezia Borgia è invece di una certa complessità.
Non si tratta di ripetere passo dopo passo le avventure di un'opera che Donizetti dal 1833 al 1842 ha costantemente modificato per contrastare la censura, per adattarsi a cantanti diversi e talvolta alle loro esigenze e per attenuare ciò che ha disturbato pubblico del 1833 : Eustorgia da Romano, Dalinda, Elisa da Fosco, Nizza de Grenade sono titoli dietro i quali si nasconde Lucrezia Borgia in quegli anni, e non solo per la censura, ma perché l'opera sembrava andare contro la tradizione : la creatrice del ruolo, Henriette Méric-Lalande, non ha capito perché, ad esempio, l'opera non si è conclusa con l'aria finale del soprano con le sue acrobazie vocali, ma con la "semplice" morte del tenore. E infatti Donizetti sembra aver navigato per una decina d'anni tra le insidie della censura e quelle dei cantanti e di un pubblico un po' sorpreso di fronte a un'opera che fu accolta freddamente e che non corrispondeva al costume, né per il canto né per una storia, particolarmente sconvolgente per il pubblico ottocentesco. E ha riscritto versioni, arie, aggiungendo qui, togliendo qua e là, ripristinando qua e là : il lavoro editoriale deve riflettere queste scelte (che sono anche rinunce, come sappiamo) e questa straordinaria libertà che era quella della carriera delle opere di allora. Oggi, si tende a rendere sacra la partitura (ma quale quando ci sono tanti ripensamenti ?) ma nel corso della storia dell'opera, almeno fino agli anni '50 dell'Ottocento circa (più tardi se si pensa al Don Carlo/Carlos di Verdi), la storia di una partitura lirica è fatta solo di creazioni, pentimenti, modifiche a seconda dei teatri o dei cantanti. Da qui le difficili questioni di edizione "critica" perché si sta lavorando su sabbie mobili.

Lucrezia Borgia è un'opera singolare, dove il potere drammatico, dove la psicologia dei personaggi (grazie Hugo!) è valorizzata, a scapito delle tradizioni del canto, la parola assume un'importanza decisiva e quindi il teatro. E osare Hugo, che all'epoca aveva la fama di autore rivoluzionario (la battaglia di Hernani era famosa in tutta Europa), che sapeva di zolfo, dimostrava una grande audacia. Ed è la questione del teatro che è così importante in questo caso. Una compagnia di canto che si preoccupa solo del canto va al fallimento (ricordiamo quello di Renée Fleming alla Scala nel ruolo), e un direttore d'orchestra che lavorerebbe la partitura senza alcuna considerazione per i caratteri, i personaggi e la personalità dei cantanti non riuscirebbe a far uscire la verità dell'opera.

Non è il caso di Riccardo Frizza : è un ottimo accompagnatore dei cantanti, pur rivelando sottigliezze della partitura che non avevamo mai notato prima. Sua Lucrezia è particolarmente chiara, mai massiccia, mai chiassosa, anche nella ridotta cornice del Teatro Sociale. Egli mantiene una vera e propria tensione dall'inizio alla fine. Lavorare con l'Orchestra del Giovanile Cherubini è davvero stimolante perché con un'orchestra giovanile non ancora contaminata da abitudini esecutive o da routine si può osare suoni, nuove combinazioni, sistemi di eco e tempi diversi. E il lavoro assume un  aspetto nuovo, fresco, mai fossilizzato. A volte sentiamo una musica ruvida, brutale, altre volte lirica e incredibilmente raffinata. Una musica direttamente in fase con l'audacia dell'opera alla sua creazione, e soprattutto direttamente in fase con i tanti contrasti tra una vera brutalità e momenti incredibilmente sensibili. Si potrebbe dire che siamo nel cuore del romanticismo hugoliano, lacerato, eccessivo e allo stesso tempo traboccante di sentimenti e impulsi. Questa direzione musicale mostra prima di tutto quale partitura Donizetti ci ha lasciato e quale compositore fu.
E' anche una chance incredibile confrontare questa versione del 1840 per il Théâtre Italien di Parigi e L'ange de Nisida del 1839, anche per Parigi ma in francese, in uno spirito completamente diverso, per capire come Donizetti fosse plastico, adattandosi quanto necessario ad un linguaggio o ad un'estetica : questo è ciò che si chiama maturità, o semplicemente genio.
Il coro del Teatro Comunale di Piacenza (la produzione andrà in tournée in diverse città, Reggio Emilia, Trieste, Trieste, Ravenna, e sarà a Piacenza il prossimo febbraio) è agile, con bei colori, ben preparato da Corrado Casati, sia sul palco che molto spesso dietro le quinte, e smorzato, perché l'atmosfera buia e notturna richiede un coro in sordina, inquietante e annunciatore di tempeste.

Per una tale regia, per un tale lavoro, per un tale teatro, ci vuole una compagnia di canto che abbia prima di tutto l'intelligenza del testo e delle situazioni, e soprattutto un vero e proprio impegno scenico. Anche se questa serata è un'anteprima, soprattutto per i giovani il cui teatro è pieno, tutti i partecipanti hanno dimostrato questo impegno, a cominciare da tutti gli amici di Gennaro : Manuel Pierattelli, Alex Martini, Roberto Maietta, Daniele Lettieri e Rocco Cavalluzzi giovane basso che canta un'ottima Gubetta, spia di Lucrezia nel gruppo di amici di Gennaro. Anche da notare l'ottimo Rustighello di Edoardo Milletti.

Marko Mimica (il Duca)

Varduhi Abrahamyan è Maffio Orsini, per la prima volta ed è grande. Incarna subito il personaggio imponendosi sul palco e vocalmente, grazie ad una voce ampia, ben dosata, ben proiettata, con sontuosi suoni bassi e di facile agilità, che domina bene l'orchestra. Le sue due arie, e Nella fatal di Rimini.…. e soprattutto Il segreto per esser felici, il suo brindisi del II atto (che è stato l'unico brano applaudito alla creazione) hanno ottenuto un grande successo : dizione, espressione, dinamismo. Ci sono pochi grandi mezzosoprani belcantisti, lei è una di loro (anche il suo Arsace a Pesaro era magnifico) e deve perseverare in questo repertorio che può essere sostenuto solo dai grandi.

Marko Mimica è il duca. La voce proietta benissimo, e lo stile e il carattere gli si addice molto meglio di Padre Guardiano di Forza del Destino a Berlino (vedi la nostra recensione ‑in francese). Ha stile, un bel fraseggio, un'espressione che è allo stesso tempo contenuta, gelida, perfettamente cesellata e dizione impeccabile. Si tratta di un basso perfetto per il bel canto, con una voce giovane, che si adatta bene al duca. Prestazione eccellente.

Xabier Anduaga è Gennaro, un ruolo temibile dove il giovane tenore spagnolo mostra un timbro luminoso che ricorda Jaime Aragall, è anche dotato di una dizione impeccabile, completamente controllata e quasi eccessivi  (per cosi dire…) acuti per questa piccola sala. In breve, è senza dubbio il grande nome di domani.
Potrebbe avere ancora due cose su cui lavorare :
– Da un lato, un'espressività che poteva essere lavorata meglio. Tende a cantare tutto allo stesso modo (ma ascoltarlo cantare è una tale gioia), e probabilmente dovrebbe dare al suo canto un po' più di colore e (questo va con quanto sopra) una recitazione più rilassata per costruire un personaggio più commovente.
– Dall'altro qualche piccolo problema tecnico di omogeneità e di linea di canto quando la voce passa alle mezze voci, ma forse è stato risolto durante les rappresentazioni successive.
Resta il fatto che questa voce soggioga, tanto è già compiuta.

Marco Mimika (il Duca) Xabier Anduaga (Gennaro) Carmela Remigio (Lucrezia)

Lucrezia Borgia era Carmela Remigio anche lei per la prima volta (credo). Ed e' un po' l'opposto di Anduaga. Il timbro non affascina, non c'è vera dolcezza nella voce, non è né Fleming con la sua voce "cremosa", né Caballé con i suoi filati da sogno. La voce è un po' asciutta, ma Carmela Remigio sa come farla suonare sommamente perché è un'artista affascinante per fraseggio, dizione, espressione, accenti, ed è un'eccezionale rivelatrice di testi : scolpisce le parole. Nella sua bocca, il testo assume colore, forza, il personaggio si impone e si incarna. Non ci sono problemi tecnici, né nell'acuto né nell'agilità. La famosa cabalette aggiunta al prologo nel 1840 è straordinariamente ben interpretata : non manca nulla, né le note acute, né l'espressione, né il colore. Trionfa nel ruolo senza bisogno di essere paragonata : si impone  con i suoi mezzi e soprattutto con una rara intelligenza nell'arte dell'interpretazione. Splendida.

Bella serata, con una parte musicale davvero eccezionale che rende piena giustizia al  titolo che talvolta si ha l'impressione di riscoprire. Vedere tre opere così diverse di Donizetti ci fa imparare di più in tre giorni che in molti anni. Indispensabile festival Donizetti.

E già dagli occhi miei
Togliendo morte ogni chiaror, ridona
La purezza a quel dì, ch'essi macchiaron.
J.Racine, Fedra, V, scena ultima

 

Immagine finale : "E già dagli occhi miei/togliendo morte ogni chiaror, ridona/La purezza a quel dì, ch'essi macchiaron."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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