Teatro La Fenice, 3 & 4 novembre 2018

Apertura Stagione sinfonica 2018

Giuseppe Verdi (1813–1901)
Messa di Requiem (1874)

Direttore : Myung-Whun Chung

Soprano : Maria Agresta
Mezzosoprano : Veronica Simeoni
Tenore : Antonio Poli
Basso : Alex Esposito

Gran Teatro La Fenice, Venezia, Sabato 3 novembre 2018

Ci sono opere tanto grandi che risulta avvilente criticarne un’esecuzione. La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi è senza dubbio una di queste. Brani da cui è pressoché impossibile scindere l’aspetto meramente tecnico da quello emotivo più intimo, poiché in circolo nella mente da anni, assimilati e integrati nel proprio vissuto spirituale. Si possono, tutt’al più, proporre alcune riflessioni. Doveroso un plauso alla coerenza della Fenice : nel 150° anniversario della morte di Rossini, dopo il successo di Semiramide, lo si celebra con il Requiem sorto dalle ceneri della collettiva messa in suo onore ; si fa inoltre coincidere l’inizio della stagione sinfonica con le celebrazioni per i cento anni dalla firma dell’armistizio che concluse la Prima guerra mondiale e si rivolge un pensiero ai comuni veneti flagellati dal maltempo. Il capolavoro verdiano si è caricato anche di questo.

Una ripresa della prova della Messa da Requiem

Uscito dalla Fenice un poco frastornato dopo il Requiem di Verdi mi fermo a prendere un kebab che addento sui gradini del monumento a Daniele Manin, vicino a dove un tempo sorgeva il campanile esagonale di San Paternian, demolita. Un po’ fame, un po’ capriccio : il Requiem è un ascolto devastante, ti sfianca fisicamente. Mastico, ripenso all’esperienza : l’orchestra, il coro, i solisti. Ripercorro alcuni passaggi tentando di decidere che cosa scrivere nella mia recensione. La mente squassata, i pensieri in disordine, penso ai miei coetanei di cent’anni fa che – anche se sopravvissuti alla grande guerra – non l’avrebbero potuto soddisfare tanto facilmente, un capriccio di gola ; né avrebbero goduto il lusso di un concerto tanto imponente. Per la verità molti nemmeno erano più in grado di stare sulle proprie gambe, di vedere, di sentire, di utilizzare le proprie mani, di dormire serenamente. Quelli sopravvissuti.

Fortunato al massimo grado, passo in rassegna per un attimo le mie, di miserie : infime, marginali, trascurabili al cospetto del mistero, quello tradotto in suoni che ho appena ascoltato. Penso che a Dio, non ci credo ; probabilmente nemmeno Verdi. Che in chiesa non ci vado, se non per ascoltare l’organo e per contemplare opere d’arte ed edifici magnifici. Penso che non mi dico cristiano ma che la cultura europea in parte lo è : lo si scriveva già a fine Settecento. Ed è anche, senza dubbio, musicale : se c’è una unità culturale possibile, questa suona, canta e racconta storie « mai avvenute, ma sempre state ».

Denn alles Fleisch, es ist wie Gras, recita l’altro grande requiem ottocentesco ; Libera me, esclama quest’altro. Due scaturigini di un medesimo terreno culturale. Penso quindi che poco sia davvero grande e importante e decido che questa sera le minuzie non mi interessano : le magagne dei solisti non sempre in splendida forma, le sviste dell’orchestra, quell’attimo di sfasamento tra strumenti e coro ; inezie. Quando l’arte ti mette di fronte a te stesso, l’esecuzione non è che esteriorità.

Quel che conta è dunque il rito, officiato da Chung con l’essenzialità che si deve al sacro. Attende il silenzio completo in sala, prima di alzare la bacchetta e dare un cenno minimo ai violoncelli. L’attacco al coro è un fiato, un fiato la risposta : non credevo possibile un pianissimo tanto flebile da un coro di ottanta elementi. Il geniale intreccio vocale-testuale del Kyrie-Christe – poco importa a Verdi la canonica alternanza – presenta i quattro solisti : semplici strumenti di fronte all’enormità cui sono chiamati a dar vita, si rivelano nel corso dell’opera cantanti più che dignitosi, che faticano tuttavia a liberarsi dai luoghi comuni che le loro vocalità implicano : avremo sempre un tenore spavaldo, la voce tesa sull’acuto e gli ampi portamenti, una dizione a tratti fastidiosamente calcata ; un basso villain, il più convincente, attore genuino aiutato da una notevole facilità di emissione e da una voce grande ; un mezzo musicalmente dotato ma poco sonoro, che punta sul visuale ; un soprano primadonna, che non canta male, ma cui non si possono perdonare certi vezzi di cui si renderà conto più avanti.

La dolcezza rassegnata del Kyrie-Christe deflagra nell’«incubo michelangiolesco » del Dies Iræ, terribilità fatta musica, tanto massiccia e fragorosa da suscitare spavento. È una voragine nera la morte latina, mistero difficile da accettare, austera maestà, portata in corteo dalle trombe che circondano gli ascoltatori in una spirale di visionaria grandezza. Chung conosce il valore musicale del silenzio e lo sfrutta poeticamente : dies iraæ si spegne su pianissimi lucidi e oltremodo tesi ; mors stupebit è balbettato con tanta espressività dal basso (Alex Esposito) da convincere quale autentico interrogativo esistenziale ; sentita anche l’interpretazione del mezzosoprano (Veronica Simeoni) di Liber scriptus, sorretta dall’agogica ricercata e infallibilmente attenta di Chung. Ingemisco pecca forse di eccesso di pathos da parte del tenore (Antonio Poli): i suoi portamenti risultano melensi e non di rado eccessivi, come pure la sua dizione sin troppo attenta a separare le consonanti finali dalle successive iniziali. Qualche cosa di simile accade anche sul Libera me finale, trattato con leggerezza melliflua dal soprano (Maria Agresta), incapace di profondità prima e di delicatezza dopo, nel vitreo si bemolle sovracuto.

Il coro, curato da Claudio Marino Moretti, si riconferma un grande ensemble ; l’orchestra aveva forse bisogno di una prova ulteriore con il maestro coreano. Piccolezze, comunque, che non minano un’interpretazione ispirata e profonda, che ha in più il pregio di inserirsi con naturalezza e coerenza in un contesto storico e che è dunque capace di scombinare le carte delle proprie certezze. Non una serata di “bella musica”, bensì un’autentica, laica esperienza spirituale.

Mauro Masiero
Mauro Masiero (16 Aprile 1987) compie studi musicali, linguistici e musicologici. Nel corso della carriera universitaria approfondisce sia dal punto di vista filologico ed ermeneutico che dal punto di vista musicale e analitico il rapporto tra letteratura, poesia e musica, con particolare attenzione all'area germanofona. Dottorando in Storia della musica presso l'università Ca' Foscari di Venezia, collabora con diversi enti musicali e culturali della città tenendo lezioni, ascolti guidati e redigendo articoli e note di sala : l'Associazione Richard Wagner, la Fondazione Ugo e Olga Levi, Asolo Musica. Interessato alla divulgazione, dal 2014 realizza il programma radiofonico Radio Ca' Foscari Classica per la web-radio dell'ateneo veneziano, ritrasmesso su La Fenice Channel. Segue con particolare interesse le produzione operistiche, i concerti di musica sinfonica e cameristica.

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